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Tartarughe Ninja: Recensione in Anteprima

Dopo sette anni dall’ultimo tentativo, uno dei fenomeni di maggior rilievo tra gli anni ’80 e ’90 ci riprova in chiave ancora più contemporanea. Tartarughe Ninja di Jonathan Liebesman sembra un ulteriore tassello della filmografia di Michael Bay. Con le dovute proporzioni

pubblicato 11 Settembre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 22:17

Tocca riconoscerlo: il marchio Teenage Mutant Ninja Turtles non ha mai avuto tutta questa fortuna in sala. E c’è da comprendere il perché, alla luce di ben tre titoli usciti al cinema tra il 1990 ed il 1993, sull’onda del considerevole fan base più che per altri meriti. Le Tartarughe Ninja rappresentano un fenomeno che a cavallo tra gli ’80 e i ’90 ha inciso non poco sulle generazioni orientativamente tra i 3 e i 12 anni di quel periodo. Tra fumetti, serie televisive e giocattoli, un vero e proprio impero come oggi è difficile spiegare se non si è abbastanza competenti nel descrivere casi simili.

Nel 2007 la Warner tentò la carta animazione ma al di là di un riscontro tutto sommato positivo al botteghino, resta la velleità di un franchise che arrivava fuori tempo massimo, sebbene proprio in quel periodo si tentò in tutti i modi di rilanciarlo – spiacente, i tempi erano cambiati. Tartarughe Ninja versione 2014 nasce in fondo con gli stessi vizi, ossia quello di sembrare un prodotto pericolosamente anacronistico, troppo poco recente per avere voce in capitolo ma non abbastanza da poter essere ripescato come materiale vintage.

E dire che Michael Bay e soci ci hanno provato, a partire dall’intuizione di un live-action pompato a CGI, tanto in voga fra un Transformers ed un Pacific Rim (c’è chi si arrabbierà per tale accostamento, ma non è un paragone eh). Era infatti impensabile restare ancorati a quei costumi che però, in fondo, rappresentavano una delle poche cose interessanti dei vecchi Tartarughe Ninja. Via tutto allora, spazio alla computer grafica, che a questo giro asseconda anche altri canoni: le tartarughe di oggi sono grandi il doppio e non sono semplicemente dotate, bensì superdotate. Quantunque in cabina di regia sieda Jonathan Liebesman e non Bay, non è praticamente possibile emancipare quest’opera dall’influenza di uno dei Re Mida di Hollywood, che non a caso pare voler reinterpretare il brand in chiave Transformers.

Anzi, proprio perché a priori l’incipit delle Tartarughe Ninja si presta a un discorso del genere potremmo dedurre l’interesse di Bay, che in questi vituperati eroi dai poteri soverchianti, tanto odiati da quegli uomini che invece proteggono strenuamente, potrebbe averci visto una naturale prosecuzione del discorso fatto con i personaggi Hasbro. Da qui il trattamento riservato a questa sorta di reboot, tanto pompato in termini visuali quanto scarno a livello di scrittura.

Ciò che balza all’occhio in maniera lampante è esattamente questa approssimazione in sede di scrittura, che va oltre i formati classici per questo genere di produzioni, facendo sì che il film proceda verso la fine per inerzia. Un film che vive di battute estemporanee (riuscite solo nel caso di Michelangelo, manco a dirlo il più simpatico di tutti, tra un riferimento pop e l’altro), di qualche sequenza d’azione talvolta centrata altre semplicemente confusa, oltre che dell’immancabile Megan Fox, alla quale è stato in parte affidato il compito di trainare il progetto in termini promozionali. Ma questo forse non andrebbe detto.

La Fox è qui April O’Neil, ambiziosa giornalista in erba di Canale 6, che cerca disperatamente lo scoop della svolta, lei che non va oltre alcuni servizi di rilevanza marginale. Finché non incappa in questa banda che riesce addirittura ad infastidire il Clan del Piede, ancora una volta capeggiato dal temibile Shredder. Eccolo lì, Shredder. In un delirio cyberpunk il villain per eccellenza viene qui trasformato in un robottone con tanto di armatura in linea con i più arcigni progetti del genere. Il giustificato intento modernizzatore degli autori sfocia dunque in quella standardizzazione che sembra l’unica risorsa alla quale oggi produzioni ad altissimo budget riescono a votarsi.

Le quattro tartarughe sono quindi dei supereroi indistruttibili, di dimensioni spropositate rispetto alla media, più affini al contesto contemporaneo, apparentemente affamato di eroi ordinari ma non troppo, capaci di risollevare le nostre sorti. Ma seppur dotati, il loro vero potere resta il gruppo, ossia il combattere l’uno a fianco all’altro; traccia che emerge alla fine, anche se non viene mai taciuta.

A dispetto del boom al botteghino americano, questo Tartarughe Ninja rimane perciò un’operazione essenzialmente debole, che in tal senso ha senza dubbio davanti una strada in discesa, anche e soprattutto per via di quei mercati cosiddetti emergenti come la Cina. Sarebbe però ora che produzioni di questo tipo facessero un balzo in avanti, confidando meno sulla mera forza bruta in termini visivi, a vantaggio di una scrittura che non si limiti a mettere insieme più sketch, esplosioni e scazzottate. Non parliamo del trattamento ai personaggi, un po’ perché inesistente (ciascuna delle quattro tartarughe contempla un profilo scriptato in origine, perciò), un po’ perché rischieremmo di svelare situazioni che preferiamo non anticiparvi – se del caso, vi farete lasciare perplessi per conto vostro.

Se ci si aspettava il game changer, dunque, abbiamo brutte notizie per voi. In caso contrario, resta il blockbusterone (definizione non casuale) da intrattenimento, che intrattiene in un modo specifico, ossia alla maniera di Michael Bay – l’ultima esplosione poco prima della conclusione sembra addirittura un’auto-parodia. Prendere o lasciare insomma.

Voto di Antonio: 4
Voto di Federico: 4

Tartarughe Ninja (Teenage Mutant Ninja Turtles, USA, 2014) di Jonathan Liebesman. Con Megan Fox, Will Arnett, William Fichtner, Alan Ritchson, Noel Fisher, Pete Ploszek, Jeremy Howard, Abby Elliott, Danny Woodburn, Minae Noji, Whoopi Goldberg, Ami Sheth, Michelle Guo, K. Todd Freeman ed Alexander Jameson. Nelle nostre sale da giovedì 18 settembre.