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Le confessioni: recensione in anteprima

Dopo Viva l’Italia, Roberto Andò opta per il thriller metafisico. Calato nell’attualità dei “poteri forti”, non tutto regge alla perfezione in questa vicenda a cavallo tra letteratura e teatro, ma che ha comunque il merito di offrire una prospettiva, sebbene a scapito della sua ineludibile complessità

pubblicato 13 Aprile 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 12:37

Un monaco certosino ed il direttore del Fondo Monetario Internazionale discutono in tarda serata presso la camera di un lussuoso albergo tedesco. Che avranno mai da dirsi? L’incontro è stato fortemente voluto dal banchiere, Daniel Roché (Daniel Auteuil), che ha scoperto da poco l’esistenza di questo monaco, Roberto Salus (Toni Servillo), grazie ad alcuni suoi libri. Un religioso che si dichiara «indifferente all’Ortodossia», che legge Ernesto Bonaiuti e «che sta dalla parte della pietà». È lui la chiave del mistero alla base di questo G8 in cui i ministri di altrettanti Paesi si apprestano a varare un provvedimento che cambierà definitivamente il corso della Storia.

Roberto Andò dissimula, per così dire, i propri intenti. Non se ne ricavi qualcosa di necessariamente negativo, proprio perché, nella misura in cui Le confessioni regge, lo fa proprio in virtù di tale approccio. La vicenda affonda nell’attualità, è sul pezzo insomma, come dicono i giornali; otto esponenti di otto “superpotenze” economiche, le cui decisioni incidono sul mondo intero, sulla Storia. Ma soprattutto, e questo è un po’ il ruolo di Salus («salvezza», in latino), tocca le persone, la loro sopravvivenza.

Un film piuttosto letterario, passateci il termine, che, muovendo le premesse dal giallo, assume la piega del thriller metafisico. Ma se la partenza è decisamente corroborante, l’impianto comincia ad un certo punto a scricchiolare, consegnandoci un epilogo non poi così ambiguo come si potrebbe credere. Eppure proprio in tale ambiguità, che, ricordiamolo, consiste sempre nello stare in bilico tra due possibilità opposte, non una di più, Le confessioni trova linfa e sostentamento. Troppo didascalico nel mettere in scena un contesto del genere, al tempo stesso gli eventi li si vuole realistici (d’altro canto il soggetto è politico), con qualche rara incursione in un “fantastico” che è sempre e comunque filtratissimo, per lo più secondo un tenore di stampo sorrentiniano, basato cioè sulla bizzarria estemporanea; che, va detto, in molti casi funziona.

Il punto è che in certi contesti l’equilibrio è arduo a mantenersi, proprio per l’accostamento di cui sopra: se, da un lato, il thriller tende alla risoluzione della storia che veicola, innestare un’impronta vagamente metafisica non tollera una conclusione di questo tipo, privilegiando piuttosto un tono sfuggente, così come il suo epilogo. Qualcosa che richiede una maestria più unica che rara, e perciò ci si dovrebbe già complimentare per il tentativo. Non a caso quest’ultima fatica di Andò ha i suoi meriti, che se non altro sono quelli di non lasciarsi imbrigliare dai gangli politico-economici, tenendo desta l’attenzione sulla vicenda, che è quella di un prete che difende strenuamente il segreto di una confessione che tutti in quell’albergo vogliono però estorcergli, con le buone o con le cattive.

Più su abbiamo fatto cenno alla letterarietà de Le confessioni (che peraltro è anche un romanzo, scritto dagli stessi sceneggiatori), che è poi uno dei limiti più tangibili in chiave filmica: la metafora è sovente dietro l’angolo, talvolta in maniera palese, mentre altre volte aleggia, minando la sospensione d’incredulità e finendo improvvisamente col farci vedere il palco entro cui i personaggi si agitano. Come a dire che certe misure immettono i vari accadimenti verso una teatralità che in qualche modo svilisce lo scenario, il quale, così per come è costruito, abbisogna di essere credibile prima ancora che realistico.

Insomma, Andò cerca il vero, che è lì da qualche parte, si annida negli angoli di questo suo imperfetto ritratto, ma che al tempo stesso sfugge, scompare e riappare. La verità oltrepassa sempre la realtà, un’antica lezione che il regista siciliano reitera anche stavolta; peccato solo che i mezzi di cui si serve per ricordarcelo non diano in toto ragione di questo importante insegnamento. Perché l’argomento è complesso, dunque lo è il suo svolgimento. Tuttavia va dato atto ad Andò di averci provato, di aver cercato di trattare da un punto di vista diverso, avulso dalle logiche con cui siamo soliti leggere certe situazioni, offrendo un punto di vista non tanto originale quanto, per l’appunto, scoraggiato. Certo, per dirne una: quando il monaco afferma di preferire le parole ai numeri forse lì il film scopre un pelo di troppo le proprie carte, una tentazione alla quale ogni regista dovrebbe resistere il più possibile, non importa quanto sia difficile; il gioco vale la candela, e Le confessioni, nel bene e nel male, per l’ennesima volta ce lo conferma.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”5.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]

Le confessioni (Italia, 2016) di Roberto Andò. Con Toni Servillo, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino, Marie-Josée Croze, Moritz Bleibtreu, Richard Sammel, Johan Heldenbergh, Togo Igawa, Aleksei Guskov, Stéphane Freiss, Daniel Auteuil, Julian Ovenden, Lambert Wilson, Jeff Burrell, John Keogh, Andy De La Tour, Giulia Andò ed Ernesto D’Argenio. Nelle nostre sale da giovedì 21 aprile.