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Pinocchio: il trailer e la recensione in anteprima del film di Enzo D’Alò

Uscirà a dicembre in sala l’atteso Pinocchio firmato da Enzo D’Alò, che ha aperto le Giornate degli Autori di Venezia 69: leggi la recensione.

pubblicato 7 Dicembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 22:46

Riprendiamo la nostra recensione in anteprima da Venezia 2012: il Pinocchio di Enzo D’Alò dedicato al suo “babbo e a tutti i babbi babbini del mondo”, non arriva nelle sale italiane il 21 dicembre 2012, ma tranquilli non è la fine del mondo, Maya permettendo.

Basta aspettare il 21 febbraio 2013, ingannando l’attesa con il trailer, per un viaggetto da favola fino al paese dei balocchi, con le manine d’oro di Geppetto e le bugie da naso lungo del suo monello di legno, un assaggio delle orecchie di lucignolo e dei fili mossi da Mangiafuoco, al ritmo dei disegni dal tratto inconfondibile di Lorenzo Mattotti e delle musiche originali sempre coinvolgenti di Lucio Dalla.

01 set 2012 – Venezia 2012 – Pinocchio: recensione in anteprima del film di Enzo D’Alò

“Al mio babbo
E a tutti i babbi babbini del mondo”
Dedica di D’Alò ad inizio film

Il falegname Geppetto costruisce un burattino da un ciocco di legno e gli dà il nome di Pinocchio. Ma il burattino scappa, e nei suoi numerosi incontri rischia di perdere la vita. Fortunatamente però arriva a salvarlo la Fata Turchina, che lo cura insieme al Corvo, la Civetta e il Grillo-parlante. Pinocchio finisce nell’Isola dei Balocchi e viene trasformato in asino. Infine si ritrova nel ventre di un pescecane, dove ritrova e salva Geppetto, che con la sua barca era andato a cercarlo in mare ed era stato da questo inghiottito.

L’unico vero artista ed artigiano del cinema d’animazione in Italia. Prima con La freccia azzurra e La gabbianella e il gatto, poi con Momo alla conquista del tempo ed Opopomoz, Enzo D’Alò si è imposto nella mappa del cinema italiano contemporaneo come un cineasta assolutamente unico, per ovvie ragioni. Il mercato del cinema d’animazione in Italia è, nell’immaginario collettivo (ma non solo), rappresentato soltanto dalla sua figura, ed un’intera generazione è già cresciuta assieme ai suoi primi lungometraggi.

Quattro anni di lavorazione, più di trecento artisti che hanno contribuito a realizzare il film, una situazione cinematografica italiana che di sicuro non aiuta, e un testo già visto e stravisto sul grande schermo. Il progetto di Pinocchio nasce già nel lontano 2000, quando il regista scrive una sceneggiatura, assieme ad Umberto Marino, per il film, su consiglio di Massimiliano Gusberti, all’epoca un dirigente in Rai. D’Alò realizzò pure un trailer del film, accolto calorosamente, ma un “certo” progetto bloccò tutto: il Pinocchio di Roberto Benigni.


Dopo 12 anni, quindi, Pinocchio di Enzo D’Alò apre le Giornate degli Autori, prima di uscire nelle sale italiane in tempo per Natale grazie a Lucky Red: il risultato sono poco meno di 80 minuti in cui si vedono in ogni fotogramma la passione e la tenerezza del suo autore. Di cui si fa fatica a parlar male, fosse soltanto anche per la storia produttiva del film e per il contesto di cui abbiamo già parlato. Però il Pinocchio di D’Alò non mantiene tutte le promesse, e lo diciamo con il cuore in mano.

La prima scena di Pinocchio vede un giovanissimo Geppetto correre per strada con un aquilone, che gli scappa dalle mani, volando e perdendosi nel cielo. Ma quello stesso aquilone è pronto a tornare dal suo proprietario all’improvviso una notte, quando ormai Geppetto è già anziano e con tanto di parrucchino. Si tratta della notte in cui, per magia, un ceppo d’albero inizia a parlare, e allora l’uomo decide di lavorarlo, facendoci un burattino parlante: Pinocchio, colui che diventa subito il suo amato figlioletto.

