Home Berlinale - Festival internazionale del cinema di Berlino Lettere da Berlino – Alone in Berlin: recensione in anteprima del film in Concorso a Berlino 2016

Lettere da Berlino – Alone in Berlin: recensione in anteprima del film in Concorso a Berlino 2016

Trasposizione decisamente debole del romanzo di Hans Fallada, Alone in Berlin si accosta troppo timidamente alla fonte, tirando fuori un lavoro la cui scorza patinata e il notevole cast non fanno che affossare ulteriormente

pubblicato 16 Febbraio 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 08:41

Una delle prime domande alla fine della proiezione di Alone in Berlin è: che ci fa questo film in Concorso? A parte l’essere la location, ok. Cast significativo, con Brendan Gleeson, Emma Thompson e Daniel Brühl, certo; ma già l’idea di girare interamente in inglese un film ambientato a Berlino all’inizio degli anni ’40 lascia perplessi. La scheda tecnica della Berlinale ci tiene a sottolineare che «il romanzo è considerato un’autentica testimonianza della vita di tutti i giorni nella Berlino nazista». Ecco appunto, il romanzo.

Come si può anche solo pensare di riuscire a mantenere tali premesse già cambiando la lingua? Ma non vogliamo soffermarci su questioni comunque marginali, dato che i problemi stanno altrove. La trama è incentrata su due coniugi appartenenti alla classe operaia, che per anni hanno creduto e sostenuto Hitler, salvo poi realizzare che le sue fossero solo vane promesse. La scintilla è la morte del loro unico figlio, caduto in battaglia proprio mentre combatteva agli ordini del Führer.

Da quel momento comincia a maturare un’idea folle, ossia tappezzare Berlino di biglietti che incitino alla rivolta contro il Partito, contro Hitler, tramite diffamazioni ed esortazioni a svegliarsi e liberarsi dal giogo nazista. Tra il 1940 ed il 1943 Otto and Elise Hampel riuscirono a piazzare quasi duecento biglietti, finché non furono scoperti dai funzionari nazisti, con le conseguenze che potete immaginare.

Non è solo tutto quel patinato a stonare, ché già è tutto dire, poiché Alone in Berlin ha un andamento talmente monocorde, prevedibile e piatto (sì, l’ho scritto) che nessuno, neanche Gleeson e la Thompson avrebbero potuto farci alcunché. Si tratta di uno di quei casi in cui la troppa riverenza verso la fonte diventa difetto anziché virtù, ed il trasporre la storia “così per com’è” spezza in due qualsivoglia ambizione che non vada oltre la prima serata di un lunedì qualsiasi in TV.

Resta infatti ignoto mediante quale intervento, e dove, Vincent Perez intendesse elevare un racconto che su carta funziona già troppo bene per limitarsi a ricopiarlo su grande schermo. Gli interventi infatti sono minimi, e manca quella costruzione della vicenda che ci aiuti anche solo per poco a vivere il dramma di questi due dissidenti in casa, braccati e circondati dalla mattina alla sera. Al contrario, col procedere della trama si avverte un distacco sempre più netto, laddove invece ad un certo punto sarebbe stato auspicabile che noi si sperimentasse quel terrore di essere scoperti, cui fa da contraltare un non meglio precisato senso del dovere che impone a correre tutti i rischi che servono.

Che i nazisti siano cattivi, sadici e via discorrendo lo sapevamo già, così come sappiamo, senza averne realmente mai dubitato, che qualche essere umano albergasse anche tra quelle fila, magari nascosto, dissimulato per non farsi fare la pelle. Nulla a che vedere con quell’autenticità di cui sopra, che anzi viene pressoché in toto vanificata da un lavoro molto modesto, a dispetto del già menzionato cast, e di una confezione di pregio. Il Woman in Gold di questa edizione? Può darsi. Ma quello non correva per l’Orso d’Oro.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]

Alone in Berlin (Germania/Francia/Regno Unito, 2016) di Vincent Perez. Con Emma Thompson, Daniel Brühl, Brendan Gleeson, Mikael Persbrandt, Katharina Schüttler, Uwe Preuss, Louis Hofmann, Godehard Giese, Daniel Sträßer, Jacob Matschenz, Lars Rudolph, Hildegard Schroeder e Ingo Wimmer. Al cinema dal 13 ottobre 2016.

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