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The Iron Lady: recensione in anteprima

Cineblog recensisce in anteprima The Iron Lady, con Meryl Streep

pubblicato 24 Gennaio 2012 aggiornato 1 Agosto 2020 04:46

Quando ci si appresta ad assistere ad un film del genere, a fatica si trattengono certe, pressanti domande. “Un biopic? E cosa dovrebbe dirci un biopic“? Sono quesiti che, mentre stuzzicano la nostra curiosità, tormentano gli autori. Tanto più che nel caso di The Iron Lady c’è di mezzo uno dei personaggi più influenti del secolo scorso, quella Margaret Thatcher che, forse, rappresenta una delle figure più odiate e più amate al tempo stesso. Quel che è certo è che, ancora in attività, della lady d’acciaio non si può certo dire che fosse “popolare”.

Una grossa responsabilità quella di affidare a Phyllida Lloyd la regia di questo progetto. Lei che, oltre a Mammamia! (che le ha conferito una certa notorietà), aveva già diretto un film per la TV britannica di tenore simile. Si tratta di Gloriana, la cui trama ruota attorno al personaggio di Elisabetta I. Con un salto di all’incirca cinque secoli, dunque, a tenere banco è una storia analoga: quella di una donna al potere, che, come la figlia di Enrico VIII ed Anna Bolena, ha inciso in misura rilevante sulle condizioni del Regno Unito. Da allora – erano gli anni a cavallo tra i ’70 e gli ’80 – si comincerà a parlare addirittura di Thatcherismo, definizione di carattere essenzialmente economico e non così tanto lusinghiera.

La sceneggiatura di The Iron Lady, scritta da Abi Morgan, ricalca una struttura già collaudata. E non è affatto casuale, anzi, la scelta di vivere i quarant’anni in politica della Thatcher rivivendoli attraverso i ricordi della diretta interessata. E’ così che la struttura narrativa viene impostata, seguendo un canovaccio abbastanza collaudato, che trova coinvolti noi e la protagonista quasi sullo stesso piano.


Margaret è oramai in pensione, costretta al ritiro da alcuni acciacchi riconducibili non solo all’età avanzata. Sarebbe troppo semplice parlare di mera demenza senile. Il suo è un male dell’anima, quello che pervade una persona di cui, tra le tante cose che si possono dire, non si può certo parlare come di un profilo superficiale. Tutta quella fermezza e quell’ostilità, se così possiamo definirla, che ne hanno letteralmente trainato la carriera politica, la Thatcher del film le sta scontando con gli interessi in vecchiaia.

D’altro canto, ad un certo punto, viene citato un lungo aforisma dell’ex-primo ministro britannico, in cui viene chiaramente espressa tale realtà: “sono le nostre abitudini a regolare il nostro destino“, grossomodo il senso era inequivocabilmente questo. Lei lo sapeva bene, dunque, quanto le sarebbe costata una simile condotta. Nessun giudizio di merito, ma questo è ciò che traspare dalle immagini.

Sarebbe facile scorgere, nel personaggio interpretato da una favolosa Meryl Streep, l’icona di una non meglio precisata istanza femminista. Ma come la stessa Thatcher usò dire, “essere potenti è come essere donna… se hai bisogno di dimostrarlo vuol dire che non lo sei“. Parole nette, insomma, che accettano davvero poche repliche. Senza contare che il suo riscatto, semmai dovessimo evidenziarne alcuno, passa attraverso il canale sociale. Un suo collega ebbe a dire che ciò che penalizzò di più la Thatcher non fu tanto il fatto di essere donna, quanto quello di essere figlia di un droghiere. Ed in un’Inghilterra snob come quella che ci consegna la storia dell’epoca, non stentiamo affatto a credere che delle umili origini rappresentassero un peccato di gran lunga più grave rispetto al sesso.

Tuttavia, se vogliamo, la scalata al successo pubblico del leader del Partito Conservatore altro non è che funzionale ad un altro livello di narrazione, che è poi per certi aspetti quello su cui ci si focalizza maggiormente. Alludiamo alla sua storia d’amore con Denis Thatcher, altro personaggio piuttosto dibattuto a suo tempo. Il ruolo che aveva lo ha sempre posto in una posizione scomoda: quello di first husband.

I media inglesi si burlavano della sua figura, alla quale però, ci dicono, erano tutto sommato legati da un profondo affetto. Vero o meno che sia, il ruolo interpretato da Jim Broadbent (Denis, per l’appunto) è tutt’altro che secondario nell’economia della trama. Anzi, stentiamo a credere nella resa di questo script senza di lui. Nel bene o nel male, è quasi sempre lui a smussare i contorni di una vicenda difficile da raccontare, perché senza dubbio davvero complessa.