Pinocchio è un monello, una peste carica di energia che corre e non si ferma mai, e se si ferma lo fa o per mangiare o per dormire. “Ma stanno fermi così per sempre?”, chiede a Geppetto quando lo porta per la prima volta a scuola, trovandosi a fissare un po’ impaurito i bambini seduti mentre seguono la lezione. Pinocchio cerca sempre delle scuse per non andare a scuola la mattina, anche quella di non possedere ancora l’abbecedario: Geppetto, per comprarglielo, vende la sua casacca. Si tratta di un piccolo sacrificio per la “persona” che ha più cara al mondo.

Pinocchio imparerà i sani valori, il rispetto e l’amore per il padre grazie ad un’avventura che lo metterà spesso in pericolo e che gli farà incontrare un sacco di persone. Nel Pinocchio di D’Alò ci sono ovviamente tutti: i machiavellici Gatto e la Volpe, l’enorme Mangiafoco (senza “u”!), il Grillo Parlante, la Fata Turchina, il cane Alidoro, Lucignolo e il Pescecane che inghiottirà (“come un tortellino di Bologna”!) la barchetta con cui Geppetto parte per cercare Pinocchio, che si è smarrito.

Piacciono, e non poco, i disegni dei fondali del film di D’Alò, lavorati evidentemente con acquerelli e pastelli. Risultano a loro modo affascinanti anche i tratti semplici dei personaggi, anche se non tutto funziona (la Fata Turchina ci lascia un po’ perplessi). Il problema di Pinocchio, tuttavia, non ci sembra da ricercare nello stile dei disegni, così lontano dal mondo digitale di Pixar, Dreamworks e simili, ma anche dal Ponyo di Piyazaki. Ciò che lascia più di un dubbio, ahinoi, sono il racconto stesso, e le modalità in cui viene riscritta una storia già (troppo) nota e risaputa: senza quelle invenzioni che forse ormai oggi sono fondamentali per accattivarsi il pubblico di tutte le età.

Ci sono momenti molto divertenti in Pinocchio, come ad esempio la scena della taverna in cui il burattino si ubriaca con il Gatto e la Volpe, e non mancano scene inaspettate e al limite del dark, come la danza attorno all’albero che brucia o la “presentazione” psichedelica del Paese dei Balocchi. Non stiamo poi neanche a sottolineare la buona fattura delle musiche di Lucio Dalla, e alcuni brani sono obiettivamente trascinanti.

Ciò che non piace, in Pinocchio, è la fretta della narrazione degli episodi, i bruschi e frettolosi passaggi tra un momento e quello successivo, a tratti al limite del grottesco (si veda la fine, con la fuga dalla bocca del Pescecane). E c’è pure un piccolo buco di sceneggiatura, quando Pinocchio viene messo in carcere. Il risultato è poco incisivo e mai travolgente, lasciando una sensazione di “fretta e furia” che rischia di mettere anche in secondo piano gli insegnamenti che Pinocchio apprende durante il suo percorso. Detto ciò, l’ultima parola, quella più importante, spetta ovviamente a loro: ai bambini. Aspettiamo quindi con molta curiosità l’arrivo di dicembre, quando il film di D’Alò potrà essere giudicato dal suo pubblico principale.

Voto di Gabriele: 5,5

Pinocchio (Italia / Francia / Belgio / Lussemburgo, 2012, animazione) di Enzo D’Alò; con le voci di Gabriele Caprio (Pinocchio), Rocco Papaleo (Mangiafoco), Paolo Ruffini (Lucignolo), Lucio Dalla (il pescatore verde), Maurizio Micheli (il Gatto), Maricla Affatato (la volpe), Mino Caprio (Geppetto), Pino Quartullo (un carabiniere), Andy Luotto (oste). Uscita in sala il 21 dicembre 2012.