Home Notizie L’amore che resta (Restless): Gus Van Sant insegna ai suoi ragazzi a (soprav)vivere

L’amore che resta (Restless): Gus Van Sant insegna ai suoi ragazzi a (soprav)vivere

Il regista prosegue un discorso aperto con Paranoid Park: leggi un’interpretazione del film Restless

pubblicato 8 Ottobre 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 07:48


Il post è PIENO ZEPPO DI SPOILER. Non leggete se non avete visto L’amore che resta; sconsigliata la lettura anche a chi non ha visto Paranoid Park.

Quasi tutti i film di Gus Van Sant hanno a che fare con la morte. Che la critica ci dica che è con Restless (scusate, ma mi è impossibile chiamarlo L’amore che resta) che il regista americano fa i conti con un tema così complicato, fa quasi arrossire. La morte permeava già non poco i fotogrammi dei film d’esordio, in cui marchettari, drogati e “ragazzi di vita” vivevano alla giornata, fino ovviamente all’ultimo Milk.

I ragazzi di Gus Van Sant sono sempre stati problematici. Lo si continua a sottolineare sempre, ed è giusto: su questo si basano molte delle storie che l’autore ha portato al cinema. Ma i loro problemi nascono guarda caso innanzitutto dalla necessità di sopravvivere. In fondo, i film di Van Sant sono quasi dei survival movie in senso lato: in cui però spesso sai già in partenza che i protagonisti moriranno. Perciò conta altro: la morte ineluttabile è la base su cui il regista lavora per costruire intreccio e personaggi.

Intrappolati da cause di forza maggiore, i vari Mike, Gerry e Blake combattono o si lasciano semplicemente guidare e scombussolare dagli eventi, attraverso deserti, camere, strade vuote. E attraverso Portland. La città fa da sfondo anche alle vicende di Restless. Qui c’è un ragazzo, Enoch, che si aggira spaesato per la città che ha fatto da sfondo alle vicende di altri ragazzi spaesati come lui. Prende l’autobus (non ha la macchina), poi s’infiltra ai funerali. Di persone che non ha mai incontrato.

L'amore che resta (Restless)

Ad uno di questi conosce Annabel, che dice di lavorare come volontaria in un ospedale che cura i ragazzi con cancro, ama l’ornitologia e adora Darwin. Enoch ha un unico amico speciale, Hiroshi: il fantasma di un kamikaze giapponese della Seconda Guerra Mondiale che, non si sa perché, ha scelto lui come “ancora” alla vita terrena. I due parlano e giocano a battaglia navale. Enoch confessa il suo particolare segreto ad Annabel, che decide quindi di confessare al ragazzo il suo: all’ospedale ci va, ma perché è lei che ha un cancro. Che le ha lasciato solo tre mesi di vita.

Il canovaccio di Restless, scritto con un pizzico di sana ingenuità, dolcezza e con curiose varianti da Jason Lew, è ben risaputo. Ma di certo Van Sant non è uno di cui si ricordano grandi trame (e i detrattori, a leggere questo, fanno la ola, già li vedo). In America il film tra l’altro è stato accolto male, anche se con qualche voce significativa fuori dal coro, come Roger Ebert. Un po’ per la trama appunto risaputa, un po’ per lo stile che non ricorda né il Van Sant mainstream né quello più radicale, un po’ perché è sdolcinato (ma parliamone) e poco vansantiano.

Premesso che se Twilight ha su RT un voto complessivo più alto di quello di Restless forse forse il dubbio che ci sia qualcosa che non va può venire, che il film sia poco vansantiano è un’affermazione che fa arrossire un’altra volta. Fan o meno della politica degli autori, chi crede che Restless sia il film meno vansantiano del regista, o giù di lì, o di suo ha visto poco o si è scordato qualcosa. Non solo i film di un tempo, ma anche gli ultimi. Che ne so, un titolo a caso: Paranoid Park. Anzi, non a caso. Perché Restless è proprio il suo film gemello, almeno nelle intenzioni finali.

