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Roma 2010: nella capitale sbarcano Susanne Bier e Jim Loach con In a Better World e Oranges and Sunshine

Una giornata ricca e impegnativa. Visti in mattinata il convincente Burke & Hare e lo splendido Animal Kingdom, il 2° giorno ufficiale del Festival di Roma si è concluso con due titoli particolarmente attesi, ovvero In a Better World e Oranges and Sunshine. Il primo diretto dalla più famosa regista scandinava, Susanne Bier, di ritorno

pubblicato 30 Ottobre 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 18:49

Una giornata ricca e impegnativa. Visti in mattinata il convincente Burke & Hare e lo splendido Animal Kingdom, il 2° giorno ufficiale del Festival di Roma si è concluso con due titoli particolarmente attesi, ovvero In a Better World e Oranges and Sunshine. Il primo diretto dalla più famosa regista scandinava, Susanne Bier, di ritorno a Roma due anni dopo Noi due sconosciuti, mentre il secondo impreziosito dall’esordio alla regia di Jim Loach, figlio del pluripremiato Ken.

Titoli scottanti, capaci di trattare temi delicati, che hanno provocato e continueranno a provocare polemiche, soprattutto in patria, con applausi più o meno sentiti alla fine di entrambi le proiezioni. Dalla Bier, figlia del Dogma larsvontrieriano e candidata all’Oscar nel 2006 per Dopo il Matrimonio, ci si aspettava il film del riscatto, dopo l’immeritata indifferenza suscitata dal suo ultimo titolo, e in parte riscatto c’è stato. La regista danese vola alto, azzardando un collegamento tanto forte quanto probabilmente reale, paragonando l’apparente quiete occidentale al caos da guerriglia del Sudan. Perdono e vendetta, ci ricorda la Bier, non hanno confini, sono universali, tanto in Africa quanto in un freddo paesino della Danimarca.

Attraverso sguardi, volti, lacrime trattenute e smorfie di dolore, Susanne Bier disegna i protagonisti della sua storia, divisi tra Sudan e nord dell’Europa, tra un campo medico di accoglienza in mezzo al nulla, con uno psicopatico a piede libero che per puro divertimento sventra donne incinta, e una scuola di periferia dove la violenza è pronta a colpire, ovunque, anche tra i banchi, tra i ragazzi, adolescenti ma non per questo privi di rabbia, frustazione ed odio. Aiutata da un parterre di attori di primissimo grado, con uno dei due piccoli protagonisti maledettamente inquietante, la Bier non fa prigionieri, portando in sala un mondo dove la violenza, più gratuita che giustificata, è sempre più all’ordine del giorno, dando così allo spettatore l’opportunità di scegliere da che parte stare. Perdono o vendetta? Quando l’uno viene letteralmente sopraffatto dall’altra?

Registicamente notevole, In a Better World, accusato di antislamismo in Sudan, con tanto di vero e propria polemica politica tra i due paesi, conferma così, nel caso qualcuno ne sentisse ancora il bisogno, le doti registiche di Susanne Bier, riuscita in pochi anni ad affiancare e a superare il maestro, ovvero Lars Von Trier. Candidato ufficiale danese agli Oscar 2011. Da tenere d’occhio.

Voto Federico: 7-
Voto Gabriele: 7

Roma 2010: In a Better World - Oranges and Sunshine Oranges and Sunshine

Con un padre come Ken Loach da Jim Loach non ci si poteva aspettare altro se non un film d’esordio come questo Oranges and Sunshine, titolo che porta al cinema uno dei più discussi scandali inglesi degli ultimi 50 anni. Ispirato a fatti realmente accaduti, la pellicola di Loach racconta la storia di Margaret Humphreys, assistente sociale che negli anni 80 scoprì una vera e propria deportazione di bambini, dall’Inghilterra all’Australia, taciuta dal Governo ed andata avanti per anni, negli anni 50, con oltre 130,000 minori indigenti inviati nella terra dei canguri. Per quale motivo? Per risparmiare i soldi della spesa sociale.

Nato da Empty Cradles, libro scritto dalla vera Humphreys che ha destato talmente tanto clamore da costringere Gordon Brown, dopo oltre 20 anni di menzogne governative, a scusarsi ufficialmente, il film di Loach ci regala l’ennesima strepitosa prova di Emily Watson, commovente nel vestire i panni di Margaret Humphreys, praticamente ‘iconizzata’ dal regista. E qui sta una delle pecche maggiori della pellicola, impegnata a mitizzare la Humphreys rispetto ad una storia troppo spessa poco chiara, con fatti e aneddoti lasciati ai margini, dando così pochi punti di riferimento agli spettatori.

Lo scandalo, che ha coinvolto Gran Bretagna ed Australia, ha per anni interessato l’opinione pubblica dei rispettivi paesi, con centinaia di migliaia di bambini a cui fu detto che i loro genitori erano morti, per poi essere portati dall’altra parte del mondo, promettendo loro ‘oranges and sunshine’, finire in istituti sporchi e fatiscenti ed essere spesso oggetto di terribili abusi. A credere alle loro storie, a fargli da madre e a provare di far venire a galla la verità per troppi anni taciuta, lei e solo lei, Margaret, riuscita negli anni a ricongiungere migliaia di famiglie, obbligando le autorità a prendersi le proprie responsabilità.

Se la Watson è da nomination all’Oscar, perché a dir poco eccezionale nel rappresentare la fermezza e al tempo stesso il dolore provato dalla vera Humphreys, la regia di Loach si perde in qualche sbavatura di troppo, soprattutto in fase di scrittura e di montaggio, partorendo così un film dal forte impegno sociale, politicamente interessante e in grado di suscitare emozioni, ma senza raggiungere l’eccellenza, convincendo a metà.

Voto Federico: 6+

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