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Wolverine – L’immortale: Recensione in Anteprima

4 anni dopo il boom dello spin-off, Hugh Jackman torna a vestire i panni di Logan in Wolverine, dal 25 luglio al cinema!

pubblicato 23 Luglio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 11:45

Almeno un anno di ritardo. Il sequel di X-Men Origins: Wolverine, visto in sala nel 2009, sarebbe dovuto uscire lo scorso anno, con Darren Aronofsky in cabina di regia. Peccato che il disastro nucleare di Fukushima Dai-ichi, avvenuto nel 2011, portò il regista de Il Cigno Nero all’incredibile decisione di abbandonare il progetto, ambientato quasi interamente in Giappone. Affidato il compito a James Mangold, e rinviata la produzione di un anno, Hugh Jackman è finalmente potuto tornare ad indossare kg, basettoni, muscoli e soprattutto artigli di adamantio, dopo aver dimostrato al mondo di saper recitare con Les Miserables.

Il risultato, forse spiazzante per il tono utilizzato e la decisa virata introspettiva, è a due facce. Perché il Wolverine di Mangold ha avuto il ‘coraggio’ di portare a galla i dubbi, le paure, le insicurezze, le insofferenze e la ‘tristezza’ di Logan, costretto di fatto a vivere una vita di solitudine, in quanto immortale. Le persone che ha amato, che ama e che amerà finiranno per morire, privandolo di quegli affetti a cui qualsiasi essere umano, mutanti compresi, dovrebbe aggrapparsi. Spaesato, silenzioso e autentico vagabondo, il Logan che ammiriamo ad inizio film è un uomo distrutto dal passato, che continua a farsi vedere attraverso i ricordi notturni, incapace di vivere ma costretto ‘a sopravvivere’, con tutte le più ovvie conseguenze del caso. L’amore di una vita, ovvero quella Jean Grey uccisa dai suoi stessi artigli in X-Men 3, perché passata al lato oscuro della forza, continua infatti a tormentarlo, tramutandolo di fatto in un (non)morto che cammina, fino a quando il lontano passato, datato 9 giugno del 1945, a Nagasaki, non torna a farsi sentire, obbligando il mutante di un tempo, ormai derelitto, a risorgere, più forte di prima, e ad affrontare i propri demoni. In modo da tornare combattente, soldato.

Una trama ‘celebre’, perché basata su uno dei fumetti più amati della saga Wolverine, qui tratteggiata con cura da Mangold ma in realtà zoppicante, soprattutto nella sua esposizione centrale, quando i tormenti dell’eroe finiscono per appesantire la narrazione ed azzoppare l’intera struttura. Wolverine andrebbe infatti sezionato e diviso in più parti. Splendida la prima, roboante grazie alla ricostruzione dell’esplosione atomica, riuscita la seconda, con il mutante alla ricerca del proprio io perduto, trascinata e stancante la terza, che si sbriciola nel prolungare la ricostruzione introspettiva del protagonista, nuovamente accettabile l’ultima, tra scontri in salsa orientale e un imperdibile scena aggiuntiva che da sola vale il prezzo del biglietto. Centellinando con forse troppa cura l’azione, Mangold ha dato vita ad un cinecomic atipico, perché visibilmente meno scoppiettante dei tantissimi titoli del genere che l’hanno preceduto. E per questo forse meno appagante.

In Wolverine assistiamo principalmente alla storia di un uomo che ha perso la propria identità, gli affetti e il senso stesso della vita, a lui legata per l’eternità. Tutto il resto, azione compresa, non farà altro che da contorno a questa semplice ma complessa ‘scelta’ d’autore, che di fatto ci regalerà a fine pellicola un Logan di nuovo su piazza, e ovviamente pronto a tornare in scena grazie all’imminente X-Men: Days of Future Past. A differenza dei precedenti titoli legati agli X-Men, Mangold ha in questo caso frenato persino la presenza dei mutanti, qui limitati a 2 ‘semplici’ soggetti, Logan escluso. Solo una di queste, la temibile Viper, darà del filo da torcere all’immortale Wolverine, qui per la prima volta reso ‘mortale’ e automaticamente battibile. Il sogno di una vita che diventa realtà, grazie proprio allo spaventoso personaggio interpretato da una tutt’altro che memorabile Svetlana Khodchenkova, lontanamente somigliante alla Poison Ivy di Uma Thurman, in Batman & Robin, nel lontano 1997. Proprio l’assenza di un vero ‘cattivo’, in grado di reggere il peso e la forza di Logan, segna inevitabilmente l’intera opera, quasi volutamente ‘distante’ dai cinecomic ‘classici’.

A complicare il tutto la scelta del cast, composto pressochè da perfetti sconosciuti agli occhi del grande pubblico. Una voluta scelta che non ha giovato all’obbligata interazione di Hugh Jackman, di fatto ‘solitario’ all’interno dello script ma anche sul set, vista la pochezza dei personaggi costretti a relazionarsi con il suo combattuto e avvilito Logan, fisicamente sempre più aitante e a sorpresa ‘sboccato’ in più di un’occasione. Frenando sullo ‘spettacolo’, seminato con dosi minori rispetto alla media del genere, e soffermandosi sul lato umano del protagonista, Mangold e Jackman, non solo protagonista ma anche produttore e primo sponsor di questo script, hanno sicuramente ‘osato’, provando ad allontanarsi da tutto quello che ci si poteva attendere da un film come questo, se non fosse che a mancare, un po’ troppo spesso, siano stata l’adrenalina, lo stupore e il fascino dell’azione, elementi a dir poco necessari in titoli simili. Un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda di come lo si voglia vedere, inutilmente trainato da un 3D immotivato ma intelligentemente reso più che digeribile da una semplice scena, collocata durante i titoli di coda, che finirà per riaccendere la voglia degli X-Men. Dal 23 maggio del 2014 nuovamente al cinema, con Brian Singer in cabina di regia e lui, Hugh Jackman nuovamente Logan, nuovamente Wolverine. Per l’eternità.

Voto di Federico: 6
Voto di Gabriele: 5

Wolverine – L’immortale (Usa, 2013, action, comics, The Wolverine) di James Mangold; con Hugh Jackman, Naturi Naughton, Kelly Hu, Ken Watanabe, Will Yun Lee, Brian Tee, Hiroyuki Sanada, Hal Yamanouchi, Tao Okamoto, Rila Fukushima, Svetlana Khodchenkova – uscita giovedì 25 luglio 2013qui il trailer italiano