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Whitney: Recensione in Anteprima

Whitney Houston torna a vivere sul grande schermo grazie al documentario di Nick Broomfield.

pubblicato 13 Aprile 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 00:25

Sono passati 5 anni dalla scioccante morte di Whitney Houston, icona pop accidentalmente affogata nella vasca da bagno del Beverly Hills Hotel in seguito a un’eccessiva assunzione di droghe e a una malattia vascolare. Tre anni dopo, destino infame, l’amata figlia Bobbi Kristina Brown, 22 anni appena, se n’è andata in ugual modo, senza più vita in un’altra vasca da bagno. Il regista Nick Broomfield, Showtime e la BBC hanno voluto ricordare la più grande cantante degli anni ’80 e forse la più clamorosa voce femminile che il pop abbia mai ammirato con un documentario ad hoc, Whitney il titolo, in arrivo nelle sale d’Italia per soli 5 giorni, dal 24 al 28 aprile, con distribuzione Eagle Pictures.

Non un documentario agiografico, perché l’esistenza della Houston è stata attraversata da demoni negli anni abbondantemente dati in pasto ai media, bensì un ritratto crudo e intimo di una donna incredibilmente fragile. La più potente, famosa, ricca e invidiata popstar degli anni ’80 e ’90, sbriciolatasi dinanzi alle proprie insicurezze, all’abbagliante solitudine, e a quelle maledette dipendenze che tra droghe ed alcool l’hanno lentamente consumata.

Broomfield, che in passato ha dato vita ad un chiacchierato documentario non autorizzato su Kurt Cobain, racconta la Houston dagli esordi, da quando nacque povera in un quartiere degradato, per poi illuminare la chiesa di quartiere con la sua pazzesca voce gospel. Filmati di Whitney dodicenne si sommano a video inediti, familiari e strettamente privati, mentre amici, parenti ed ex membri del suo immenso staff raccontano al regista chi fosse realmente. Aveva il mondo tra le dita, Whitney, quando grazie a Guardia del Corpo divenne persino una stella del cinema. 3 anni dopo, sul set di Donne di Forest Whitaker, la prima overdose. 12 mesi prima, purtroppo, il matrimonio che le rovinò l’esistenza. Bobby Brown, amore di una vita, divenne per lei una autentica dipendenza. Malsana. Fu proprio l’ingombrante presenza di Bobby a far allontanare colei che da sempre la seguiva. Come amica. L’unica amica, e forse amante segreta. Robyn Crawford. La storica assistente che Whitney voleva sempre accanto a se’. Broomfield da’ forza ai tanti rumor circolati nel corso dei decenni che parlavano di una storia d’amore tra le due, di un sentimento ‘scandalo’ per gli anni ’80, tanto da costringere la cantante a prendere le difese della Crawford negando la sua omosessualità. In televisione. Vecchie interviste riportano a galla quei momenti che oggi appaiono a dir poco folli, se non fosse che la Houston era già diversa di suo, in quanto nera (fu lei a fare da apripista alle Beyoncé di oggi). Una donna di colore che cantava pop per i bianchi. Inimmaginabile, che potesse essere anche lesbica. Non 30 anni or sono.

Particolarmente povero dal punto di vista dei materiali video (in buona parte puro e semplice archivio), tanto da poter parlare di un prodotto più televisivo che cinematografico, Whitney ricostruisce la vita della Houston partendo dal suo ultimo grande tour internazionale di successo, tenuto nel 1999, con emozionanti live e dietro le quinte. Al termine di quel tour, esausta dai continui litigi con Bobby, l’immancabile Robyn abbandonò la Houston al suo destino dopo due decenni di totale e incondizionata fedeltà. Da quel momento in poi la vita di Whitney intraprese una discesa sempre più ripida verso l’inferno. In poco meno di due ore prende forma quel mostruoso ‘clan Houston’ che arrivò ad abbracciare oltre 100 persone, tutte stipendiate dalla popstar, con mamma dichiaratamente omofoba e padre da lei adorato eppure traditore, tanto da trascinarla in tribunale con richiesta da 100 milioni di dollari. Un’anima emotivamente parlando gracilissima, dalla voce divina e dalle profonde insicurezze, persino fisiche, che non voleva far altro se non essere se’ stessa. Non una diva travolta dalla fama, bensì semplicemente una mamma premurosa, una moglie amata, una brava persona. Forse non riuscì ad essere nulla di tutto ciò, con suo enorme dispiacere.

Amori, scandali ed eccessi si susseguono, nel doc di Broomfield, ben attento a rimarcare i trionfi della popstar e le terrificanti cadute (nel 2000, a 36 ore dagli Oscar, venne ‘sostituita’ perché letteralmente incapace di stare sul palco), lasciando proprio al personaggio di Robyn Crawford, ora felicemente sposata, lesbica dichiarata e con due figlie, l’unico squarcio di luce all’interno di una stanza buia e colma di gente dove a nessuno, probabilmente, interessava realmente di Whitney, puro e semplice salvadanaio a cui aggrapparsi. Un rapporto fatto d’affetto e reciproca stima, quello tra le due, stroncato da quel Bobby Brown che tra tradimenti, botte, urla, smania di protagonismo, invidia, alcool e droga, la condusse mano nella mano fino alle soglie di un precipizio. Per poi lasciarla andare.

Esageratamente rapido nel ‘consumare’ gli ultimi 10 anni di vita della cantante, che tornò in tour con un nuovo disco di inediti poco prima di morire (I Look to You, 2009), Broomfield ottiene forse il massimo dal non eccelso materiale e dal visibilmente limitato budget a disposizione (quello sgualcito telo nero dietro gli intervistati grida vendetta), tratteggiando i lineamenti di una vita che tutto aveva per essere solare, felice e appagata, per poi invece spegnersi malincomicamente a 48 anni appena, amaramente sola nel bagno di un hotel. Un’opera che tristemente ricorda l’immensità di una voce creata da Dio in persona, ma rovinata dagli esseri umani e dalle debolezze che l’hanno prima circondata e poi travolta.

[rating title=”Voto di Federico” value=”6″ layout=”left”]

Whitney (doc, 2017) di Nick Broomfield – al cinema dal 24 al 28 aprile 2017