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Why Don’t You Play in Hell?: Recensione in Anteprima del film di Sion Sono

Nella sezione Orizzonti si fa largo Sion Sono, che con il suo pazzo Why Don’t You Play in Hell? porta al Lido sangue e demenza in salsa orientaleggiante. Ecco la nostra recensione

pubblicato 29 Agosto 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 10:21

Tocca a Sion Sono, che qui a Venezia porta un film estremo, vibrante di delirio spiccatamente nipponico dall’inizio alla fine. Jigoku de nazu warui (Why Don’t You Play in Hell?) rivisita per l’ennesima volta il gangster-movie in salsa yakuza, masticandolo per poi restituircelo sotto forma di commedia che non disdegna di cogliere elementi da più parti.

Avvisati cultori e non, che in questo stravagante lavoro del regista giapponese dovranno confrontarsi con una ben specifica sensibilità, su cui a conti fatti sta o cade l’intero progetto. Non per questo scomposto, sia chiaro: per dire, Sono, nonostante tutto, evita di spingersi verso certe derive a cui è approdato Takashi Miike, sebbene non manchino talune uscite pericolosamente grottesche.

La storia si focalizza da principio su un giovane aspirante regista che nutre una passione spropositata per il cinema. Con lui i suoi fedeli compagni di viaggio che, camera 8mm alla mano, vagano per le vie della città in cerca di materiale interessante da filmare. Trattandosi tuttavia di un film corale, strutturato sovrapponendo i classici due piani temporali di certi film a tema criminale, non mancano altri rilevanti personaggi; su tutti, la bella Mitsuko, bimba di appena dieci anni nonché figlia di un potente boss. Su questo versante la miccia si accende con la rottura tra il clan di quest’ultimo e quello di un suo sottoposto, inimicizia che viene da subito canzonata e poi seguita a distanza di dieci anni.

Nulla di troppo articolato; quanto basta però per mettere in piedi una serie di assurdi collegamenti, che in fondo rappresentano pure la parte più ordinaria dell’opera. Senza entrare troppo nel merito, ciò che dà vita alla vicenda è il convergente interesse da più parti verso la realizzazione di un film. Un film che si vuole definitivo da un lato, anche solo finito dall’altro; e non a caso riuscire a portarlo a termine, ad un certo punto, sembra già un’impresa.

Ma questa è la scorza, un modo come un altro di portare avanti una storia assurda di suo, ulteriormente caricata di nonsense per via di tutta una serie di misure a cavallo tra il surreale ed il bizzarro. Come descrivere la punizione che l’instabile Mitsuko infligge ad un suo flirt, reo di averla tradita e abbandonata? Lei rompe una bottiglia di vetro, ne raccoglie i pezzi, glieli fa mangiare e nel frattempo gli dà il suo addio con un ultimo, tutt’altro che tenero bacio. E di scene di questo tipo Why Don’t You Play in Hell? è pieno zeppo, con l’ultimo quarto del film che inanella una serie di episodi improponibili, uno più esilarante dell’altro, tra una mano mozzata rimasta appesa a una katana, un gruppo di yakuza dalle cui profonde ferite fuoriescono fiotti di sangue color arcobaleno ed un poveretto che “indossa” una katana a mo’ di copricapo, vagando per le stanze dove si tiene l’ammucchiata finale.

Siamo in pieno exploit delirante, dove a farla da padrone è il rosso del sangue che copioso copre buona parte delle inquadrature. Un punto in cui non dispiace affatto scomodare l’Inno alla gioia, dopo che prima ci si era già soffermati sull’arrangiamento di uno dei celebri brani ascoltati in Barry Lyndon. Folle, a quel punto Sono si lascia andare, incurante del rischio nel concentrare così tanto materiale sopra le righe in poco meno di mezz’ora.

Senza mai cedere alla tentazione di cambiare rotta, mantenendo quel ponderato grado di follia costante, godibilissima, a tratti pure adorabile. Certo, bisogna essere preparati ad un contesto di questo tipo: l’approccio a certo tipo di cinema per molti potrebbe essere destabilizzante, addirittura repellente per coloro i quali ne fossero totalmente avulsi. Per tutti gli altri, la mole di pazze trovate proposte a profusione da Sono funzionano eccome, strappando più di una risata, a partire da quello spot pubblicitario il cui motivetto, per almeno i primi minuti post-proiezione, difficilmente riuscirete a togliervi dalla testa. Ruletzu frai!

Voto di Antonio: 8
Voto di Gabriele: 8,5

Why Don’t You Play in Hell? (Jigoku de nazu warui, Giappone, 2013) di Sion Sono. Con Tak Sakaguchi, Jun Kunimura, Shin’ichi Tsutsumi, Tomochika, Fumi Nikaidô, Hasegawa e Gen Hoshino.