Ma come? Mancano le solite inquadrature con cui la mdp quasi s’attacca alla schiena dei ragazzi che camminano, mancano i rallenti, manca Van Sant! Qualcuno parla di stile da Sundance (l’espressione più inflazionata del decennio) applicato ad un film da Sundance. Come se un Drugstore Cowboy non fosse perfetto (anche) per questo festival. Il fatto è che se ormai non ci sono quei tratti distintivi, quei marchi di fabbrica palesi, si resta disorientati, e si rischia di perdere il contenuto che sta sotto alla forma.

Qualche difensore di Restless potrebbe dire che c’è almeno una scena da mandare a memoria sia in questo che in Paranoid Park, come quella delle silhouette per terra nel primo e quella della doccia nel secondo. Oppure che le colonne sonore sono frutto dello stesso gusto (ascoltate Rake di Sufjan Stevens, ora). Ma non è questo il punto. Si potrebbe cominciare dicendo che Restless è un film macabro e leggero. Narra una storia d’amore tra giovanissimi, in cui ci si bacia tanto e si fa l’amore, che nasce ad un funerale e passa per diverse tappe, tra cui un cimitero e la nottata di Halloween.

Non stiamo andando a parare lì dove forse credete: non diremo che la mano di Van Sant è leggera e delicata come quella di Paranoid Park, e quindi per questo il film è salvo. Affatto. Che Restless, dal nostro punto di vista, sia un film etereo, toccante, tenero, divertente ed emozionante è un dato a sé. Così come è un dato a sé che la storia d’amore tra Mia Wasikowska (ancora una volta splendida) ed Henry Hopper sia la più bella e particolare dell’anno, assieme a quella di Drive. Hopper Jr. poi ha ricordato a tutti il papà, a cui il film è dedicato; a noi ricorda River Phoenix in Belli e dannati: ed è subito un tuffo al cuore e una lotta per trattenere il magone.

L'amore che resta (Restless) 5

Il fatto che qui si vuole sottolineare, alla faccia del Restless poco vansantiano, è che da un po’ Gus Van Sant ha iniziato a regalare speranza ai suoi giovani personaggi. Da uno che ha diretto di fila Gerry, Elephant e Last Days è una chiara presa di posizione (chiamatela filosofica o come più vi garba) rispetto al passato. E in un’analisi del film non si può prescindere da un dato come questo, molto più importante ed oggettivo rispetto a quelli prima citati. Quand’è che l’autore ha iniziato a dare speranza ai suoi personaggi? Guarda caso, con Paranoid Park.

Che è un gran film sull’imparare a vivere dopo aver affrontato di petto l’esperienza della morte. In quel caso si trattava di un omicidio, in questo della morte delle persone che si amano. Enoch va ai funerali perché non ha potuto assistere a quello dei genitori, e non usa la macchina perché i suoi sono morti proprio in un incidente d’auto. I ricordi uccidono piano piano l’anima, torturandola. Così come succedeva ad Alex. In questo contesto, che il ruolo di Hiroshi abbia la stessa funzione di confessore come Macy in Paranoid Park è abbastanza chiaro.

Tra l’altro, lo stesso kamikaze aveva scritto una lettera alla sua amata prima di partire per uccidersi, ma non l’aveva consegnata. Volontariamente. Così come Alex aveva confessato il “delitto” nel suo diario, su consiglio di Macy, e poi l’aveva bruciato. Senza farlo leggere a nessuno. Nella scena finale di Restless, Enoch ha l’occasione di parlare al funerale di Annabel, e quando sta per farlo inizia a ricordare i momenti più belli vissuti con lei. Guarda in faccia i ricordi. Li affronta, non piange, non dice una parola, e sorride. Proprio come fa Alex. Trattiene tutto dentro di sé. E questo basta e avanza, e anzi ha il sapore del traguardo più bello ed importante. Ecco: Alex ed Enoch sono “sopravvissuti” alla grande, e sorridono davanti alla morte.

Qui trovate la nostra recensione.
Qui trovate il trailer italiano.