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Nessuno si salva da solo: recensione in anteprima

Tra il dramma di coppia e il dipinto generazionale, Nessuno si salva da solo si sofferma in maniera incerta su questioni attuali attraverso un approccio oramai passato

pubblicato 26 Febbraio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 17:46

Delia esce di casa lasciando i bambini alla nonna. Quest’ultima chiede alla figlia chi sia il fortunato ma Delia, con uno sguardo glaciale, fulmina la madre in silenzio e si lascia la porta alle proprie spalle. Il punto è che la cena di stasera è con l’oramai ex-marito, Gaetano, e dato che la ferita è ancora fresca non se la sente di sbilanciarsi.

Avviene tutto in una sera, in cui Delia (Jasmine Trinca) e Gaetano (Riccardo Scamarcio) s’incontrano non si sa se per demolirsi a vicenda o per riavvicinarsi. Nessuno si salva da solo è il risultato dei lunghi flashback che riaffiorano nel corso di questa cena, ripercorrendo la storia d’amore tra i due. Una storia, manco a dirlo, fatta di passione, viscerale all’inizio, tiepida, quasi assente verso la fine. Niente di straordinario insomma.

Ciò che resta in qualche modo da fare è sviscerare tale ordinarietà, anzi, quest’ode all’ordinarietà che muta in un realismo sfrenato, perciò rischioso. Con Nessuno si salva da solo sembriamo aver recuperato la grande stagione dell’incomunicabilità, quando il compianto Antonioni però, nonostante tutto, sapeva benissimo ciò che stava facendo, addirittura anticipando la realtà ed avendo capito verso dove si stava andando (a chi scrive appare indicativa e astuta la mossa di inserire ne La notte un ancora giovane Umberto Eco).

Il romanzo della Mazzantini si muove da quelle parti lì, solo operando un improvvido salto generazionale. I due protagonisti sono in fondo il risultato del risultato di quella società: i nonni, borghesi e annoiati dopo essere usciti egregiamente dal dopoguerra; i genitori, incazzati e impegnati, soldatini del ’68. Cosa aspettarsi dai figli di quest’ultimi? Nessuno si salva da solo tenta a suo modo di fare indagine, sondando l’immancabile malessere sociale. Ancora.

Sembra che in Italia, a un certo livello, proprio non si riesca a scrollarsi di dosso certo modo di leggere il mondo che ci circonda. Il film soffre in maniera evidente tale ostinato tentativo di raccontare problemi attuali indossando lenti vecchie. Gaetano, che è uno scrittore, ad un certo punto legge un passaggio di un suo romanzo alla moglie, sdraiata sul divano. Una prosa mocciana, dallo stile vagamente aulico: e mentre noi ci si tappa le orecchie, Delia, lacrime agli occhi, si prodiga in complimenti all’indirizzo del marito.

Sembra un passaggio menzionato a caso, eppure c’è molto di operazioni come Nessuno si salva da solo. Emerge qui la nostra scollatura, quasi la nostra alienazione rispetto a quei problemi che, come ci ripetiamo in continuazione, «ci soffocano» (sic); un senso di mediocrità permea questa scena come altre, finendo col diventare la cifra dell’intero lavoro. Da ode all’ordinarietà, come abbiamo scritto poco sopra, ad esaltazione (involontaria?) della mediocrità. Altri esempi?

Gaetano, sopra di lei durante l’amplesso, riceve una telefonata. Al che, senza curarsi di Delia, rispettivamente, le mette le ginocchia addosso per protendersi verso il cellulare; porta a termine la sua conversazione; torna a caricare come un toro; si arresta all’improvviso, sguardo fisso verso un punto imprecisato, e… «mi sa che tocca aprirmi la partita IVA». Capite? Non si tratta di una commedia, né si può pensare a questa sequenza come a una chiusa più leggera ad una scena drammatica, di quel dramma simbolico, goffo nella sua accecante metafora, che vuole lui talmente preso dal suo lavoro da «calpestare», materialmente e psicologicamente, lei.

Piaccia o meno, il livello del discorso è esattamente questo. Volutamente abbiamo lasciato da parte talune dinamiche di coppia così come certi dialoghi, che in pratica si allineano al tenore sinora evocato. La tesi è incerta, ma a quanto pare nessuno può fare a meno di infliggersi infelicità e sofferenza, in una spirale di mediocrità (ancora lei) con la quale si può tutt’al più convivere. Bello. Dove sta però l’interesse verso questi personaggi? Non dico l’amore, ché non tutti sono Fellini, per cui anche il più deprecabile, magari proprio perché tale, va amato, nella sua anche buffonesca peculiarità. Ma l’interesse.

Per dare un fondamento all’indole di Gaetano, nel film vengono a più riprese mostrati il padre e la madre di lui. Due hippie tendenti alla cinefilia, anch’essi però ordinarissimi: il padre ha sempre portato il pane a casa, senza far mancare nulla alla sua famiglia. Non vi dico i fuochi pirotecnici allorché Gaetano ci litiga, mettendo in scena uno scontro generazionale d’altri tempi. Appunto, altri. Bisogna però offrire allo spettatore un appiglio, una motivazione alla radice del totale disincanto di Gaetano verso la sfera sessuale; sì perché ciò che per Delia è amore, per lui è sesso. E che sesso! Perciò, sul finire, Gae va a trovare il padre in ospedale. Quest’ultimo, steso su un lettino ma in condizioni tutto sommato rassicuranti, viene incalzato sulla sua salute: la risposta è che ancora è alle prese con l’erezione della mattina.

Evitiamo inoltre di soffermarci più di tanto sul personaggio di Delia, ben più complesso e dal passato burrascoso. Anche qui però, l’equivoco è quello di far passare il rimestare nella realtà per indagine, per speculazione, sia essa antropologica, filosofica o che so io. Si tratta invece di mettere in mostra, senza però offrire alcuno spunto, probabilmente illudendosi che simili situazioni bastino a sé stesse per far presa, senza bisogno di nient’altro. Ok, immaginarsi, o meglio ancora, immedesimarsi in certe fattispecie può essere toccante, magari addirittura struggente, non banalmente perché «vero». Ma, sebbene non sempre tutto debba essere capito, nel senso di razionalizzato, cosa sappiamo di queste persone, delle loro storie, dei loro drammi? Che emozionano? Mi spiace, ma ci ostiniamo a credere che tutto ciò non sia sempre e comunque abbastanza.

Voto di Antonio: 4
Voto di Federico: 5

Nessuno si salva da solo (Italia, 2014) di Sergio Castellitto. Con Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Anna Galiena, Marina Rocco, Massimo Bonetti, Massimo Ciavarro, Renato Marchetti, Valentina Cenni ed Eliana Miglio.