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Le Week-End: Recensione in Anteprima del film di Roger Michell

Commedia agrodolce su due non più giovani innamorati alle prese con i tanti anni di matrimonio, giunti all’ennesimo giro di boa. Le Week-End mette ancora una volta in mostra le già consolidate doti di Jim Broadbent e la pungente eleganza di Lindsay Duncan

pubblicato 30 Maggio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 01:14

Un fine settimana speciale per Nick e Meg: sono trent’anni da quando si sono sposati. Un anniversario da celebrare come si deve; ed allora perché non passarlo a Parigi? La città incantevole per eccellenza, la stessa che tanti film, romanzi, canzoni o chi per loro ci hanno trasmesso come l’ideale per due innamorati. Vale anche per due ultra-cinquantenni che hanno trascorso buona parte della propria vita insieme?

Su questa falsa riga si apre e cincischia l’ultimo film di Roger Michell, al quale a quanto pare l’idea del fine settimana è particolarmente cara, reduce com’è da un A Royal Weekend che non ha fatto breccia più di tanto (per usare un eufemismo). Tuttavia lì il fardello furono le “ingombranti” figure storiche di rilievo, tra un Roosevelt e un Winsor di troppo. A Michell è stato non a caso imputato di non essere riuscito affatto a gestire le dinamiche, specie personali, del Presidente degli Stati Uniti, nonostante Bill Murray, probabilmente davvero così scarsamente incisivo come rare volte nella sua carriera.

In Le Week-End si cambia registro, ed il regista di Pretoria si affida a due perfetti ma non per questo (anzi, forse proprio per questo) meno amabili sconosciuti. Lui è un professore di Lettere, lei un’insegnate di Biologia. Buona parte del film, che è un lungo ma necessario preambolo agli ultimi venti minuti, ci informa di questo complesso rapporto tra i due. Nick (il solito, appropriato Jim Broadbent) è innamorato di sua moglie come fosse il primo giorno; Meg (Lindsay Duncan, una signora dalla grazia innata), di contro, sembra essere stufa. Indisponente dall’inizio, quando trascina Nick in un hotel di lusso perché quello prenotato da casa ha le pareti di un colore che non le piace: il rimando è senz’altro a qualche episodio specifico, che però non ci viene saggiamente chiarito.

I due prendono possesso della costosissima suite, vagano per le vie della stupenda Parigi, si insultano, si baciano, si abbracciano, si ripetono quanto non si sopportano e finanche si spintonano. Poi un sorriso e si abbracciano di nuovo. Meccanismi che si possono a malapena sfiorare, tanto è difficile immaginare cosa significhi vivere così a stretto contatto con la stessa persona (inizialmente estranea) per così tanto tempo. Eppure Michell si sofferma proprio su quei momenti che meglio possono descriverci la condizione di ciascuno dei due, in bilico tra la non sopportazione ed il terrore, a quell’età, di ricominciare da capo, specie da soli.

L’andamento è quello di una vicenda vissuta quasi con disincanto, a cavallo tra i ritmi oramai logori di una Parigi filtrata attraverso lenti troppo spesso magiche, artificiosamente magiche, ed un malessere che aleggia e che si percepisce quanto basta per avvertirne il peso. Entrambi, sia Nick che Meg, vivono a proprio modo una nostalgia che li ha come bloccati. La loro relazione, la loro convivenza, è a un punto morto, alla quale è precluso lo step successivo. Serve uno shock, l’immancabile evento imprevedibilmente destabilizzante, per consentire a tale rapporto – e con lui al film – di proseguire.

Dopo una delle loro ragazzate, i due piccioncini vengono infatti colti in piena pomiciata da un vecchio amico di Nick, tale Morgan (Jeff Goldblum). Un cialtroncello che, a differenza del nostro protagonista, ha avuto fortuna e vive ora a Parigi grazie all’ennesimo libro rattoppato da suoi vecchi articoli e pronto a divenire se non un best-seller qualcosa di questo tipo. Personaggio di un’altra tempra, nel senso che quasi non ce l’ha: ha da poco lasciato moglie e figlio a New York senza dire nulla per poi ingravidare una francese e trasferirsi a Parigi. Ad ogni modo, vuole a tutti i costi che i due coniugi appena incontrati partecipino ad una delle sue cene.

A quel punto cause e conflitti sono belli che manifestati; di Nick e Meg conosciamo le ansie e le ragioni che spingono entrambi a tenere un determinato atteggiamento. Serve dunque la miccia, l’episodio catalizzatore, che, oramai si sarà capito, Michell prepara anche troppo bene. Senza calcare troppo la mano, però, anche in questo caso il regista riesce condurre in porto la scena, assecondando ancora una volta la calma e la tranquillità che contraddistinguono per intero Le Week-End. A quel punto non resta che chiudere il cerchio, si fa per dire, e concludere questa asfissiante ma non per questo meno tenera tre giorni in cui è successo più di quanto i due amanti fossero disposti a riconoscere in partenza.

Una commedia agrodolce insomma, sulla fatica e la difficoltà di invecchiare insieme più che su termini alti e non di rado annacquati come “amore”. Un discorso che volendo prosegue quanto portato avanti a più riprese da Linklater nei suoi Before…, sebbene il piglio sia diverso. Nondimeno la vicenda è stimolante, i due attori protagonisti sono bravi e adorabili, e la regia di Michell non si lascia soggiogare in toto dalla tendenza, ineludibile, ad un certo classicismo. Poche le prese di posizione ma centrate, all’interno di uno scenario in cui vengono tenute in debita considerazione quante più istanze possibili, anche a costo di non affondare troppo nel merito di certe questioni. Meglio così. E meglio la sintesi che ne fa Nick in uno dei suoi involontari aforismi: «Non puoi fare a meno di amare e odiare la stessa persona. Ed in base alla mia esperienza tutto ciò di solito avviene nel giro di cinque minuti».

Voto di Antonio: 7

Le Week-End (Regno Unito/Francia, 2014) di Roger Michell. Con Jim Broadbent, Lindsay Duncan, Jeff Goldblum, Olly Alexander, Judith Davis, Xavier De Guillebon, Denis Sebbah, Marie-France Alvarez, Brice Beaugier, Sébastien Siroux, Lee Breton Michelsen e Charlotte Léo. Nelle nostre sale da giovedì 12 giugno.