Home Recensioni Prossima Fermata – Fruitvale Station: Recensione in Anteprima del film vincitore al Sundance 2013

Prossima Fermata – Fruitvale Station: Recensione in Anteprima del film vincitore al Sundance 2013

L’omicidio di Fruitvale Station risalente al 2009 riporta in auge una delle annose questioni che affliggono tutt’oggi gli Stati Uniti, ossia l’abuso di potere di alcuni poliziotti ai danni di persone di colore. L’esordiente Ryan Coogler ne trae un film a cavallo tra realtà e finzione

pubblicato 27 Gennaio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 04:46

Prossima fermata: Fruitvale Station. Un titolo che è in realtà una sentenza. Nell’edizione dello scorso anno al Sundance, al debuttante Ryan Coogler toccò sorbirsi tanti di quei complimenti che gli valsero Premio del Pubblico e Premio della Giuria come miglior film drammatico. Non c’è che dire come esordio.

La tematica è di quelle che rischiano di stare strette, dato che il raggio d’azione appare in qualche misura limitato per via dei non pochi ricorsi. Un filone non recente, sebbene più volte evocato anche quando non strettamente centrale, vale a dire il serpeggiante razzismo all’interno di certi ambienti in cui simili derive comportano danni più evidenti che altrove. Stupido gonfiare un fenomeno che esiste ma che a conti fatti è ristretto ad un gruppo più o meno rilevante di poliziotti. Abusi che ahinoi non hanno avuto inizio ieri e che a fasi alterne tornano a tenere banco, con conseguenti ripercussioni su una comunità tutta spesso strumentalizzata dai media, che sul dolore, la paura e l’ignoranza di vittime e affini ci specula per sport. Ma di che tratta Fruitvale Station?

Una storia vera. Siamo nella notte di capodanno del 2009. Oscar, la sua fidanzata ed un gruppo di amici sono di ritorno dopo i festeggiamenti in centro nella città di Oakland. A seguito di una schermaglia all’interno di un vagone della metro, Oscar ed i suoi amici vengono fermati e trattenuti da alcuni poliziotti. Ad un certo punto, senza apparente motivo, esplode un corpo d’arma da fuoco. Uomo a terra. Si tratta del ventiduenne Oscar Grant III, il quale morirà la mattina immediatamente successiva per via di un’estesa emorragia interna.

Questi i fatti. Coogler, chiaramente, parte da lontano. L’intero film racconta le ventiquattrore precedenti l’accaduto, seguendo il giovane Oscar attraverso alcune ordinarie tappe. In questo frangente il regista è bravo a cogliere l’intimità nonché il realismo di certe vicende, andando dritto al sodo senza troppi fronzoli. Che si tratti dell’ennesima lite con la compagna o di una cena di compleanno in famiglia, Coogler riesce a dare continuità ad un discorso non semplice proprio per via della routine che è chiamato a rappresentare. Qui emerge il profilo del protagonista, un normale ventenne alle prese con un’esistenza nient’affatto semplice, con alle spalle almeno un’esperienza in carcere ed un passato di cui si vuole sbarazzare.

Dove Coogler cede qualcosa è probabilmente nell’eccesso di stima, se non di amore, verso lo sfortunato Oscar: non a caso il regista esordiente non nasconde affatto di aver vissuto quasi direttamente sulla propria pelle quel tragico evento, dato che si trovava proprio in quella zona quando avvenne, la stessa notte: «avevamo la stessa età, i suoi amici somigliavano molto ai miei, ed il pensiero che qualcosa del genere fosse potuto accadere a Bay Area mi distruggeva», dichiara proprio Coogler. Se a ciò aggiungiamo la comprensibile partecipazione emotiva a quanto avvenuto successivamente, tra veglie e sommosse, è facile comprendere il perché di un simile trattamento. L’idea, nient’affatto originale ma nondimeno abilmente sottoposta, è che il vero dramma stia non semplicemente nel fatto in sé, di suo già tremendo, bensì nel dovere di sopravvivere da parte di amici e parenti. Non a caso il film si chiude proprio su un’inquadratura della vera figlia di Oscar, Tatiana.

Il corollario però dispone una situazione che per certi versi appare “ritoccata”; sensazione che passa sottopelle in virtù della fenomenale interpretazione dei vari attori, Michael B. Jordan in testa. Il rinsavimento di Oscar pare consumarsi quasi interamente nell’arco di quelle ventiquattro ore o giù di lì, il che appare più una scelta volta a drammatizzare l’intera vicenda che altro. Necessità legittima nonché condivisibile, certo, anche perché bisogna in qualche modo caricare la molla lungo buona parte del film, mentre assistiamo a quella sorta di scorcio documentaristico sulla vita dei personaggi principali. Tuttavia, pur non mancando l’impatto emotivo quando il misfatto definitivamente si consuma, non si può negare di aver scorto, anche solo per poco, un intervento di troppo, quella mano del regista che proprio mentre sta per concludere il suo numero di magia viene pizzicato appena un istante prima della conclusione. Eppure, proprio in questo punto di transizione, emerge l’efficace gestione della tensione, con un ritmo coerente quantunque incalzante.

Ad ogni modo c’è da dire che non deve per forza trattarsi di una pecca, specie in relazione al fatto che per Coogler si tratta del film d’esordio e che fino a quel punto regge molto bene. E, con altrettanta onestà, s’ha da riconoscere che senza questo filtro ci saremmo trovati dinanzi ad un documentario tout court, quando invece le premesse erano altre. Ecco, forse è stato proprio questo repentino passaggio da un tenore per lo più descrittivo, un pelo freddo e distaccato, all’abbandono totale ad un sentimento di frustrazione e giustizia in prossimità della fine a dare vita a questo piccolo corto circuito.

Perché la cronaca di quel primo di Gennaio 2009 alla stazione di Fruitvale, Oakland, non lascia indifferenti, per quanto costituisca un episodio tutt’altro che isolato; uno in mezzo ad altri insomma. Forzando lo spettatore ad accostarsi a certi ideali evocati, su tutti il senso di giustizia, successivo, pensante e forse per questo ancora più frustrante. Scopriamo infatti che il poliziotto che sparò al ragazzo ha scontato appena undici mesi di carcere, oltre chiaramente ad essere stato allontanato dal corpo di polizia. Lasciamo ai giuristi dimostrare se una pena del genere sia equa o meno: resta il messaggio, su cui senz’altro possiamo e per certi aspetti abbiamo il dovere di pronunciarci. Nell’ambito di un sistema che tenda quantomeno a scoraggiare certi delitti, così gratuiti dunque evitabili, quale contributo apporta l’esito giudiziario di una vicenda come questa? Quesiti tanto terribili quanto urgenti, specie poiché di mezzo c’è chi la sicurezza dovrebbe garantirla e mai metterla di suo in discussione. Argomenti complessi, non poco delicati e che perciò meritano risposte ben più articolate di quelle che possiamo superficialmente fornire noi in questa sede. Su tutte, però, rimane quella martellante, per certi aspetti infantile domanda: Oscar che se ne farà di tutte queste risposte?

Voto di Antonio: 7
Voto di Gabriele: 5

Prossima fermata – Fruitvale Station (Fruitvale Station, USA, 2013) di Ryan Coogler. Con Melonie Diaz, Chad Michael Murray, Kevin Durand, Michael B. Jordan, Ahna O’Reilly ed Octavia Spencer. Nelle nostre sale da marzo 2014, distribuito da Wider.