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Lone Survivor: Recensione in Anteprima

Basato su una storia vera, Lone Survivor ci porta in Afghanistan durante una missione dei Navy Seals andata male. Ritorno in cabina di regia da parte di Peter Berg subito dopo Battleship

pubblicato 15 Gennaio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 05:09

Che la guerra in Iraq e Afghanistan sia un soggetto oltremodo interessante ad ogni latitudine e longitudine non è difficile immaginarlo. Non si contano i romanzi, i saggi, i film e quant’altro incentrato su una delle pagine più nere a livello globale di questi ultimi dieci anni e qualche cosa. Niente di nuovo sotto il sole. La guerra in Vietnam ha mostrato quanto e quale sia il potenziale sul grande schermo di vicende assurde come queste, basti pensare a film come Platoon, Apocalypse Now o Full Metal Jacket, pellicole successivamente rimaste nella storia.

Ma al di là della tematica, un’altra cosa hanno in comune questi tre film. Qualcosa di meno immediato quantunque evidente a chi vuole vederlo. Alludiamo alla natura per così dire commerciale di questo complesso ventennio. A partire dal suo esito, da subito spacciato per vittoria laddove si trattò di una disfatta, una delle peggiori, ossia quella ai danni di nuove generazioni. Ci volle il cinema per smascherare il prodotto “guerra in Vietnam”, ed infatti parte dell’indiscusso fascino delle pellicole sopracitate risiede proprio nella loro capacità di filtrare una buona fetta di verità, persino attraverso la finzione. Verità preclusa ai più, in un’epoca in cui internet era un termine senza senso ed i cosiddetti canali ufficiali veicolavano la promozione di quel prodotto così come poco tempo prima avevano fatto i pubblicitari ingaggiati dalla dorata industria del tabacco.

Un gene ereditario dunque, ben sedimentato nella cultura americana, quella che come nessun’altra conosce ed esporta concetti cardine della nostra epoca (almeno fino a poco tempo fa) come quello di business. Poteva la guerra ingaggiata in Medioriente da George Bush sottrarsi ad una simile logica? Ecco allora saltar fuori, quasi per riflesso incondizionato, tutta una serie di film a tema; ed anche quando il tema non è al centro, non di rado lo si evoca per vie traverse. Lone Survivor è tratto da un romanzo omonimo, a sua volta basato su una storia vera. Ci viene detto all’inizio.

Come regolarsi, perciò, quando si è “vincolati” dai fatti, dalla memoria dei caduti con relativo rispetto per le famiglie, dalle esigenze del mezzo? Peter Berg opta per l’azione, che a conti fatti contrassegna pressoché l’intero film. Scelta rischiosa, perché se le numerose sequenze a sfondo adrenalinico faticano a passare, hai irrimediabilmente perso lo spettatore. Ed infatti l’esito di Lone Survivor sta o cade proprio sulla resa di quella lunghissima caccia all’uomo tra le colline dell’Afghanistan.

Marcus, Michael, Danny e Matthew sono quattro Navy Seals in missione con l’obiettivo di neutralizzare un esponente dei talebani. Ma qualcosa va storto e da predatori diventano prede. Parte così una estenuante fuga in cui i quattro vengono braccati dalle forze nemiche, numericamente superiori in maniera soverchiante. È in questa fase che emergono alcune delle incertezze più limitanti. D’altronde va dato atto a Berg che gestire l’azione in un simile contesto non è cosa facile e a quel punto non tutto fila liscio. Col fiato dei talebani sul collo, i quattro soldati vengono sottoposti ad una prova di resistenza estrema; anziché soffermarsi un po’ di più sulle implicazioni psicologiche di tale pressione, il tutto passa da una serie di capitomboli dei quattro stile Jackass; sforacchiamenti a mani e piedi; scene pericolosamente vicine al comico involontario laddove, dopo l’ennesimo volo da un dirupo, il malcapitato finisce la sua lunga e dolorosa corsa accanto ad un minaccioso serpente.

Si fa leva, è vero, su una certa umanità quale lusso da non concedersi in guerra, lezione che funge in qualche misura anche da motore in vista dell’imminente, opposto sviluppo. Ad ogni buon conto il risultato è che questa fase del film si prolunga in maniera spossante, più per noi che per i protagonisti. Non basta la seppur apprezzabile crudezza di certe immagini, tra ossa che fuoriescono dalle gambe, sangue a gogò e cadute altamente spettacolari sebbene credibili. Non basta perché le premesse, e per certi aspetti il medesimo svolgimento, ci informano che non è un mero action quello che si voleva metter su, malgrado la chiara propensione a questo genere. Nella prima mezz’ora Berg cerca infatti di intavolare un discorso leggermente più profondo, senza speculare più di tanto però. Conosciamo parzialmente i quattro, le loro storie, ciò che si sono lasciati dietro per partecipare a questa guerra. Durante il sopracitato inseguimento, i quattro più e più volte si fermano per rifiatare, al che Berg approfitta di queste pause per infarcire quelle fasi concitate di timidi approfondimenti di diversa natura, in cui i quattro si aprono, ragionano su quanto sta accadendo loro e si fanno coraggio a vicenda. Un gioco di equilibri precari, che sfugge di mano al regista, il quale non riesce ad infondere la giusta energia per reggere alla lunga.

Il finale, tuttavia, ci mette a parte di un lieve spostamento di prospettiva, magari non inedito ma indicativo di una corrente per così dire revisionista, almeno circa la versione ufficiale più e più volte corroborata al cinema. Hollywood comincia ad ammettere che non tutti gli arabi sono terroristi e che, forse, la stagione della caccia al musulmano è terminata. Siamo ancora ben lungi dalle sfumature ed anche in Lone Survivor i contorni restano netti, sicché gli eroi sono eroi, i cattivi sono cattivi, i buoni sono i buoni. E lo sono da principio. Punto. Una retorica da cui senz’altro non ci si aspetta che siano certe produzioni a prendere le distanze, ma che per certi aspetti dimostra quanto i tempi non siano ancora del tutto maturi per affrontare coraggiosamente questa pagina della storia americana (dunque anche delle nostra storia), nonostante qualche eccezione che conferma la regola.

In tal senso Lone Survivor offre un contributo ben misero, ed anche coloro i quali dovessero in qualche modo apprezzarlo dovranno ammettere che sarà stato in virtù di certe performance da stunt e qualche immagine abilmente cruenta. Altri troveranno sproporzionati gli intenti ma anche la sola narrazione in base alla durata, eccessiva dunque ridimensionabile. Che lo si assimili come opera d’azione o di guerra, poco rileva ai fini di quanto appena evidenziato.

Voto di Antonio: 5
Voto di Federico: 6,5

Lone Survivor (USA, 2013) di Peter Berg. Con Mark Wahlberg, Taylor Kitsch, Emile Hirsch, Ben Foster, Ali Suliman, Alexander Ludwig, Eric Bana, Sammy Sheik, Scott Elrod, Corey Large, Matthew Page, Rich Ting e Frank Powers. Nelle nostre sale dal 20 febbraio.