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Filmmaker 2015: vince In Jackson Heights – considerazioni conclusive di Blogo

Il documentario di Frederick Wiseman, uno dei migliori film dell’anno, si aggiudica il Primo Premio al Filmmaker 2015. Secondo Premio a Homeland (Iraq Year Zero) di Abbas Fahdel, che completa un verdetto della Giuria ineccepibile

pubblicato 7 Dicembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 10:28

Un Primo Premio che, per quanto ci riguarda, parte da lontano. Non troppo, diciamo da settembre, quando abbiamo avuto modo di vedere l’ultimo lavoro di Frederick Wiseman al Lido di Venezia, stabilendo essere questo il film che più abbiamo amato al Festival. Oggi In Jackson Heights se ne torna da un altro Festival italiano, quantunque meno blasonato, con un sacrosanto riconoscimento, ossia il Primo Premio della Giuria.

A questo punto però s’impone da parte del sottoscritto anche un breve mea culpa. Nell’aggiornamento di ieri al diario, infatti, annunciai in pompa magna il mio favorito tra i film in Concorso, ovvero Homeland (Iraq Year Zero) di Abbas Fahdel. Il punto è che, nel fare un recap dei titoli visti, non troppo inspiegabilmente mi è sfuggito che Wiseman fosse in Concorso: non ho infatti avuto modo di rivederlo qui a Milano, perciò ho passato in rassegna solo quelli visti. Scherzi della mente.

Ad ogni buon conto, il film iracheno si è comunque aggiudicato un sacrosanto Secondo Premio, che sancisce comunque un ordine gerarchico a parere di chi scrive giusto ed emblematico di un Festival che alla fine premia due documentari duri e puri. In tal senso, probabilmente, anche a conferma di ciò che ha evidenziato il Direttore Luca Mosso prima della premiazione, per cui promuovere «nuove visioni» non è l’unica ragion d’essere di questa manifestazione.

Ed infatti ne escono a mani vuote tutti quei film che, a vario titolo, hanno optato per la sperimentazione, percorso i sentieri di codici più arditi. Anche se «a mani vuote» si fa per dire, dato che The Sky Trembles and the Earth is Afraid and The Two Eyes Are Not Brothers di Ben Rivers si è aggiudicato il Premio della Giuria Giovani, verdetto che dà adito a spunti interessanti: denota infatti, entro una certa misura, una maggiore prontezza da parte di un pubblico meno “smaliziato”? Oppure la forma ha avuto il sopravvento sul contenuto per ragioni che in fondo sfuggono? D’altronde quale motivazione del premio a Rivers è stata addotta una non meglio precisata ambiguità, per cui il film sarebbe pregno di significati nascosti (si legge così quel «ricchezza di metafore» di cui al testo).

Pur non negando la fondatezza di tale giudizio, resta questa sorta fascino esoterico del quale i più giovani sembrano sempre risentire, per cui un’opera più è sfuggente, aleatoria, indefinita, più merita attenzione. Andrebbe approntato un discorso che ci porterebbe troppo lontano e che ha a che vedere con l’Arte Contemporanea, con la Pittura e Scultura del ‘900, del suo disprezzo per la chiarezza, per le forme, per il figurativo, bandito ad eresia da tanti, troppi circoli (che sono poi “quelli che contano“). Ma lasciamo volentieri a qualcun altro l’ingrato compito, rilevando come questa tendenza, che alcuni potrebbero immaginare passata, sia in realtà viva e vegeta.

No, una volta tanto s’ha da essere d’accordo coi vecchi, magari non per i medesimi, identici motivi, ma vabbè. Ciò che colpisce dei film di Wiseman e Fahdel non è uno sterile e generico «impegno», che sia di segno politico o sociale; anche perché ad affermare una cosa di questo tipo, oramai lo sappiamo, tenderemmo a svilire questi film anziché no. No, però In Jackson Heights e Homeland sono film quintessenzialmente politici e impregnati di sociale, nell’accezione più ricca e nobile dei due termini. Non si fondano su alcuna ideologia, non all’apparenza per lo meno, denunciano nella misura in cui chiunque può venirne agganciato e si pongono nei toni di serio, pacato e oltremodo stimolante approfondimento. Ed in fin dei conti la provocazione vera è questa: osservando l’ordinarietà ci fanno vedere cose a cui non siamo abituati e che nemmeno immaginiamo. La qual cosa ci dice molto non solo riguardo a che tipo di spettatori siamo, bensì a quanto si sia alienati da un senso del reale che è anzitutto facoltà interna prima ancora che visiva. Come a dire che diciamo di privilegiare la vista senza però poi sapere come usarne. Fosse anche soltanto questo il livello del discorso, ritengo si possa sostenere che si tratti di un traguardo per cui dirsi soddisfatti.

