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Far East Film Festival 2011: tutti i vincitori, commenti e voti

Scopri i vincitori del Far East Film Festival 2011 e i commenti sui film di Cineblog.

pubblicato 9 Maggio 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 12:12

Al Far East Film Festival di quest’anno (numero 13: corna scaramantiche per tutti) c’eravamo anche noi, ma solo per metà. Non daremo giudizi sulla qualità globale della selezione, perché non ne abbiamo gli strumenti, essendo arrivati a festival già iniziato, giusto in tempo per la “horror night” (se così si può chiamare, visto che quest’anno non c’è stato l’horror day).

Ci siamo persi molto, dal corto in versione iPhone di Park Chan-wook ai nuovi Zhang Yimou e Johnnie To, ma vi daremo delle “spigolature” e dei giudizi veloci su quel che abbiamo visto. Iniziamo però riportando i vincitori. Il nuovo premio Technicolor Asia Award, equivalente ad un premio di 25000 dollari, è andato ad A Crazy Little Thing Called Love dei tailandesi Sakonnakorn Puttipong Promsakha Na e Pokpong Wasin.

Il premio dei cinefili duri e puri, ovvero gli accreditati Black Dragon, è andato a Confessions di Tetsuya Nakashima, così come il MYmovies Award, votato dagli utenti del sito Mymovies. Diverso il parere della giuria popolare, che come ogni anno ha avuto la possibilità di votare tutti i film del programma. Al terzo posto troviamo la commedia filippina Here Comes the Bride di Chris Martinez, al secondo Under the Hawthorn Tree di Zhang Yimou e al primo Aftershock di Feng Xiaogang.

Per chi scrive, il pubblico ha “perso” la possibilità di assegnare il premio ad un film bello, originale e a suo modo complesso come quello di Nakashima, preferendogli il cinema più popolare e facile di Xiaogang. Ma quel che è peggio, ha premiato con un terzo posto un film assai discutibile come Here Comes the Bride: ovvero il nostro cinepanettone in salsa filippina. Sempre per chi scrive, per carità. Il pubblico è sovrano, certo, ma il segnale in questo caso non mi sembra molto positivo.

C’è altro che vorrei sottolineare, perché mi sta a cuore, ed è lo stato di salute dell’horror orientale che questa edizione del FEFF ci ha riportato. Qualche esempio non può essere una grande prova, rispetto ad una produzione assai più vasta, ma quello che si è visto di orrorifico al festival lascia un po’ perplessi. Nella serata di mercoledì 4 maggio si sono visti tre horror, tutti deludenti.

Paranormal Activity 2: Tokyo Night è il “remake” del film di Oren Peli, ed è un’operazione simile a quella fatta dal The Ring di Verbinski: parte dal modello originale per trasformarlo secondo la cultura del proprio paese. E non c’è nulla di male, anzi, è l’operazione che ci si attende da un rifacimento. Ma il risultato è terribile, lunghissimo pur durando poco, con attimi di involontaria ilarità. Non basta poi lo split-screen delle due camerette dei fratelli protagonisti per aggiornare il misero plot, se dopo non lo si sfrutta almeno un po’.

Il malese Seru non è un remake, ma è un mockumentary su una troupe che si trova a girare un film nella giungla e a cui gliene capitano di tutti i colori. Però richiama molto Rec, anche nella struttura della trama. E lascia basiti, talmente è brutto, urlatissimo, anche qui pieno di momenti ridicoli e pasticciatissimi. E non ci si spaventa mai, ovviamente. Al fianco di questi fa un’ottima figura Bedevilled, diretto da un aiuto regista di Kim Ki-duk: che non a caso è piaciuto molto a parecchi.

Ma anche in questo caso il prodotto lascia più di un dubbio, visto che dopo un’ora “preparatoria” inizia a deragliare. Come in molto cinema di genere sudcoreano man mano che i minuti passano si tende ad esagerare sempre di più, si infila un finale dietro all’altro, rendendo il tutto sempre più improbabile. E il risultato finale non si riesce a prenderlo sul serio. È davvero questo il cinema di genere che ci meritiamo e che ci deve bastare?

Di seguito trovate dei mini-commenti a tutti i film visti, e tra parentesi trovate i voti per ognuno: vanno da 1 a 5, senza mezzi voti, come le schedine consegnate agli spettatori del festival per votare a fine proiezione.

Aftershock – di Feng Xiaogang (3) Dopo un devastante terremoto, una donna è costretta a scegliere se salvare il figlio o la figlia, schiacciati entrambi dallo stesso blocco di cemento. Sceglie il primo, ma la seconda si salva… Saga familiare in salsa mèlo dal regista del laccato The Banquet, molto più convincente quando tocca le corde dell’emozione con piccole cose che quando inonda lo schermo con le lacrime dei personaggi. Vincitore del festival, perché “prende”.

Bedevilled – di Jang Cheol-soo (2) Torna sull’isola in cui è cresciuta da bambina dopo aver assistito ad un omicidio: le andrà ancora peggio. Una delle grandi delusioni del FEFF, che sembra però essere stata assai gradita. Ma perché, visto che la seconda parte svacca e di molto?

