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CineBlog consiglia: Last Days e The Addiction

Metto subito le mani avanti perchè so di star facendo una cosa ai limiti della follia. Credo di essere l’unico in redazione che ha apprezzato il penultimo film di Gus Van Sant, un regista molto discusso anche fra noi del CineBlog. Non ho mai nascosto la mia predilizione per questo regista, e in qualche modo

12 Ottobre 2007 09:00

Metto subito le mani avanti perchè so di star facendo una cosa ai limiti della follia. Credo di essere l’unico in redazione che ha apprezzato il penultimo film di Gus Van Sant, un regista molto discusso anche fra noi del CineBlog. Non ho mai nascosto la mia predilizione per questo regista, e in qualche modo ho tentato di spiegare perchè Last Days, un film difficilissimo per quanto riguarda proprio la sua visione, è un film valido. La sua messa in onda su RaiTre -ovviamente grazie a Fuori Orario– mi dà la possibilità di poterne parlare ancora.

Partiamo da una piccola considerazione: Van Sant è un regista che, se coi suoi film indipendenti non ti prende subito, o lo accantoni in un angolino o tenti di studiarlo. Van Sant è uno dei pochi indipendenti americani, “venduto” ad Hollywood qualche volta con risultati discutibili, che riesce ancora a mantenere vivo uno stile e un discorso personalissimi. Inutile ritornare allo splendido esordio di Mala noche o al capolavoro Drugstore Cowboy, basta restare in tempi recenti. La trilogia del silenzio o del pedinamento, come viene chiamata nei giornali e nei siti specializzati, non è nata per intellettualismo spicciolo, e non viene a caso: con due grossi progetti alle spalle, che hanno permesso al regista di fare soldi, Van Sant è riuscito a ritornare a rischiare (basta ricordarsi il flop di Cowgirls) e a fare film suoi. Non è poco. S’inizia con Gerry, bellissimo ma inedito da noi, e si continua con la Palma d’Oro di Elephant, di cui è stato già detto tutto. Last Days è, in confronto a questi due “capitoli”, ancora più radicale e asciutto nello stile.

Attenzione comunque a una cosa: il film non è un biopic su Kurt Cobain. Ciò che interessa a Gus Van Sant è appunto quello di continuare il suo discorso, più che pessimista direi realista, sulla gioventù, sui “suoi” ragazzi e sulla disarmante solitudine che li avvolge, e Kurt era il personaggio migliore, per le vicende anche misteriose sulla sua morte, da cui estrapolare i fantasmi per proiettarli su Blake, interpretato molto bene da Michael Pitt.
Bisogna armarsi di pazienza, perchè i silenzi, i piani fissi o i movimenti lenti (ce n’è uno molto odiato, ed è il reverse-zoom che parte dalla finestra) e l’azione nulla possono portare a due diversi risultati: o il tedio assoluto o l’angoscia. Sembra un film bello che pronto a far irritare tutto e tutti, ma invece è lucidissimo e da comprendere.

Stanotte, 03.40, RaiTre

E si continua…

Un angosciante bianco e nero e un’atmosfera notturna e malata. Ciò che si vede e che colpisce subito di The Addiction è questo. Poi si va avanti e arriva tutto il resto. Alla fine si può dire che è un capolavoro? Certo che sì. Il film di Abel Ferrara non è solo una metafora della droga e non è un film sui vampiri. Ok, il vampirismo alla base è un “prestito” per parlare anche di terribile dipendenza, ma Ferrara va ovviamente oltre.

Nel film i protagonisti parlano tanto di filosofia, anche perchè la protagonista si sta per laureare in materia. Si parla di esistenzialisti come Kierkegaard o Sartre, e Ferrara traccia la sua filosofia morale. Non siamo malvagi perchè facciamo del male, ma facciamo del male perchè siamo malvagi. Il male è parte dell’uomo, che non può imparare dagli errori (e dagli orrori: perchè durante il film, tramite foto e diapositive l’ombra del terrore del Novecento è presente) della Storia e tende a ripetersi sempre. Una visione pessimistica dell’uomo che non si salva neanche nel finale.

The Addiction è un film tetro e affascinante, che ha in una frase inquietante la sua chiave di lettura. Rovesciando Cartesio, la bravissima Lili Taylor dichiara che “dedito ergo sum”: pecco ergo sum.

Stanotte, 05.15, RaiTre