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The Counselor – Il procuratore: Recensione in Anteprima del film di Ridley Scott

A che punto è l’uomo? Ridley Scott e Cormac McCarthy confezionano un affresco spiccatamente simbolico ma non meno potente e contemporaneo nel tentativo di rispondere a questa domanda. The Counselor, per nulla conciliante, rischia di esplorare territori che forse un giorno saremo tenuti a rivalutare

pubblicato 14 Dicembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 06:10

Pretenzioso, pseudo-intellettuale, inutilmente verboso. Sono solo alcuni dei complimenti rivolti all’ultima fatica di Ridley Scott, quel The Counselor che da subito è stato tacciato come uno dei peggiori film del 2013. Un tonfo clamoroso per uno degli scrittori americani contemporanei americani, ossia Cormac McCarthy, da più parte implicitamente invitato a tornare a fa ciò per cui è diventato famoso invece che immischiarsi in affari che non lo riguardano.

Abbiamo cercato di capire come evitare la deriva apologetica, finendo con il mettere in discussione le critiche negative che hanno sommerso questo film. E la verità è che in questo caso non è del tutto possibile fare a meno di riprendere punto su punto le accuse a questa strana opera. Poiché sebbene in ognuna delle più accreditate ci sia un fondo di verità, al tempo stesso pare che tanti abbiano preferito arrendersi subito, spazientiti da un film che magari seduce ma non come vorrebbero in tanti.

Ci pare qui opportuno rievocare quel discorso relativo ai modelli, cosiddetti pattern in territorio anglofono, che a conti fatti rappresentano l’elemento determinante al fine di comprendere in quale equivoco si sia caduti anche stavolta. La trama la si riassume in una frase: «The Counselor racconta di un’operazione di droga non andata a buon fine». Al che uno si aspetta qualcosa di già visto, ma rivisto, anche perché l’incipit è tutto fuorché originale e con quel cast si esige qualcosa di spettacolare. Spettacolare, sì… purché familiare.

Ecco il punto. Quando ogni due per tre ti ritrovi trafficanti di droga e puttane d’alto bordo discutere su ciò che uno spettatore svogliato avverte come “massimi sistemi”, basta poco per fare andare quest’ultimo su tutte le furie ed attirarti il suo odio più sincero. Ma sapete che c’è? Tanto McCarthy quanto Scott non se ne preoccupano. Attenzione, non è che se ne fregano. Parliamo di due artisti che nei rispettivi campi hanno raggiunto l’apice e di certo non a suon di opere sfrenatamente astratte o concettuali, senza riguardo per un pubblico che al contrario ha quasi sempre apprezzato. Quasi. Quindi no, troncheremmo a priori tutti quei discorsi che vogliono regista e sceneggiatore snob, o più semplicemente rimbambiti.

Lo spettacolo offerto in The Counselor è un flusso di coscienza su una serie di eventi afferenti alla medesima vicenda, ma è anche più di questo. Si potrebbe avere da ridire sul fatto che le immagini siano a supporto dei dialoghi e non viceversa, ma un attimo dopo bisognerebbe pure spiegare il perché tutto ciò avvenga e come mai non sia un peccato mortale. Ciò che spiazza, confonde e mette fuori strada è che niente è al suo posto in questo film; McCarthy mescola costantemente le carte, inverte i ruoli, creando dunque dei reiterati corto circuito che alla lunga mandano in palla. La domanda è: è tutto questo un male?

Quando al Procuratore (Michael Fassbender) tocca sorbirsi la storia di Reiner (Javier Bardem) sulla sua donna, tale Malkina (Cameron Diaz), che si struscia sul parabrezza della sua Ferrari, ricavandone solo l’immagine di un pesce gatto; oppure quando lo stesso procuratore viene travolto da una serie di sentenze ed uscite sarcastiche emesse da Westray (Brad Pitt) – «sai perché Gesù Cristo non è nato in Messico? Perché era impossibile trovare tre uomini affidabili e una vergine» – è automatico domandarsi cosa tutto ciò abbia a che vedere con la storia, con quella rischiosissima operazione che cambierà la vita di tutti, in un modo o nell’altro. Ma devi entrare in sintonia con queste divagazioni, perché così come l’affare di droga è subordinato alla nerissima e glaciale descrizione di ciò che non va nel mondo, parimenti il Procuratore non è il vero protagonista del suo film.

Si tratta di un intervento chirurgico alla vista, dovuto ad uno strabismo al quale bisogna porre quanto prima rimedio. Non è semplicemente questione di messa a fuoco, perché finché il nostro sguardo non si allinea a quello di Scott e McCarthy risentiremo sempre di questa sovrapposizione, di questi contorni che si sdoppiano suscitando un fastidio più che legittimo. D’altra parte la poetica dello scrittore è lì, intatta e pregna di quel sottile humor apocalittico che la contraddistinguono. Tutto in The Counselor è simbolico, artificiale, estremo, esasperato. Con quel sottotesto moraleggiante che se non aggrada non è certo colpa di chi da sempre ha coltivato questo stile.

Tuttavia non si pensi che in tutto ciò non emerga la mano di Scott. Sfidiamo noi a trovare oggigiorno un regista del suo calibro ancora capace di rimettersi in gioco in modo così sprezzante, alcuni dicono presuntuoso, e non hanno tutti i torti. Solo i grandi artisti sanno costantemente riadattare sé stessi, piegando la propria arte allo scopo e non viceversa. Una bravura encomiabile nel rimanere nell’ombra pur tirando saldamente le fila di ogni cosa, dallo strepitoso cast all’ispiratissimo tappeto sonoro. Il paragone con il seppur meraviglioso Non è un paese per vecchi non si pone nemmeno, dato che lì a scriverne la sceneggiatura furono due fuoriclasse che sono anche due cinefili incalliti ed oltremodo competenti e che dunque conoscono certi meccanismi, sapendo dilatare il mezzo senza mai uscire dal seminato. Di questo saremo sempre riconoscenti ai fratelli Coen, così come a tutti quei cineasti capaci di fare altrettanto. Non si scappa. Perché però rifiutare così impunemente che qualcuno tenti di mettere la testa fuori dal recinto?