Il Filmmaker rimane dunque un Festival che si può permettere di non accarezzare il grande pubblico, i gusti, le tendenze e finanche le sensibilità, perché sa che qualcuno lo deve pur fare – il che dovrebbe essere una delle priorità più urgenti di ogni Festival, ma tant’è. Compito di un cineasta, invece, a qualunque livello e a prescindere dalle specifiche priorità, dovrebbe sempre essere quello di spingere più in là i limiti, oltrepassandoli, se del caso. Una simile ambizione costa; costa fatica, costa indignazione, indifferenza, gelo, derisione. Ma resta sempre quella vocina, dolce ma insistente, quasi dispettosa, che spinge a tentare anche laddove si tratti di una battaglia inevitabilmente persa in partenza. Non direi che il Filmmaker dia voce agli ultimi, ai reietti, ai diseredati, agli outcast, tutta roba ammuffita verso cui non c’è da nutrire particolare interesse; questo piccolo Festival dà voce a quella parte di cinema che sarà o che vuole essere. Solo che, per l’appunto, è solo una voce, a tratti distinguibile, ma per lo più flebile. E non sapendo da dove viene tocca per forza di cose vagare finché non s’imbocca il sentiero giusto. Nel frattempo via di buche, fosse, rovi e spine. Per certe cose bisogna sporcarsi per intero, non solo le mani. E lasciarci pure del sangue, se serve.

Di seguito tutti i premi.

CONCORSO INTERNAZIONALE

La Giuria composta da Marina Ballo Charmet (psicoterapeuta, fotografa e videomaker), Giulio Bursi (film curator e critico indipendente), Ezio Dardanelli (sindacalista), Michelangelo Frammartino (filmmaker) e Carmelo Marabello (docente di arti visive) ha assegnato i seguenti premi:

PRIMO PREMIO (3.000 Euro) offerto da Trans Audio Video in colllaborazione con Canon Italia a In Jackson Heights di Frederick Wiseman.

Motivazione: “Un emozionante racconto, politico e cinematografico, di New York generato dai bordi della città e dagli occhi e dalle pratiche di chi la vive e la abita.”

SECONDO PREMIO (1.250 Euro) offerto da CGIL SPI a Homeland (Iraq Year Zero) di Abbas Fahdel

Motivazione: “Oltre dieci anni dopo il crollo dell’Iraq di Saddam Hussein, il racconto domestico di donne, bambini, uomini e media dell’attesa di una guerra. L’evento bellico come forma estrema della vita quotidiana sulla scena della storia.”

La Giuria Giovani composta da un gruppo di studenti delle scuole di cinema milanesi (Alice Bachmann, Camilla Romeo, Federico Frefel, Francesca Romana Ricci, Francesco Biselli, Maryam Mousavian, Michele Bucci, Natalia Trejbalova, Nicola Tirabasso, Simone Bozzelli, Tatsiana Khamliuk, Vittoria Magnani) ha assegnato il seguente premio:

PREMIO GIOVANI (1.250 Euro) offerto da CGIL SPI a The Sky Trembles and the Earth is Afraid and the Two Eyes Are Not Brothers di Ben Rivers

Motivazione: “Per la capacità di intrecciare con efficacia un racconto di finzione con l’esperienza documentaristica, per lo sguardo dell’autore sul tema dell’identità culturale. La bellezza delle immagini, del suono e la ricchezza di metafore apre allo spettatore la possibilità di partecipare attivamente a un film compiuto e mai didascalico.”

CONCORSO PROSPETTIVE

La Giuria composta da Martina Angelotti (direttrice artistica di Spazio Careof), Andrea Caccia (filmmaker), Francesco Galli (videomaker) ha assegnato i seguenti premi:

PRIMO PREMIO (1.000 Euro) a Entrelazado di Riccardo Giacconi

Motivazione: “Per la capacità di perlustrazione di una società attraverso la raccolta di personaggi, storie e materiali intrecciati con coerenza di racconto e libertà compositiva.”

SECONDO PREMIO (500 Euro) a Il solengo di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis

Motivazione: “Per la capacità di irradiare un sentimento ancestrale attraverso i volti, i gesti, le parole di un microcosmo apparentemente disperso ma ancora molto specifico del paesaggio italiano.”

E’ stato inoltre assegnato il PREMIO MOVIE PEOPLE al miglior contributo tecnico (10.000 euro in noleggi tecnici offerti da Movie People Milano – Roma) a Triokala di Leandro Picarella.

Motivazione: “Per la cura e il rigore formale con cui il regista affronta la messinscena di un rituale tra sacro e profano in un angolo sperduto della Sicilia.”