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Cesare deve morire dei Fratelli Taviani: la recensione in anteprima

Leggi la recensione in anteprima di Cesare deve morire dei Fratelli Taviani, Orso d’Oro al Festival di Berlino

pubblicato 2 Marzo 2012 aggiornato 1 Agosto 2020 03:49

Ci sono realtà molto differenti che ruotano attorno nella galassia del carcere, gli esempi di situazioni di degrado, violenza e miseria sono facilmente tema per articoli di cronaca, reportage sensazionalistici e diventano spesso tema adatto per una fiction legata all’attualità. Esistono però anche esempi di eccellenza, di progetti che offrono una nuova prospettiva a coloro che hanno sbagliato e ora sono costretti a vivere reclusi nell’espiazione della loro colpa.

L’aspra polemica sul valore redentorio del carcere è un tema su cui non è il caso di addentrarsi in profondità, oltre a richiedere ben altre competenze comporterebbe la disamina di troppe variabili provenienti da discipline come il diritto, la psicologia e la scienza del comportamento che trascendono il compito che si siamo affidati scrivendo queste righe. In estrema ratio, volendo semplificare il ragionamento, la pena non deve essere una semplice punizione, ma anche una forma di rieducazione. Il teatro, in questo caso, può essere uno dei modi in cui il carcerato può provare a scollegare il suo ego e lo può proiettare verso un “altro”, offrendogli una possibilità di redenzione attraverso l’atto (purtroppo effimero) della recitazione. Accade così che all’interno dell’ala di massima sicurezza del carcere romano di Rebibbia i provini per affidare le parti nella produzione del Giulio Cesare di Shakespeare si trasformini in un’appuntamento in cui i detenuti possono dimostrare di avere un fuoco nelle viscere che trasforma in veri attori.

I fratelli Taviani entrano con la cinepresa nel carcere di Rebibbia e “trasformano” i detenuti in soggetti cinematografici con un progetto che rievoca il neorealismo di Pier Paolo Pasolini. Gli attori, tutti con condanne che vanno da 15 anni a fine pena mai, trovano la loro libertà nelle ore dedicate alle prove, per poi scontrarsi con la realtà nel momento in cui il secondino richiude la cella alle loro spalle. “Da quando ho incontrato l’arte, questa cella è diventata una prigione” è la frase emblematica che viene ripetuta da uno dei protagonisti, parole pesantissime dette da chi forse non rivedrà mai la libertà, se non quella del teatro, anche a ben vedere sono parole dal retrogusto retorico che non aggiungono molto a quello che il film racconta in modo implicito.


Berlino

Il film dei Taviani prende il via a sei mesi dalla rappresentazione del Giulio Cesare. Dal casting, alla selezione di Giulio Cesare, Bruto, Cassio e tutti gli altri figuranti, le prove in cella e quelle, sul palco sono i punti di passaggio attraverso cui lo spettatore cinematografico viene messo a confronto con l’opera di Shakesperare. Non vediamo la rappresentazione sul palco, ma percepiamo l’intera vicenda attraverso la frammentazione delle prove (in un densissimo e significativo bianco e nero) e solo pochissime sequenze sono concesse alla presentazione dei personaggi, quelli veri che ancora vivono a Rebibbia.

Non pochi hanno sollevato perplessità a proposito di questa scelta. Le storie dei detenuti sono volontariamente tenute al di fuori della scena, il teatro è il vero protagonista. Una scelta che può essere interpretata leggendo ciascun personaggio/ruolo in tre livelli. Il primo, paradossalmente quello più nascosto, è il “se stesso reale”. Il secondo è il ruolo per cui è stato scelto prima di salire sul palco mentre il terzo è quello di soggetto cinematografico, ma che a differenza dei primi due non può essere distinto tra realtà e finzione. Cosa viene raccontato dal film dei Taviani al di fuori delle parole di Shakespeare potrebbe essere tanto fiction quanto realtà, anche se questa sembra avere il sopravvento. Forse proprio in questo sottile e impercettibile confine tra reale e immaginato sta la vera forza di un film come Cesare deve morire.

Non si tratta certo della prima esperienza di cinema all’interno del carcere. Tralasciando volutamente la storia del documentario girato nelle case circondariali, il cinema ha visto di recente Tutta colpa di Giuda di Davide Ferrario, giocato sui toni della commedia musicale, mentre i fratelli Taviani virano tutto sulla tragedia, senza dimenticare l’esperienza milanese di Bruno Bigoni con il suo Riccardo III.

Cesare deve morire (docu-fiction, Italia, 2012) Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani con i detenuti del carcere di Rebibbia.

Voto di Carlo: 8,5
Voto di Gabriele: 8

Cesare deve morire sarà distribuita da Sacher a partire da venerdì 2 marzo 2012.