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Goya – Visioni di carne e sangue: recensione in anteprima

Nelle nostre sale solo il 2 e il 3 febbraio, Nexo Digital porta in sala Goya – Visioni di carne e sangue, ispirato alla relativa mostra svoltasi presso la National Gallery di Londra

pubblicato 25 Gennaio 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 09:13

Francisco Goya è uno di quei pittori di cui è agevole ricostruire la personalità, per quanto ovviamente possibile con gli strumenti di cui disponiamo, e alla luce della distanza di circa tre secoli. Goya – Visioni di carne e sangue costituisce l’ennesimo tassello del progetto che porta l’Arte al Cinema, luogo d’intersezione di cui Nexo Digital si sta facendo da tempo promotore, e su più fronti. Ed anche questo, come altri prodotti analoghi, ha più un intento didattico se vogliamo, teso a prendere in esame un elemento relativo al tema trattato e soffermarcisi.

Nulla di specialistico, poiché questa sequela di documentari sono pensati proprio per un ampio bacino, interessati a coinvolgere quanti più spettatori possibile senza per questo abdicare alla tipologia di lavoro. In questo caso il titolo dice molto, ed è senz’altro utile rifarsi ad esso per avere un’idea. Viene qui infatti reiterata la collaborazione con la National Gallery, di recente spesso in prima linea nel servirsi di questo mezzo per promuovere le mostre che va di volta in volta presentando, protraendone per certi versi se non la durata quantomeno l’impatto.

Ma dicevamo del titolo; qui è il Goya ritrattista quello preso in esame. Il pittore spagnolo, ci dicono, pare volesse essere ricordato proprio per i suoi ritratti, che costituiscono circa un terzo della sua intera produzione. Il lavoro degli autori qui non può che essere sommario, oltre che schematico: si parte dall’adolescenza per finire con la vecchiaia. Un’esistenza ripercorsa attraverso i suoi dipinti, come detto, anzitutto ritratti. Ma anche scritti, perché Goya è stato scrittore prolifico, indisciplinato ma onesto come coi suoi quadri.

Si passa dalla travolgente amicizia con Martín Zapater, un rapporto coltivato dall’infanzia, e che fino alla morte di quest’ultimo il pittore spagnolo porterà avanti con intensa fedeltà: amico, confessore, fratello, anima affine, con Martín ebbe modo di condividere le esperienze più forti della sua gioventù, come la caccia, un amore che Goya si trascinò fino all’età adulta, quando ancora cercava di affermarsi nel mondo dell’Arte. Interessante in tal senso un passaggio, ossia quello che lo vide per ben due volte rifiutato dall’Accademia di Madrid, altro bocciato illustre insieme al collega Cézanne, a cui toccò medesima sorte qualche decennio dopo in Francia.

Il punto è che in Goya non c’era nulla di anche solo vagamente accademico: in un mondo che oramai tendeva inesorabilmente, quasi per inerzia, a privilegiare l’istituzionalizzazione dei saperi, e ancora di più dell’istruzione, l’universalità disordinata di uno come lui non poteva che essere mortificata da certi giri. Molto eloquente in tal senso il famigerato Quaderno italiano, che registra in maniera confusa ma proprio per questo ancora più stimolante il soggiorno di Goya in Italia, motivato dalla volontà del nostro di studiare i maestri di sempre. Qui troviamo schizzi, appunti i più disparati, note spese, tutto sparpagliato in quelle pagine oggi gelosamente custodite al Museo del Prado.

Ma anche osservando il Goya affermato, il pittore di corte passato sotto il Regno di Ferdinando VII, poi divenuto di Giuseppe Napoleone dopo la disfatta francese, per poi tornare a Ferdinando, si ha l’impressione di un personaggio accorto, interessato alla politica quanto basta. Un interesse che però viene tradito palesemente dalla sua ultima produzione, cupa, macabra, che rispecchia il presente di un Paese, la Spagna, in bilico tra il vecchio e il nuovo ordine.

Goya però, volendo “ascoltare” le sue opere, ha sempre prediletto le persone, di cui è riuscito a ricavare e trasporre i tratti salienti per mezzo dei suoi dipinti, e ancor di più dei dettagli in essi contenuti. Certo, un documentario del genere va inquadrato tutt’al più come un’introduzione al pittore spagnolo, di cui tanto, per forza di cose, resta fuori. Tuttavia da questa parte siamo favorevoli verso certe operazioni, che rendono più accessibile un settore che mai come negli ultimi cinquanta/sessant’anni è stato così lontano dalla gente comune, i non specialisti, gli addetti ai lavori insomma. Detto ciò, c’è un aspetto che, più di altri, chi scrive ritiene interessante, ovvero come certi documentari, attraverso l’Arte, ci spingano a ragionare sulla Storia; ed è una grossa mano quella che dà il cinema, specie in un periodo in cui, come appena accennato, la Pittura da sola non riesce ad incidere in tal senso come succedeva a suo tempo.