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I segreti di Osage County: Recensione in Anteprima

Dramma americano dai contorni ironici ed impietosi. I segreti di Osage County ci porta nel cuore di quegli Stati Uniti a cavallo tra civiltà e isolamento con ritratto cupo e cattivo di una famiglia alle prese con il proprio passato. Con non poca ironia ed una eccezionale Meryl Streep

pubblicato 21 Gennaio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 04:57

Una suggestiva panoramica si sofferma su una sconfinata distesa. Il tono mesto, malinconico, quasi nostalgico, ci informa di un territorio essenzialmente vergine, pressoché immacolato. Tale è l’impatto che ti domandi allora come mai I segreti di Osage County nasca come pièce teatrale, riscuotendo peraltro un successo significativo. Sì perché solo in un contesto come il cinema è possibile far fondo ad un testo che, a conti fatti, si presta considerevolmente di più agli enormi spazi di certi luoghi anziché a quelli, più angusti, di un palco.

Certo, inutile negare la solidità di un’azione così ben ritmata, così ben distribuita. Un ritmo che per precisione sfiora l’esattezza matematica, sebbene il calore che emana vada ben oltre il nudo dato di qualsivoglia scienza. L’accostamento ad un meccanismo di pregevole fattura tuttavia rimane. John Wells si dimostra abile direttore d’orchestra, riuscendo nell’ardua impresa di conferire consistenza e coerenza ad un discorso ben più complesso rispetto a ciò che la superficie tenda a suggerire.

Siamo in Oklahoma, nella contea di Osage. Lì, in mezzo al nulla, sorge una villa. Quella della famiglia Weston. Funestata da un lutto improvviso, la famiglia si riunisce per celebrare il funerale di Beverly (Sam Shepard), il capo-famiglia morto a seguito di quello che ha tutta l’aria di essere un suicidio. Le tre figlie, Barbara (Julia Roberts), Ivy (Julianne Nicholson) e Karen (Juliette Lewis) accorrono per sostenere la madre (Meryl Streep), la quale soffre di un tumore alla bocca. Ciascuna di loro, però, si trascina con sé quella vita che non è stato possibile lasciare davanti alla porta. Vale a dire quella serie di problemi e traumi più o meno irrisolti con cui oramai le non più giovani sorelle convivono da anni. Perché lo spettacolo deve continuare e la vita non conosce le buone maniere: ciò che ti affligge così come ciò che ti conforta è sempre lì, ad un passo da te, anzi ti precede, ed è una prima donna.

Difficile dunque non pensare a questo come ad un contesto oscuro, appesantito non solo dagli eventi ma anche da quei personaggi che si trovano in balia di qualcosa che non tentano nemmeno di controllare. Una sfida seria, dove basta il più minuscolo elemento fuori posto per far deragliare tutto. Qui emerge la bravura di Wells, che, come già accennato, si barcamena con disinvoltura all’intero di questo quadretto familiare dai contorni cupi, inizialmente sfuggenti. Un contesto difficile da leggere, specie laddove ad un certo punto si insinua prepotentemente un cinismo che non t’aspetti. Ed allora tutto si mette in moto e capisci che la tranquillità di quei luoghi altro non è che una facciata. Una superficie che da lontano ci mostra tutt’altro.

Bisogna entrare in quelle case, avvicinare quei personaggi, conoscerli, frequentarli, per capire cosa celano quelle distese così pacificanti. Per poi scoprire ciò che si è sempre saputo, ossia che non basta il silenzio per mantenere l’equilibrio: è questo il primo e più essenziale segreto di cui al titolo. Un segreto perfettamente incarnato dal personaggio di Beverly, al quale non a caso è dato di aprire il film. La moglie Violet dirà di lui che proprio tale alone di mistero di cui si circondava l’ha sempre contraddistinto; che non sarebbe stato più lui se non si fosse riservato un po’ di questo mistero. Così è Osage County. Un mistero a cielo aperto.

