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Hungry Hearts: Recensione in Anteprima

Con Hungry Hearts Saverio Costanzo confeziona il film più urgente, ossessionato ed inquietante visto fino ad ora in Concorso al Festival

pubblicato 31 Agosto 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 22:40

Due ragazzi si conoscono nella toilette di un ristorante cinese della Grande Mela. Non bastasse la location, le circostanze sono per certi versi ancora più bizzarre: Mina e Jude restano chiusi all’interno. Oltre all’olezzo, il luogo è decisamente angusto: in due si sta già stretti. In attesa dei soccorsi non resta dunque che chiacchierare, conoscersi un po’. Viene fuori che lei (Alba Rohrwacher) è un’italiana che lavora presso l’ambasciata, mentre lui (Adam Driver) fa l’ingegnere. Questa prima scena è girata totalmente in pianosequenza, giusto per trasmettere quel disagio che i due perfetti sconosciuti attraversano in quei concitati momenti, ideali per non dimenticare mai più quell’incontro.

Un incontro, però, che muta in qualcosa di ben diverso, ovvero una relazione. New York è la cornice per eccellenza degli incontri casuali sfocianti in tutt’altro, non per forza qualcosa che abbia a che vedere col sesso. Metropoli atipica, unica, per tanti, troppi aspetti alienante. Senza alcun riferimento specifico, il film ci catapulta in un appartamentino che i due giovani condividono. Costanzo non va tanto per il sottile e brucia le tappe: di lì a poco Mina resta incinta.

A marce forzate la storia procede senza curarsi del trascorrere del tempo, né tantomeno soffermandosi su tutti quei passaggi intermedi che ci consentono d’inquadrare per bene cosa stia accadendo. Urge a questo punto una precisazione, che è di capitale importanza per avere anche solo una vaga idea circa il tipo di operazione alla quale Saverio Costanzo ci sottopone in Hungry Hearts; e cioè che si tratta per lo più di un esperimento. Non necessariamente qualcosa di nuovo o originale tout court, ma se già si pensa che il film ha tutta l’aria della produzione indipendente americana, diretta però da un italiano, si ha il polso di qualcosa di inusuale. In tal senso quel primo, spassoso pianosequenza risulta quasi ironico, se confrontato con il resto del film, in cui i tempi vengono diluiti ed accelerati in continuazione, secondo logiche di gusto più che veri e propri criteri. L’arte non è la matematica, certo, ma sfidiamo a trovare qualche altro cineasta in Italia, tra quelli attivi, che sia capace di arrivare a tanto.

Anche perché Costanzo non si limita a quanto appena evidenziato. Hungry Hearts è un film che, tra le altre cose, è girato con cognizione di causa. Tecnica al servizio di quanto si sta rappresentando o di ciò che si vuole far passare, non viceversa. In tal senso le misure più notevoli coinvolgono l’aspetto visivo non meno di quello sonoro. Ci arriveremo. Per ora torniamo brevemente sulla vicenda centrale.

Senza metterci a parte di alcunché, si capisce che i due hanno deciso di tenere il bambino. Senonché Mina manifesta i sintomi di un cambiamento che la stravolge sempre di più col passare del tempo. Non ancora mamma, intuiamo che si sta accostando a letture inerenti a medicina, alimentazione e metodi alternativi in genere; diventa insofferente verso la cosiddetta medicina ufficiale, con annesse prassi e raccomandazioni. In una fase così delicata come la gravidanza vi lasciamo immaginare quali e quante ripercussioni possa avere tutto ciò nella psiche del singolo ma pure della coppia.

Finché il bimbo non nasce e, attraverso l’espediente dei messaggi lasciati in segreteria dagli amici, scopriamo che Jude e Mina si sono trincerati a casa. Lei vive costantemente accanto al bambino, come se quest’ultimo fosse una sua pertinenza e nulla più. Lo stesso bimbo che però appare malnutrito, più piccolo rispetto a quanto dovrebbe essere. Il fatto è che Mina ha imposto al neonato una dieta vegana strettissima, oltre a preservarlo da qualunque tipo di esposizione potenzialmente nociva: si faccia attenzione a come si rivolge a Jude quando quest’ultimo, appena arrivato a casa da lavoro, allunga una mano per accarezzare il piccolo; la madre sottrae malamente l’infante intimando al padre di lavarsi le mani, sebbene con calma. Sono i prodromi di una condizione che per tutto il film andrà sempre più degenerando.

È stato detto che Hungry Hearts manchi di coinvolgimento emotivo, che si mostri dunque distaccato, perché essenzialmente brutale nel mostrare le dinamiche di questa coppia alle prese con un bambino arrivato dall’oggi al domani. Sarà… ma, di nuovo, sfidiamo a trovare nel nostro cinema contemporaneo un regista che giochi così tanto coi generi servendosi di elementi presi un po’ da più parti, al fine di ricreare una specifica atmosfera. Gli echi in questo caso sono un po’ quelli à la Polanski, a cavallo tra un Rosemary’s Baby e un Repulsione, dunque un taglio che vira all’horror.

