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Mai così vicini: Recensione in Anteprima

Dal regista di “Harry ti presento Sally” e “Non è mai troppo tardi”, ecco una nuova commedia romantica targata Rob Reiner. Non troppa retorica nel gradevole Mai così vicini, che però non va oltre la confezione

pubblicato 3 Luglio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 00:19

Non a tutti capita di godersi una pensione talmente decorosa da poter mandare al diavolo tutto e tutti. Trattasi di un privilegio per sempre meno esemplari di bipedi senzienti, che da Schopenhauer in giù hanno costruito la propria fortuna a suon di liberalità sparse. Torniamo coi piedi per terra e parliamoci chiaro: chi non dipende da niente e da nessuno può fare un po’ quel che gli pare. E così è per Oren Little (Michael Douglas), “eroico” agente immobiliare che oramai esercita la professione per hobby, dato che un nome ce l’ha e le risorse non gli mancano.

Scontroso, sboccato, irritante, sarcastico, sono solo alcune delle coordinate buone ad inquadrare tale personaggio. Vive al piano terra di un minuscolo agglomerato di appartamenti, i suoi vicini ignari che l’affitto che puntualmente sono tenuti a pagare lo pagano proprio a lui, il buon vecchio Little. Accanto a lui vive una donna, Leah (Diane Keaton) che di anni ne ha più o meno quanto lui, ma che, al contrario di lui, è gentile ed affabile, sempre col sorriso sul volto. Il cocktail è servito.

Rob Reiner, per sua stessa ammissione, fa sempre lo stesso film. Da una parte c’è la donna emotivamente matura, fragile ma al tempo stesso risolta nelle sue pulsioni ed in generale nel suo approccio alla vita e dunque ai rapporti; dall’altra c’è l’uomo, l’insubordinato stronzetto ricolmo di boria, tracotante, la cui mania di controllo denota un infantilismo alquanto singolare: finché ovviamente non arriva la donna, quella donna, che in qualche modo lo redime. Tanto basta, anche a ‘sto giro, per descrivere Mai così vicini, che è una commedia sul serioso andante circa l’amore ai tempi della dentiera.

Ironia becera a parte, a onor del vero Reiner non si prende affatto gioco dei suoi personaggi, dunque di coloro che oramai si affacciano alla cosiddetta terza età. Non c’è compiacimento nella rappresentazione di quel periodo della vita in cui di solito si comincia a tirare le somme, né cede troppo agli stereotipi da commedia romantica, quantunque qualche concessione appare d’obbligo. Il film è gradevole, senza prefiggersi chissà quali obiettivi se non quello di accompagnarci alla fine di questo segmento che è il passaggio da una solitudine strenuamente voluta e difesa, alla riconciliazione con sé stessi e perciò col proprio passato prima ancora che col mondo intero.

Per riuscirci Reiner si rivolge a due attori che non sono esattamente gli ultimi arrivati, e se la sempre affascinante signora Keaton talvolta sembra lasciarsi prendere un po’ troppo la mano in certi contesti meno grevi, Douglas ci pare sia ancora lì: se non sulla cresta dell’onda, giusto un attimo dietro. Tocca a loro reggere una sceneggiatura davvero basilare, per certi versi un modello applicato. Non dispiace però che Reiner riesca a limare, perché in contesti del genere, così densamente codificati, è opportuno lavorare parecchio per sottrazione. Dunque gli eccessi vengono contenuti e, per dire, uscite tipiche e telefonate vengono in qualche modo dissimulate. D’altronde immaginate due vedovi, disincantati come non mai, mentre si conoscono e s’infatuano l’uno dell’altro come fossero dei ragazzini. Qui la retorica del «l’amore non ha età» si fa fortunatamente piccola, maneggiando l’argomento con un po’ più di rispetto a differenza di certi trattamenti da romanzo rosa. E poi c’è l’anziana donna che lavora da una vita con Oren, innesto riuscito, messo lì proprio a stemperare l’atmosfera vagamente passionale.

Tuttavia alla lunga la prevedibilità e la staticità di quanto avviene sullo schermo finiscono col distrarre lo spettatore, né i singoli episodi riescono a tenere stretto quest’ultimo. Perché in fondo certe commedie, proprio perché variazioni sul medesimo tema, necessitano di quel lampo, quell’intuizione che tenga desta non tanto l’attenzione quanto il coinvolgimento, componente in relazione alla quale tante, troppe commedie di questo tipo tendono a perdersi o disperdersi. A dispetto di alcuni momenti genuinamente spiritosi, le dinamiche si trascinano stancamente sino a quell’epilogo che abbiamo già definito inevitabilmente ipotizzabile.

La buona notizia (perché c’è) è che Michael Douglas, reduce da una già notevole prova in Behind the Candelabra, anche nell’ambito di un progetto più modesto come Mai così vicini dimostra di avere ancora qualche freccia al proprio arco. Merito suo, è chiaro. Non ahinoi di un film che in realtà a tanto aspira e tanto ottiene. Può essere piacevole per alcuni, privo di alcun interesse per altri. In fondo non era sua intenzione aggiungere o togliere nulla a una tematica su cui al cinema più superficialmente ci si sofferma e meno si chiarisce: quella della terza età come nuovo inizio, non solo in amore. E se allo scopo di non deprimere più di tanto si tende sempre a spostare in maniera birichina l’attenzione su altro, è chiaro che non tutti siano disposti ad accettare una visione così conciliante, dunque rischiosamente insincera. Anche per una commedia, certo. Ci mancherebbe.

Voto di Antonio: 5
Voto di Federico: 6,5

Mai così vicini (And So It Goes, USA, 2014) di Rob Reiner. Con Michael Douglas, Diane Keaton, Sterling Jerins, Frances Sternhagen, Rob Reiner, David Aaron Baker e Frankie Valli. Nelle nostre sale da giovedì 10 luglio.