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Tales (Ghesseha): Recensione in Anteprima

Unico film iraniano, nonché unico diretto da una donna, in Concorso, Tales (Ghesseha) di Rakhshan Banietemad è un interessante esperimento corale alla ricerca dei ruoli all’interno di una società che risente dell’incedere dei tempi. A fatica, inutile negarlo, riesce però a parlarci dell’Iran contemporaneo

pubblicato 1 Settembre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 22:40

Tales parte da una premessa, che è quella di guidarci attraverso un ambiente. L’Iran dei giorni nostri, con le sue tare ed i suoi limiti, ma anche con le sue tradizioni e la sua gente. La prima scena vede un documentarista salire su un taxi e nel frattempo riprendere le vie semi-buie della città, incalzato dai discorsi del tassista che non la smette più di parlare. Poco dopo il regista scende ed al suo posto sale una giovane donna con in braccio un bambino. L’atmosfera è ambigua, il conducente sa che tipo di donna si tratta e che non ha un centesimo per pagare; al tempo stesso, però, non riesce ad abbandonarla sul ciglio della strada facendosi carico di entrambi. Dopo qualche minuto scopriamo che i due in realtà si conoscono, ed allora il proprietario del taxi decide di acquistare dei medicinali. Al ritorno dalla farmacia madre e bimbo non ci sono più. Spariti.

Questi due passaggi, prima il documentarista poi la madre col figlio febbricitante, racchiudono in qualche misura lo schema del film. Perché Tales parla tanto di uomini quanto di donne, e della crisi che i due generi stanno attraversando in un’epoca troppo soffocante per culture rimaste così intatte nel corso degli ultimi secoli. In discussione c’è infatti la società tendenzialmente patriarcale dell’Iran, vuoi per il retaggio di stampo fortemente religioso, vuoi perché i popoli del Medio Oriente su tutti si fondano su una struttura spiccatamente primitiva, senza alcun giudizio di merito.

La regista, Rakhshan Banietemad, classe ’54, è in assoluto uno dei cineasti più prolifici del suo paese. Oltre venti le sue opere, tra film di finzione e documentari, spalmate nel corso di meno di quarant’anni. E non che la lavorazione di Ghesseha abbia rappresentato una sfida da poco, ed in parte le difficoltà si avvertono durante la visione: lunghi pianosequenza, tanta improvvisazione, sceneggiatura pressoché assente. Il lavoro della Banietemad consiste nella raccolta di episodi e situazioni della vita di tutti i giorni, come le lamentele presso un ufficio governativo, l’organizzazione di un corteo presso una fabbrica che ha sensibilmente ridimensionato il personale. E questo per quanto attiene a dinamiche di carattere generale, malgrado le parti più riuscite siano quelle rivolte a storie individuali, tutt’al più familiari.

L’operaio che sposa una donna in seconde nozze, la quale però è l’unica a portare uno stipendio a casa, è funzionale in entrambi i sensi: da un lato ci informa di certi aspetti culturali specifici, dall’altro riesce a drammatizzare in maniera piuttosto efficace un presunto tradimento. Data la natura del progetto, è a certi episodi che bisogna rivolgersi per scorgere quell’intensità che non a caso il film raggiunge solo nei dialoghi a due. Oltre a quello appena citato ve n’è un altro, bellissimo, che chiude di fatto le danze. Colpisce la naturalezza e la spontaneità di questi attori che rendono credibile anche il gesto più banale, dando vita a botta e risposta vivaci, ma soprattutto interessanti.

Tales è insomma l’opera festivaliera pressoché per eccellenza, che scava concedendosi il tempo che serve, che non si preoccupa di irritare lo spettatore per via di un’indagine che non si risolve e che a rari tratti soffre pure di una forse necessaria semplificazione. Specie in un contesto spiccatamente corale, nel quale ad uscirne benissimo è la donna, vera colonna portante in un ambiente come già osservato patriarcale. Patriarcale sì, talvolta anche in maniera ingiusta probabilmente, ma Tales ci dice che definirlo maschilista sarebbe un controsenso. La donna, così come calata in svariate situazioni dalla Banietemad, non rivendica nulla, fa. E d’altronde non ne ha bisogno perché, malgrado le difficoltà e i presunti ritardi, quel sistema regge nella misura in cui la donna, magari silenziosamente, opera in prima linea. Da protagonista. Perché se è vero che il focolare in società tradizionali rappresenta l’ambiente primo, centro ed anticamera di tutti gli altri, beh… non può esistere focolare senza almeno una donna che lo tiene in vita. Qualcosa che l’uomo, lasciato a sé stesso, mai potrà fare.

Voto di Antonio: 6

Tales (Ghesseha, Iran, 2014) Rakhshan Bani-Etemad. Con Habib Rezaei, Mohammad Reza Forutan, Mehraveh Sharifinia, Golab Adineh e Mehdi Hashemi