E non si cada nella banale considerazione che Cinema e Letteratura non siano la stessa cosa, dato che incorrerebbe in un’ovvietà disarmante. Vero, verissimo che film e romanzo sono due mondi diversi, anzi, sono due cose opposte forse nemmeno complementari. Ma questo vale per chi è limitato, o semplicemente “troppo” dotato solo su un fronte. Come scrive Manohla Dargis sul New York Times: «McCarthy sembra non avere mai preso in mano in vita sua un manuale di sceneggiatura… Si tratta di un complimento». E lo è, nessun dubbio a riguardo. Se poi orde di autori, cinefili e critici, sconfortati nel vedere sovvertito ogni dettame proposto nella bibbia minore Save the Cat!, cominciano a correre verso tutte le direzioni come una gallina con la testa mozzata, beh… loro la testa possono sempre rimettersela sul collo.

The Counselor è un tragico, elegante, amarissimo spaccato di una parte di mondo ma soprattutto di umanità su cui preferiamo troppo agevolmente soprassedere. La visione di McCarthy è cruda, durissima, per certi aspetti sproporzionata ma questo non sposta di una virgola la realtà dei fatti, perché come dice la tremenda Malkina, accusata in uno dei primi dialoghi del film di essere troppo fredda: «la verità non ha temperatura».

E che a McCarthy interessi l’uomo, soprattutto ciò che questo sta diventando, non è chiaro solo a chi non vuole vederlo. Nonostante il suo sia un mondo dove i cadaveri non vengono seppelliti ma girano il continente dentro a dei barili, dove in un modo o nell’altro si finisce sempre discutere o fare anche solo riferimento al sesso, l’uomo rimane la sua preoccupazione principale. Il personaggio del procuratore, ora spavaldo ora atterrito come un povero gattino, è chiamato a caricare su di sé la condizione dell’uomo, così come avveniva nelle tragedie greche. In balia di un fato ineluttabile, sballottolato da un’imprevedibilità che quasi sempre si traduce in uno o più eventi profondamente negativi, che comportano per lo più un pessimo stravolgimento nell’esistenza di chi ne è vittima. Il novello sceneggiatore chiama in causa anche la religione, alla quale non risparmia il suo inappellabile giudizio. C’è una scena davvero potente, in cui Laura (Penelope Cruz) e Malkina si scambiano confidenze di natura sessuali. Laura, incalzata dalla sua arguta interlocutrice, ammette timidamente di essere cattolica, condizione che la conforta. Ma cosa ne pensa della Confessione, la bella Laura? Qui entra in panne, completamente esposta alle scomode domande di Malkina, la quale, poco dopo, si presenterà ella stessa in confessionale. Lì, scarpe col tacco e pantaloni in pelle attillati, l’unica reazione che ottiene dal sacerdote è una fuga dello stesso, nient’affatto disposto ad ascoltare i perversi racconti dell’impenitente Malkina. C’è poco da fare, ci dice McCarthy, nemmeno la Chiesa ha più la forza di reagire, resasi del tutto impotente dinanzi ad un’evoluzione schiacciante, incontrollata ed incontrollabile. Una resa tanto più terribile quanto più soverchiante, privato com’è l’uomo di ogni mezzo per potersi risollevare.

E solo un cineasta come Scott poteva scolpire con così tanta veemenza ed efficacia il ritratto di un uomo a cui le cose, semplicemente, accadono, senza che abbia nemmeno per un istante il benché minimo controllo su di esse. Lo capiamo quando torniamo a quel primo scambio di battute tra il procuratore e Reiner: quest’ultimo lo avverte che arriverà il punto in cui dovrà inevitabilmente confrontarsi con il dilemma morale per eccellenza. Il personaggio di Fassbinder sorride, capisce e non capisce, ma è sicuro di poter rinviare ancora a lungo quel momento. Finché non gli si presenta davanti nella sua abominevole maestosità, quando ormai è troppo tardi. Anche se forse non c’è mai abbastanza tempo per prepararsi a certe cose.

Insomma, come il procuratore, anche noi siamo davanti a un bivio. O rifiutare a priori la possibilità di essere provocati, scossi dai tanti, troppi interrogativi che McCarthy pone (anche in maniera pedante, concesso), oppure si accetta la sfida posta da un film dai contorni indefiniti, dalle dinamiche slabbrate, che nel suo rifiutare a tutti i costi di accondiscendere ai classici schemi li ribalta, correndo, sì, anche il rischio della disfatta. Ma se non proprio tutto è chiaro dopo la prima visione, se addirittura sfuggono quelli che erroneamente si considerano i passaggi chiave, nessuna paura. Lasciatevi destabilizzare. Ne riparleremo tra qualche anno, forse.

Voto di Antonio: 8

The Counselor – Il procuratore (The Counselor, USA, 2013) di Ridley Scott. Con Michael Fassbender, Penelope Cruz, Cameron Diaz, Javier Bardem, Brad Pitt, Toby Kebbell, Rosie Perez, Dean Norris, Natalie Dormer e Goran Visnjic. Nelle nostre sale dal giovedì 16 gennaio.