Si potrebbe procedere oltre nello scandagliare tali personificazioni, luoghi e realtà che prendono forma assumendo le fattezze di uno specifico personaggio. Ma nessuno descrive il malessere di un ambiente tutto come quel fenomenale soggetto che è Violet. Imbottita di pillole nel tentativo di annullare sé stessa e con lei i suoi ricordi. Un profilo schizofrenico, altamente instabile, capace di suscitare amore e disprezzo contemporaneamente. In quella fondamentale scena che è il pranzo di famiglia, dove tutti i componenti sono per la prima ed unica volta riuniti insieme a tavola, è proprio Violet ad accendere la miccia. Il suo imprevedibile cinismo forza ciascuno dei commensali a scoprirsi, almeno una volta. In questo frangente, più che in ogni altro, si impone in maniera indiscussa la statura di una Meryl Streep incontenibile, capace di assecondare appieno l’evanescenza di un personaggio così conflittuale ancorché cruciale in questa storia.

A tavola, tra una mordace battuta e l’altra, la lente d’ingrandimento di Violet punta su quelle crepe costantemente nascoste, tenute al riparo non solo dagli sguardi altrui bensì pure da sé stessi. Imperfezioni acuite col tempo, trattate come si fa con la polvere quando la si mette sotto il tappeto. Il riflesso di quei luoghi così affascinanti, così centrali al fine di cogliere il mood di questa storia, è agghiacciante. Un dramma che sfocia nella commedia, anziché una vera e propria dark-comedy. In cui si lavora per sottrazione, in modo da potenziare all’inverosimile certe estemporanee impennate, rappresentate da quelle rivelazioni che colpiscono come un pugno in pieno volto.

Concreto e credibile poiché dimentico di nulla, sebbene limitatamente a quella piccola fetta che estrapola da una quotidianità radicalmente sfaccettata, dunque complessa. Talvolta stilizzata, è vero. Sempre nelle primissime sequenze, accanto a Beverly troviamo Johnna, una nativa americana ingaggiata col compito di occuparsi di Violet. Un innesto suo malgrado provvidenziale. Johnna è l’unico elemento stabile, e le sue radici la dicono lunga sul senso della sua presenza. Sì perché se Beverly è Osage County così per come è diventata, la nuova badante contempla in sé lo stato primordiale di quei luoghi, così come si è portati a credere che fossero da principio. Manca un solo ingrediente per completare la formula, ossia Violet, il cui ingresso in scena vanifica ogni possibilità di compromesso, evidenziando semmai la sua valenza devastatrice.

Un mix eterogeneo capace di fare scintille, tenuto a bada da una regia notevole, che si serve magistralmente degli spazi fisici dilatandoli in maniera del tutto funzionale al testo, cosa naturalmente impossibile a teatro. Una messa in scena senza sbavature, mai invadente, sempre a servizio di una sceneggiatura impeccabile ma di non facile rappresentazione. Perché ne I segreti di Osage County si sorride, ci si commuove, ci si adira. Un breve, destabilizzante passaggio dalle parti del cuore di un’America profondamente contraddistinta da sfumature. Una vastità disarmante la cui smisurata estensione non riesce a disperdere il disagio di un’umanità abbandonata a sé stessa, concia di desideri, ambizioni, angosce con i quali non sa più come rapportarsi. In tal senso I segreti di Osage County altro non è che un grido di dolore, uno degli ultimi di un moribondo stato delle cose che implora un po’ d’attenzione. Il sarcasmo diventa allora l’unica, estrema misura dietro cui trincerarsi in vista di un ciclone che si avverte sempre imminente. Ma che non arriva, perché, come dice Beverly all’inizio citando T.S. Eliot: «la vita è troppo lunga».

Voto di Antonio: 8,5
Voto di Federico: 8
Voto di Gabriele: 6

I segreti di Osage County (August: Osage County, USA, 2013) di John Wells. Con Meryl Streep, Julia Roberts, Chris Cooper, Ewan McGregor, Margo Martindale, Sam Shepard, Dermot Mulroney, Julianne Nicholson, Juliette Lewis, Abigail Breslin, Benedict Cumberbatch, Misty Upham e Will Coffey. Nelle nostre sale da giovedì 30 gennaio.