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Ant-Man: recensione in anteprima

Meno spettacolarità e un po’ più di sostanza per questa spassosa commedia Marvel, che si situa a metà strada tra The Avengers e I guardiani della galassia, restando appena un gradino più sotto. Ad ogni buon conto, missione compiuta

pubblicato 18 Luglio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 14:09

Proprio quando ci si stava domandando dove altro potesse andare a parare Marvel, con un Age of Ultron che non ha convinto a pieno ed altri tasselli da aggiungere a saghe specifiche, ecco saltar fuori Ant-Man. Il film post-Marvel per eccellenza, quello che più di tutti, ad oggi, ci informa dell’avvenuta contaminazione tra due universi, due modi d’intendere il fantastico al cinema: da un lato, per l’appunto, Marvel; dall’altro Disney.

E viene subito da pensare a titoli come A Bug’s Life, oppure ancora Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi. Opere da cui, in qualche misura, bisogna passare se nell’anno Domini 2015 vuoi dare vita a una storia come quella di Ant-Man. Un personaggio che probabilmente più di chiunque altro si presta, a priori, per un’operazione di questo tipo, meno Marvel ma con un tocco Disney inedito. Qualcosa a cui aveva provveduto l’iconica società di Burbank stessa con il suo ultimo lungometraggio, ossia Big Hero 6, riuscito proprio nella misura in cui resta fedele ad una sorta di “tradizione”; più debole laddove certi elementi superoistici divengono centrali.

Un esperimento di per sè intrigante, che non fa dell’ironia un elemento forzato bensì lo integra alla base. Ant-Man è meno spettacolarità ma più sostanza (che non significa contenuto, facciamo attenzione). Ci sono passaggi in cui vien voglia di far scivolare la testa verso il vicino di poltrona, quantunque uno sconosciuto, e dirgli: «questa per forza l’ha pensata Wright». Esatto, Edgar Wright, di cui questo film beneficia in termini di humor e forse ancor più di ritmo, per quanto lo stile del cineasta britannico non prenda mai il sopravvento sulla storia. Una storia che vuole Scott Lang (Paul Rudd) eroe sui generis: laurea in ingegneria, ha messo a frutto i suoi studi diventando un ladro, nemmeno troppo astuto se si pensa che il film comincia con lui che ha appena lasciato il carcere.

Finché Lang non incappa, non proprio in maniera fortuita, in questa bizzarra tuta, capace di far rimpicciolire chi la indossa. Ad organizzare il tutto è il dottor Hank Pym (Michael Douglas), che da tempo segue i movimenti di Lang, quest’ultimo uno tutto sommato scaltro ma che, soprattutto, non ha nulla da perdere. Eccetto sua figlia. Quello familiare è proprio uno degli assi su cui si muove il film, tra passaggi di consegna espliciti o meno, responsabilità paterne e affini. L’obiettivo principale resta comunque quello di impedire a Darren Cross (Corey Stoll), ex-discepolo di Pym, di realizzare quel sogno divenuto anni prima realtà per il dottor Pym, il quale, però, ha tenuto nascosta la sua epocale invenzione per paura dell’utilizzo che una qualunque multinazionale avrebbe potuto farne.

Macro e micro si alternano costantemente, perciò, costituendo un leitmotiv che dà adito a tutta una serie di scene, episodi e sequenze spassose ancor prima che visivamente scenografiche. L’amplificarsi dei suoni dell’ambiente circostante una volta divenuti minuscoli, l’apprendistato che porta a prendere dimestichezza con questa inedita condizione; sono tutte fasi che Peyton Reed mette in scena in maniera schematica, ed una volta tanto questo non è affatto un male. Sì perché le trovate che contano, come abbiamo implicitamente accennato, sono per lo più in sede di scrittura, che sia un botta e risposta a livello di dialogo, o la descrizione di un passaggio specifico. Come quello attraverso cui Luis (Michael Peña), l’amico di Scott, descrive la soffiata per il loro primo colpo, in pieno stile Wright, forse un pelo meno incisivo ma comunque incalzante.

Rispetto a buona parte dei film Marvel in circolazione (eccezion fatta forse per The Avengers, che è un altro prodotto in ogni caso), Ant-Man si pone come il più equilibrato, quello che soffre meno certi inutili “allungamenti di brodo” al solo scopo di portare avanti la trama. È proprio in relazione al microcosmo del protagonista che si avvertono i bagliori più disneyiani, nel rapporto che Scott instaura con le formiche, nelle loro svariate classi. Sì classi, neanche fosse un gioco di ruolo strategico, infatti, l’eroe formato mini deve servirsi di ciascun tipo di formica a seconda delle rispettive peculiarità: c’è quella che vola, quella dalla spiccata intelligenza, quella d’assalto etc.

Ma sul serio, quasi in nessun punto si avvertono fasi di stanca, per un film che non racconta chissà quale storia, riuscendoci però in maniera divertente e affabulatoria. Muovendo le proprie premesse cinematografiche dal più classico degli heist-movie, ed arricchendo tale formula con elementi specifici. Restando a bassa quota, perché non si ha mai l’impressione che al protagonista tocchi salvare il pianeta dalla sua distruzione; prediligendo anche in questo il “micro” della vicenda più personale, senza cedere ad exploit epici di sorta. Ant-Man propone un’alternativa (così come a suo modo aveva già fatto, e bene, I guardiani della galassia), magari non inattaccabile, ma senz’altro accattivante, di un diverso tipo d’intrattenimento. Meno esplosivo e luccicante ma non per questo meno azzeccato. Senza negarsi e negarci certi momenti, perché… è chiaro… si tratta pur sempre, e fieramente, di un film Marvel, sebbene sotto forma di commedia.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]

Ant-Man (USA-UK, 2015) di Peyton Reed. Con Hayley Atwell, Evangeline Lilly, Judy Greer, Paul Rudd, Corey Stoll, Michael Douglas, Bobby Cannavale, John Slattery, Abby Ryder Fortson, Michael Peña, Wood Harris, T.I., Vanessa Ross, Jordi Mollà, David Dastmalchian e Lyndsi LaRose. Nelle nostre sale da mercoledì 12 agosto.