Life – Non oltrepassare il limite: recensione in anteprima
La crisi della forma quale catalizzatore per un nuovo ma già passato horror di fantascienza che non fa fondo a tutto il proprio potenziale. È Life di Daniel Espinosa
La stazione spaziale internazionale che orbita attorno alla Terra è in attesa di una nave da Marte con dentro dei campioni provenienti dal suolo marziano. La Missione Pilgrim potrebbe perciò portare ad una delle scoperte più significative nella storia dell’uomo, ossia la prova incontrovertibile della vita nello spazio. È così è: si tratta di un organismo complesso, come dice in soldoni la dottoressa Miranda North, «tutto muscoli, tutto cervello, tutto occhi». Anziché preoccupare, però, la cosa suscita solo ed esclusivamente entusiasmo, al diavolo la possibilità che l’ospite possa rivelarsi, se non minaccioso, quantomeno pericoloso. Il biologo di bordo instaura con questa forma di vita un rapporto quasi morboso: lo accudisce, lo chiama per nome, ci discute, in altre parole lo ama. Fino al giorno 25, quando l’alieno comincia a dare per la prima volta segni d’insofferenza.
Life – Non oltrepassare il limite (precisazione scomoda, che chiarisce anzitempo l’approccio non ottimistico alla materia) è uno di quei film che esistono giusto per confermare quanto siano significative le fonti a cui attinge. A conti fatti è un Alien (e fin qui nulla di nuovo) post-Gravity; anzi, è proprio il primo progetto consapevole del fatto che dal film di Cuarón per un po’ non si torna indietro. Un riferimento che non viene affatto mascherato, ma sin dalle prime battute proprio: Life si apre su un pianosequenza tecnicamente notevole, interno alla stazione anziché in esterni come per Gravity. Emerge qui l’altro rimando, non meno eludibile per certi versi, ossia quello al già citato film di Ridley Scott; mentre ci sembra un po’ più forzato il ricorso a La cosa di Carpenter, dato che trattasi di altro film, che tratta proprio altre tematiche e perciò ha altre implicazioni.
Espinosa, va detto, riesce a tenerci col fiato sul collo, accordandosi molto bene col titolo del film: la vita è al centro del progetto, intesa come sopravvivenza. Ma malgrado la maggior parte delle scene che coinvolgono l’entità aliena siano girate con criterio, altrove si segnalano limiti nemmeno poi così secondari. Ponendosi come una rimasticatura di opere di un certo spessore ma non solo, Life avrebbe potuto approntare un discorso più approfondito sul nostro relazionarci con una scoperta del genere, mentre invece la scrittura non tenta nemmeno di superare il cliché dell’uomo-vittima, finanche stupida, rispetto all’alieno, sì informe ma esponenzialmente letale. La lotta per la sopravvivenza sembra riguardare solo quest’ultimo, mentre i membri dell’equipaggio non solo sono inermi ma prendono le decisioni più sbagliate, secondo una delle dinamiche più inflazionate nel genere, ossia che il conflitto debba scaturire solo ed esclusivamente da errori grossolani; in questo caso l’umanità del biologo, la cui imperizia davvero non si spiega diversamente e, anzi, c’è da credere che sia stata finanche volontaria.
In una certa qual misura però questo gioco al massacro, fatto di gabbie da cui si entra e si esce a seconda degli sviluppi, non passa sopra le nostre teste senza nemmeno sfiorarci: certo, quand’anche i meccanismi del racconto debbono fare affidamento in maniera così strutturale al film di Scott ci si comincia a domandare perché non integrare pure dell’altro, purché non siano inquadrature superflue (cos’è quella soggettiva dell’alieno?). No, quell’altro, forse, sta in certe soluzioni visive interessanti, su tutte la morfologia dell’alieno, che per quasi tutto il film è piuttosto vaga e sfuggente, il che ha certamente senso e genera l’effetto giusto. Diciamo di più: è la cosa più azzeccata del film, dato che, a pensarci bene, la forma della creatura si fa carico di tutto il peso rispetto a quanto Life ha da offrire lato horror (in questi termini sì, Carpenter non è citato a caso). La mancata definizione, con la relativa difficoltà di prevederne i movimenti, incarnano il mistero per eccellenza, che terrorizza e affascina al tempo stesso.
Peccato non avere “umani” all’altezza della situazione, per così dire; non nel senso di più abili, più brillanti, più capaci, s’intenda. A confronto con l’alieno loro sono piante, parassiti senza raziocinio alcuno, un ribaltamento che non sembra sinceramente voluto, cercato. Tutto ciò può rivelarsi problematico, poiché venendo meno il fatto che la vita pulsi solo nel carnefice e non nelle prede si corre il rischio di compromettere l’intensità della minaccia in misura variabile rispetto alla sensibilità di chi guarda. Buono proprio perché beffardamente funzionale il finale, malgrado l’eludere del tutto le conseguenze di un contatto del genere dal nostro punto di vista, quello degli umani, ci privi dell’unico appiglio che abbiamo per entrare con tutte le scarpe in quel contesto, in quella situazione, sprecando un’opportunità non da poco.
Il che non sarebbe un peccato nel caso in cui non vi fossero stati i presupposti per osare, mentre invece ci pare che non solo quelli ma pure gli strumenti fossero a disposizione per poter portare il racconto su un altro livello. Quel che abbiamo non è male, ma la palese mancanza d’ambizione mal si concilia con un discorso che invece dovrebbe anelare alla grandezza, senza stiparlo in un seppur notevole sforzo tecnico e qualche trick altrettanto riuscito (so cosa state pensando, solo che Gravity è capostipite in tal senso) ma che in generale collocano Life nell’ambito della sufficienza; che non è mediocrità ma ci si avvicina quanto allo spirito, le intenzioni, le stesse di chi ha una paura matta di sbagliare, di farla fuori dal vaso. Non ci lascia in pace infatti l’idea che non di rado sia meglio aver peccato per eccesso senza aver ottenuto in toto ciò a cui si anelava piuttosto che averlo fatto per difetto ed essere andati sul sicuro. Nel primo caso non esiste fallimento, nel secondo non ne siamo mica così sicuri.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”6-” layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]
Life – Non oltrepassare il limite (Life, USA, 2017) di Daniel Espinosa. Con Jake Gyllenhaal, Rebecca Ferguson, Ryan Reynolds, Hiroyuki Sanada, Ariyon Bakare, Olga Dihovichnaya ed Alexandre Nguyen. Nelle nostre sale da giovedì 23 marzo 2017.