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Venezia 2015, Abluka – Frenzy di Emin Alper – Recensione in Anteprima

Disturbante, ipnotico e spiazzante, il turco Abluka conquista la 72. Mostra del Cinema di Venezia

pubblicato 8 Settembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 12:56

Un altro talento turco da tenere d’occhio si è affacciato alla 72. Mostra del Cinema di Venezia. 3 anni dopo il folgorante esordio con Beyond the Hill, Premio Caligari al Festival di Berlino, il 41enne Emin Alper è sbarcato al Lido con la sua opera seconda, Abluka – Frenzy, accolta da lunghi applausi e non pochi dubbi da parte della stampa internazionale. Perché il conturbante film di Alper è uno di quei titoli che solitamente dividono chi osserva, lasciandosi alle proprie spalle quintali di perplessità legate alla sua criptica evoluzione.

Ambientato in una Instanbul quasi post-apocalittica, perché in preda al caos politico, Abluka ruota attorno a due fratelli. Kadir, fatto uscire dal carcere sotto libertà condizionata con l’obbligo di lavorare nell’unità di operatori ecologici che raccolgono informazioni per i servizi segreti; ed Ahmet, sterminatore di cani randagi per il Comune da poco rimasto senza moglie ne’ figli, perché scappati di casa. Rimasti distanti per decenni, i due si ritrovano in un quartiere degradato della città costantemente tenuto sotto controllo dalle forze dell’ordine, perché ‘sede’ di un’organizzazione terroristica che sta mettendo a ferro e a fuoco la città.

Dichiaratamente ispiratosi a registi come Polanski, Kubrick e De Palma, Alper ha ‘gelato’ il Lido grazie ad un’opera disturbante, tanto nelle immagini quanto nei suoni. Proprio con lo straniante, ipnotico e martellante sonoro, infatti, il regista turco ha indirizzato tanto i suoi protagonisti quanto gli spettatori verso la follia più estrema. Dinanzi ad un sistema politico che trasforma i propri cittadini in strumenti del suo stesso meccanismo di violenza, fornendo loro autorità e armi che gli si rivolteranno contro conducendoli alla distruzione, Alper gioca con la paranoia alimentata dalla pressione politica, dando vita ad una messa in scena esplosiva e mai banale, ricca di idee e costantemente spiazzante.

Il doppio disordine emotivo che travolge i due fratelli, entrambi bisognosi d’affetto, li condurrà tra le braccia/zampe di nemici che si credevano amici e amici che si credevano nemici, alimentando ancor di più quel disordine psichico che finirà per condurli fino alle più estreme conseguenze. Una folgorante e straordinaria critica alla violenza, quella immaginata da Alper, autore di una pellicola che osa con le immagini, tra trovate visive e di montaggio, trascinando lo spettatore in un trip mentale di difficile soluzione. Ma non è questo il punto. Perché c’è talmente tanto, in Abluka, da digerire con piacere persino quei tanti (troppi?) tasselli rimasti vaganti all’interno di un distopico puzzle che con il passare dei minuti si fa sempre più angosciante.

Realtà e finzione, lucidità e follia, sottomissione e alienazione, paura e desiderio, fiducia e diffidenza. Ingredienti suonati con spaventoso ritmo da Alper, che ambienta la propria pazzia cinematografica in un tempo qualsiasi, tra presente, passato e futuro. Una violenza politica che sboccia tra i quarieri più malfamati di una Instanbul che i suoi protagonisti vedono solo in lontananza, tra i grattacieli presi di mira da quei commandi terroristici che proprio qui, in periferia, prolifano, tanto da finire sotto isolamento. Una quarantena militare spaventosa nei toni grazie alla cupa fotografia di Adam Jandrup, per un film mai tanto attuale vista lo spargimento di quel crescente e perverso potere politico che proprio attraverso lo strumento della violenza ‘diffusa’ alimenta paura e squilibrio.

[rating title=”Voto di Federico” value=”8″ layout=”left”]

Abluka (Frenzy, Follia, Turchia, 2015, drammatico) di Emin Alper; con Mehmet Özgür, Berkay Ates