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Roma 2014 – Last Summer: Recensione in Anteprima

Rinko Kikuchi protagonista di Last Summer, dramma minimalista a tinte metafisiche su una madre e la sua separazione forzata dal figlio

pubblicato 18 Ottobre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 21:16

Un lussuoso yacht nei pressi della costa pugliese è la location di Last Summer, il cui dramma si consuma pressoché interamente all’interno di questa imbarcazione-prigione. Non è infatti casuale, al di là di qualunque altra logica, la scelta di Rinko Kikuchi quale protagonista di questo film diretto da Leonardo Guerra Seràgnoli.

Last Summer rappresenta un ritratto ampiamente minimalista, sia nella struttura che nei contenuti, di una condizione più che di una vicenda specifica, che chiaramente c’è, ed è quella di una madre che incontra il proprio figlio in una cornice che stona con l’atmosfera da addio che si avverte dall’inizio alla fine. Naomi (Rinko Kikuchi) è una giovane donna giapponese alla quale vengono concessi quattro giorni per vedere suo figlio di sei anni; questo per volontà della facoltosa famiglia dell’ex-marito, occidentale, a differenza di Naomi.

Trattasi d’informazioni che è per lo più possibile inferire dal dipanarsi della trama, senza che ne vengano mai chiariti i contorni. Lo spettatore vive gli eventi quale unico all’oscuro di quanto accaduto precedentemente, al contrario dei membri dello staff, che sembrano essere invece al corrente di dettagli di cui non verremo mai messi a conoscenza. È, come già rilevato, la cifra di un film che opera per sottrazione, celando alla vista e alla nostra consapevolezza più elementi possibile.

Oltre alla già citata ambientazione, circondata da un mare sconfinato, sebbene nei pressi della costa, vi è anche la costruzione della scenografia e dei costumi, componenti alle quali Milena Canonero ha lavorato assecondando in toto l’anima dell’opera. Questo per quanto riguarda lo spazio tangibile; poi c’è quello percepibile, che funziona praticamente allo stesso modo. Sì perché Last Summer indugia costantemente su uno sguardo, sull’imbarazzo di una situazione, sulla difficoltà di trasmettere un sentimento, mostrando un riserbo di matrice spiccatamente orientale. Malgrado si tratti di una produzione italiana, girata in lingua e con attori stranieri, è su tale mescolanza che Seràgnoli fa principalmente leva per acuire quel senso di alienazione quasi metafisica.

In quel brevissimo lasso di tempo Naomi deve infatti riuscire a veicolare tutto ciò che non ha mai potuto dire (né forse potrà più dire) a suo figlio, impresa dal coefficiente di difficoltà ancora più elevato se si pensa alla ritrosia, quando non al vero e proprio ostracismo, da parte dei membri dell’equipaggio, qui in veste di ostili “sorveglianti” (anche se…). Una storia dall’incedere molto lento, il cui senso (o per lo meno la sua “comunicazione”) passa per lo più dal non detto, da situazioni limate, che richiedono allo spettatore d’interpretare.

Aspetto, questo, che è un po’ una lama a doppio taglio, perché Last Summer non è esattamente un film immediato, per quanto ridotto all’essenziale. Che punta, consapevolmente o meno, per lo più ad essere elaborato in modo cerebrale, visto che di scosse emotive se ne registrano poche – né sinceramente crediamo che fosse questa l’ambizione alla base dell’opera. Giunti al culmine sì, qualcosa anche in quel territorio si muove, ma certo è che se fino a quel momento non si è riuscito a seguire il discorso difficilmente è possibile cogliere la forza emotiva che il film tenta di sprigionare nelle ultime battute.

Non vorremmo però fuorviare, lasciando credere che Last Summer sia per lo più mera operazione intellettuale. Nulla di più sbagliato. A tratti sembra più di assistere ad una parabola mitica, con un sottotesto quasi fiabesco, che non disdegna qualche accenno simbolico pur non spingendo troppo in tal senso. Su tutto si potrebbe serenamente parlare della storia di una madre che vive la separazione forzata dal figlio con una nobiltà, oseremmo dire, d’altri tempi; la maschera che Naomi costruisce nel corso del film per il figlio ci suggerisce questo richiamo, quasi un monito, a non voler sfidare quel “destino” che li tiene lontani, sia esso il fato o la volontà di uomini.

Perché è di questa matrice ancestrale che è impregnata l’intera narrazione, dove l’economia di elementi si fa portavoce di messaggi o quantomeno veicolo di significati – come il mare, piatto e imperturbabile, analogamente al ritmo placido ed estremamente cadenzato della storia. E proprio per ricollegarci a quanto evidenziato sopra in merito all’impronta di Last Summer, la sua freddezza viene in poche ma significative occasioni stemperata da certi episodi contrassegnati da una nostalgica dolcezza di fondo. Anche qui, purtroppo si ha l’impressione che si faccia fatica ad andare fino in fondo a queste sensazioni, correndo perciò il rischio di recepirle in maniera eccessivamente distaccata.

Insomma, un film che senz’altro si prende dei rischi, poco incline com’è al compromesso, ché la sua impronta minimalista è già sufficiente. Alludere a una certa noia è probabilmente ingeneroso, ma trattandosi di un rischio concreto, oltre che contemplato, non ci pare opportuno fare a meno di menzionarla. Tuttavia qualcosa c’è e lo si avverte per l’intera durata di Last Summer, a cui va tra l’altro riconosciuto di non tentare percorsi astrusi e puramente concettuali, a dispetto di una storia fortemente ancorata a concetti dal retrogusto filosofico, orientaleggiante.

Voto di Antonio: 6

Last Summer (USA-Italia, 2014) di Leonardo Guerra Seragnoli. Con Rinko Kikuchi, Lucy Griffiths, Yorick van Wageningen, Laura Bach, Daniel Ball e Ken Brady. Nelle nostre sale da giovedì 30 ottobre.

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