E si comporta egregiamente Broadbent, che asseconda una certa vulgata secondo cui il marito della Thatcher fosse dotato di un serioso humor tipicamente britannico, che molti pare fraintesero per mancanza di polso. Beh, sfidiamo noi, a stare dietro ad una moglie come quella! Sta di fatto che la sua interpretazione sa essere comica quanto basta (anche se a tratti si corre il rischio di cadere quasi nel ridicolo; rischio comunque ben contenuto, tutto sommato), oltre che dolce, elegante. Un tributo all’attore per la sua più che convincente prova è d’obbligo.

Da qui ci ricolleghiamo ad un altro tema chiave della pellicola, ossia la solitudine. Quella della Thatcher è pressoché totale. Sin dai primi passi mossi in politica, l’ostinata Margaret ha sempre dovuto combattere e sgomitare da sola. Ed è stato proprio questo ad insuperbirla: l’aver avuto successo conducendo una guerra solitaria. O meglio, una guerra dove da una parte c’era lei e dall’altra tutti gli altri.

Alla luce di quanto appena emerso, si capisce perché in sede di sceneggiatura si sia fatta così tanta leva sulla love-story con Denis. Solo sul finire del film comprendiamo quanto il rapporto con quest’ultimo abbia inciso su di lei. Tuttavia, ben prima, abbiamo comunque modo di intuirlo. E’ un amore profondo quello che lega i due – quantomeno, così per come ce lo racconta il film. Un amore che va ben oltre le belle ma sterili dimostrazioni d’affetto. Non è forse frutto di uno spropositato amore quello di farsi volontariamente travolgere dalla mastodontica figura della moglie, con tutto ciò che ne consegue, quello di Denis?

E d’altro canto non si può fare a meno di leggere questo così rilevante personaggio, la Thatcher, se non soprattutto in relazione al quasi viscerale rapporto che la lega al marito – rapporto solo apparentemente “accessorio”. E’ attraverso questo sentiero che emerge il paradosso che il primo capo del governo britannico donna della storia inglese rappresenta tutt’oggi. Una donna sul cui conservatorismo suppongo pochi nutrano dubbi, senza dubbio in termini puramente politici, ma che eppure riesce nell’impresa di ribaltare una tradizione che l’avrebbe lasciata fuori dalla porta senza battere ciglio.

Nel porci nuovamente la domanda iniziale, dunque, siamo noi che restiamo a corto di risposte. Quale che sia il grado di fedeltà alla realtà dei fatti, non è certo da un film che dobbiamo aspettarci una certa aderenza in tal senso. Nonostante la gran mole di materiale di cui possiamo disporre a riguardo, visto che si tratta di una figura abbastanza recente, nemmeno interi volumi sono riusciti a sondare quel mistero che risponde al nome di Margaret Thatcher. Il film, da par suo, non può che farsi forte della vocazione alla finzione su cui comunque si basa. Quindi, meglio leggere questa pellicola sotto altri aspetti.


Ci ha consegnato qualcosa, quale che sia, la protagonista di questo film? Ebbene, questo sì, certamente lo ha fatto. Per noi si è trattato di spunti su cui intavolare un’analisi. Per altri sarà magari qualcosa di diverso, ma sarà pur sempre qualcosa. La Lloyd non tratta con accondiscendenza il suo personaggio, né assume un atteggiamento apertamente univoco nei suoi confronti. Con un’apprezzabile delicatezza, invece, ci mostra una donna per quello che potrebbe essere. Una donna che avrà anche ricevuto tanto dalle alte cariche che ha ricoperto, ma che ha dato almeno altrettanto. Perché, come disse un altro eminente esponente politico britannico, ossia Winston Churchill, “sono le istituzioni che noi contribuiamo a formare quelle che poi ci formano“. Ed in che misura ciò fu vero per Margaret Thatcher probabilmente resterà oscuro a tutti noi per tutto il tempo a venire.

Voto di Antonio: 7
Voto di Federico: 7
Voto di Carla: 7; a Meryl un 8 strameritato, fantastica.
Voto di Gabriele: 5

The Iron Lady (The Iron Lady, Gran Bretagna, 2011). Regia di Phyllida Lloyd. Con Meryl Streep, Jim Broadbent, Olivia Colman, Roger Allam, Susan Brown, Nick Dunning, Nicholas Farrell, Iain Glen, Richard E. Grant, Anthony Head, Harry Lloyd, Michael Maloney, Alexandra Roach, Pip Torrens, Julian Wadham e Angus Wright. Nelle nostre sale da venerdì 27 Gennaio. Qui trovate il trailer italiano.