Home Festival di Cannes La mia vita da Zucchina: recensione in anteprima

La mia vita da Zucchina: recensione in anteprima

Céline Sciamma si conferma una delle sceneggiatrici più interessanti e capaci nel trattare argomenti inerenti all’adolescenza e dintorni. La mia vita da Zucchina importa nell’animazione un realismo intelligente e che perciò fa riflettere, senza tuttavia rinunciare a riscaldare il cuore

pubblicato 21 Novembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 04:28

Zucchina è un bimbo di nove anni che vive con la madre: rapporto complicato, la donna non fa altro che riprendere il figlio, sgridarlo ed assillarlo con veemenza. Succede però che la mamma venga meno e che questa morte costringa i servizi sociali a trasferire Zucchina in un orfanotrofio. Sebbene stilizzati, i casi con cui il piccolo si trova a confrontarsi sono davvero borderline: dal bulletto alla ragazzina che non dice mai una parola, passando lo strambo del gruppo. Di lì a poco però anche Camille entra a far parte di questa particolare brigata, la qual cosa consente non solo a Zucchina ma anche a tutti gli altri coetanei di diventare qualcosa di più di alcuni ragazzini sfortunati che condividono lo stesso tetto, bensì amici.

Opera in stop-motion, scritta dalla fuoriclasse Céline Sciamma, La mia vita da Zucchina tratta con una calorosa leggerezza un argomento di per sé triste e delicato. A cavallo tra realismo e la stilizzazione di cui sopra, non solo visiva, per via della tecnica adottata, il film diretto da Claude Barras emana uno strano tepore, a dispetto della cupezza generale del contesto. Sarà anche piuttosto telefonato come riferimento, ma davvero lo stile è quello del miglior Tim Burton, declinato però secondo un realismo alla francese che impreziosisce il tutto, conferendogli peraltro quella peculiarità che è poi la componente che più colpisce.

Si resta un po’ interdetti allorché, per esempio, si cerca di valutare a chi è rivolto un lavoro del genere, al di là delle diciture. A dispetto della tematica, infatti, l’approccio non è esattamente adatto ad un pubblico di piccolini, sebbene l’impronta della Sciamma sia evidente, con tutte le implicazioni del caso: su tutte, la capacità di questa sceneggiatrice nel raccontare storie di formazione, che si concentrano su periodo delicato inerente all’adolescenza, senza peraltro alcuna forma di cinismo fine a sé stesso. Se però Naissance des pieuvres, ma soprattutto Diamante nero, offrono uno scorcio sul passaggio verso l’età adulta, qui a tal proposito siamo più dalle parti di Tomboy.

Eppure non si tratta di storie anche solo simili, il che conferma la bravura della Sciamma nel calarsi in tematiche del genere. Non c’è dubbio infatti che la regista francese abbia qualcosa da dire in questo senso, e La mia vita da zucchina lo conferma, nonostante la diversa direzione e lo stop-motion. I ragazzini del film sono oltremodo credibili ed interessanti non tanto di per sé quanto in relazione alle dinamiche, per lo più ordinarie, che si vengono a creare. Uno scenario in cui l’adulto non è escluso, anzi, essendo parte integrante della storia che si vuole raccontare, fatta di “grandi” che non sanno come gestire i “piccoli” e “grandi” che invece cercano di risolvere situazioni in larga parte compromesse.

La famiglia sta al cuore di tutto, con un occhio però alla realtà di questi bambini il cui passato in alcuni casi è proprio spietato. Ed in fondo questo debbono fare, questo è lo scoglio che ciascuno di loro è chiamato a superare, ossia capire come sia possibile aprirsi e condividere qualcosa, qualunque cosa, con altre persone. C’è molta tenerezza nel lavoro condotto riguardo a questo processo di formazione interno al gruppo; si litiga, si ride, ci si prende in giro, ci si scambia cattiverie: tutte cose plausibili o che comunque denotano una verosimiglianza notevole. Si faccia caso allo sviluppo del rapporto tra Zucchina e Simon, che da un violento antagonismo sfocia poco alla volta in una corroborante affezione; non c’è alcunché di costruito, si approda da un punto all’altro in maniera organica, proprio perché il relazionarsi tra i due è vivo.

Esatto, i pupazzetti di Una vita da Zucchina prendono vita proprio grazie ad una scrittura attenta e rispettosa ma non per questo sterilmente conciliante, buonista, consapevole, per quanto possibile, alla complessità della vicenda. Quando questo accade con un film d’animazione, specie di questo tipo, in cui non di rado la scenografia è volutamente scarna o “povera”, cose e persone appaiono deformate, ed il tenore è per lo più drammatico, non si può restare indietro rispetto al lavoro fatto. La mia vita da Zucchina è opera agrodolce che sa mescolare i toni senza inopportune variazioni, che importa nell’animazione un realismo intelligente e che perciò fa riflettere, senza tuttavia rinunciare a riscaldare almeno un po’ anche il cuore.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”8″ layout=”left”]

La mia vita da Zucchina (Ma vie de courgette, Svizzera/Francia, 2016) di Claude Barras. Con Gaspard Schlatter, Sixtine Murat, Paulin Jaccoud, Michel Vuillermoz, Raul Ribera, Estelle Hennard, Elliot Sanchez, Natacha Koutchoumov, Brigitte Rosset, Adrien Barazzone, Véronique Montel, Monica Budde, Anne-Laure Brasey e Jean-Claude Issenmann. Nelle nostre sale da giovedì 1 dicembre.

Festival di Cannes