Confessions – di Tetsuya Nakashima (5) Insegnante dà le dimissioni di fronte alla sua classe di studenti tredicenni e fa un annuncio shockante… Non occorre rivelare di più, ma bisogna vedere con i propri occhi. Un capolavoro spietato e straniante, cattivissimo e sorprendente. Con uno stile saturo, pieno di rallenti e musica, che però funziona miracolosamente alla grande. Ha vinto tutto, meno il premio del pubblico…

The Drunkard – di Freddie Wong (3) Scrittore in decadenza deve sopravvivere quotidianamente nella Cina degli anni 70, non rinunciando mai all’alcol. Tra sceneggiature da quattro soldi e donne, un film difficile ma che merita una visione, fatto di immagini, aforismi e ricordi di guerra. Da Liu Yi-chang, che ha ispirato Wong Kar-wai per In the Mood for Love e 2046. Grande interpretazione di John Chang.

Foxy Festival – di Lee Hae-young (3) Radiografia di persone e “perversioni” sessuali: oppure semplicemente del loro modo di sperimentare il sesso. Sembra prendere in giro; invece ci fa ridere dei nostri pregiudizi e alla fine è liberatorio, nonostante l’inutile doppio finale (“giusto” però per i personaggi). Have a lovely sex, ci dice il regista alla fine della presentazione: detto tutto. Quasi un Solondz più pop.

Hantu Kak Limah Balik Rumah – di Mamat Khalid (2) Secondo capitolo della saga del “villaggio delle banane”, con fantasma di signora a tormentare tutti. All’inizio crea simpatia e curiosità, poi diventa sempre più noioso, trito e demenziale. Successone in patria: arriverà il terzo episodio. Mah.

Here Comes the Bride – di Chris Martinez (1) Prima di un matrimonio, cinque persone si scambiano corpi e anime a causa di un incidente. Ecco il cinepanettone filippino: volgare, scemo e vagamente omofobo. Irritante. Clamoroso terzo posto nella classifica del pubblico: ommioddio.

Mindfulness and Murder – di Tom Waller (1) Il Nome della Rosa in salsa thai. Ma girato come un telefilm tedesco. Storia elementare, dialoghi allucinanti, colpi di scena annoiati. Doveva essere una rivelazione, è solo un pessimo esordio. Da dimenticare in fretta.

Operation Tatar – di Baatar Bat-Ulzii (3) Devono fare un furto in banca perché uno di loro deve pagare l’operazione alla figlioletta malata di tumore. Black comedy direttamente dalla Mongolia: parecchio naïve, certo, ma anche onesto e divertente.

Paranormal Activity 2: Tokyo Night – di Nagae Toshikazu (1) Fratello e sorella alle prese con l’attività paranormale. Ovvero “riscrivere” un film americano in salsa giapponese e trasformarlo, giustamente. Ma il materiale originale è quello che è, e questo film una sòla clamorosa di molto peggiore. Non se ne può più di roba così.

The Piano in a Factory – di Zhang Meng (2) Padre di famiglia, per ottenere l’affidamento della figlioletta, deve trovarle un pianoforte. Non ha i soldi: decide di costruirlo. Dissolvenze, carrellate, dissolvenze, carrellate. Jia Zhang-ke incontra Kusturica. Piaciuto non poco in generale, a me ha annoiato assai.

Punished – di Wing-cheong Law (3) Gli rapiscono e uccidono la figlia: vendetta! Milkyway minore? Sarà, ma ragiona in modo a tratti spietato sul “mestiere” del padre. Pessima la scena “boliviana” in apertura e chiusura.

Seru – di Woo Ming Jin e Pierre Andrè (1) Troupe in mezzo alla giungla per realizzare un film: sarà il macello. Rec in salsa malese. Indigesto e caciarone, urlatissimo e a tratti ridicolo. Improponibile.

The Showdown – di Park Hoon-jung (2) Amici di vecchia data sopravvissuti alla battaglia, si rifugiano in una locanda deserta: esce fuori tutto l’odio covato per anni. Poteva essere molto interessante, è solo di pesantezza rara e con pochissime intuizioni. Delude l’esordio alla regia dello sceneggiatore di I Saw the Devil e The Unjust. Combattimenti (pochi) girati assai male.

Troubleshooter – di Kwon Hyeok-jae (3) Detective cade in trappola e viene accusato di un omicidio: mentre fugge, cerca di capire la verità. Velocissimo, grazie ad un ritmo molto sostenuto: ma chi scrive non è riuscito a seguirne bene la trama. Action thriller un po’ confusionario.

The Unjust – di Ryoo Seung-wan (3) Detective e boss mafioso assieme per trovare un capro espiatorio da far passare per un serial killer di bambine. Dal regista del bel City of Violence, un poliziesco fin troppo intricato: si inizia a capire qualcosa a tre quarti di film. Ma alla fine tiene, e l’atmosfera è quella di un Ellroy.

Villain and Widow – di Son Jae-gon (2) Ladro di opere d’arte deve rubare un prezioso vaso nascosto nella casa di una signora. Commediola con qualche risata strappata e qualche passaggio simpatico. Fila abbastanza liscio, ma si scorda immediatamente.

Wanted: Border – di Ray Defante Gibraltar (1) Non aprite quella porta girato da Brillante Mendoza? Fanatismo religioso, perversioni sessuali e uccisioni dentro una locanda. Può piacere ai fanatici del weird e del brutto/sporco/cattivo, ma è scadente e derivativo.

What Women Want – di Chen Daming (1) L’inutilità. Già l’originale è quel che è, questo patinato noioso lunghissimo inutile remake cinese para-hollywoodiano riesce a rendere imbarazzante a tratti anche Andy Lau. Non mi piacciono molto la parola inutilità e i suoi derivati applicati al cinema, ma qui…