Ed in fondo Hungry Hearts inquietante lo è, anzi, è il più inquietante dei film visti fino ad ora in Concorso qui alla Mostra. Ma è anche il più urgente, e lo è in maniera trasversale. Per il cinema italiano tutto, al quale si chiede spesso, esplicitamente o meno, di osare; salvo poi mortificare certi tentativi di alzare la testa, ripudiando siffatte opere quasi come figli non voluti. Per i temi trattati, che vanno oltre i toni ossessionati ed ossessionanti su cui certamente fa leva il film quando parla di diete e metodi naturali, tanto in voga e diffusisi vertiginosamente negli ultimi anni, complice anche internet (sebbene Costanzo questa cosa non ce la dica, rimanendo saggiamente vago sulle fonti). Ma anche per questioni di carattere universale, archetipico oseremmo dire; Hungry Hearts è in fin dei conti una storia di madri e di ciò che queste sono disposte a fare per il bene dei propri figli, a prescindere dai giudizi di merito.

Ciò che dunque il film ci nega in termini puramente inclusivi, di coinvolgimento diciamo, lo restituisce con gli interessi relativamente alla tensione palpabile per buona parte del film. I più attenti avranno qui colto un’appendice a quanto scritto sopra riguardo ai generi: sì, Costanzo prende in prestito anche dal thriller, e da Hitchcock in particolar modo. Senza farsi però limitare dalle fonti, il più delle volte addirittura ingombranti qualora fossero osservate con scrupolo religioso. Eppure la scelta del formato 4/3, gli obiettivi deformanti l’immagine e certi altri piccoli ma sostanziali accorgimenti sono lì a gridarci che non sono lì a caso ma che invece intendono dirci qualcosa e quella cosa soltanto. Non bastasse il poco spazio all’interno dell’inquadratura, Costanzo lavora per lo più in aree molto ridotte, attraverso piani stretti o addirittura strettissimi. Ad un certo punto, per esempio, grazie a un intervento squisitamente tecnico, Mina viene ripresa da una prospettiva che ce la mostra come una alieno – la forma è quella, così come l’effetto che si voleva ottenere.

Peccato che non sia adeguatamente bilanciato, dato che nell’ultima parte Hungry Hearts soffre di una certa tendenza a ripetersi, oltre a cadere in involontari momenti comici, come quello della madre di Jude che appare da più parti della stanza come se si fosse teletrasportata. Trattasi tuttavia di peccati a nostro parere veniali, o quantomeno perdonabili. Il film di Saverio Costanzo rappresenta un segnale oltremodo positivo per il nostro cinema e, tolto questo, è un’opera intelligente, coraggiosa e quasi del tutto riuscita. Quasi. A tutto ciò vanno aggiunte le ottime prove sia della bellissima e maledetta Alba Rohrwacher (salvo sorprese, Coppa Volpi ipotecata) che del più che promettente Adam Driver, il quale ha da poco superato i trenta e professionalmente è non poco impegnato.

Non sappiamo cosa augurare ad Hungry Hearts. Un po’ perché i premi, che non vanno mai sottovalutati, a noi che non siamo in lizza per alcuna cosa interessano relativamente; un po’ perché un film così, in ottica Palmares, presuppone una Giuria non meno spericolata di coloro che l’hanno girato. Per il momento mettiamo agli atti che il film di Saverio Costanzo è senz’altro quello che ci ha scosso di più, perché, nel suo piccolo, ha tentato di rispondere a numerosi quesiti, di quelli che quasi nessuno pone ma la cui fastidiosa importanza la si avverte nell’aria. Al tempo stesso, chi pensasse che qui si stiano premiando le intenzioni e null’altro, incorerebbe in un grave equivoco. Hungry Hearts rappresenta già adesso uno degli acuti maggiori di questo Festival, oltre che una provocazione quanto mai necessaria e utile limitatamente al nostro cinema. Che non deve conoscere confini, perciò andrebbe bene uguale se il processo (ri)partisse da New York e non da Roma; la quale, anche in fatto di Cinema, sembra avere tristemente smarrito la fede – anche se, grazie al cielo, sappiamo che non è così.

Voto di Antonio: 8,5
Voto di Federico 7.5
Voto di Gabriele: 5

Hungry Hearts (Italia-USA, 2014) di Saverio Costanzo. Con Adam Driver, Alba Rohrwacher, Roberta Maxwell, Al Roffe, Geisha Otero, Jason Selvig, Victoria Cartagena, Jake Weber, David Aaron Baker, Natalie Gold e Victor Williams.