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Venezia 2017, Suburbicon di George Clooney: Recensione in Anteprima

Dark comedy coeniana dal taglio politico, Suburbicon di George Clooney guarda alle contraddizioni dell’America di Trump attraverso i vialetti di una cittadina a stelle e strisce degli anni ’50.

pubblicato 2 Settembre 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 02:41

Dimenticare Monuments Men. Archiviato il fallimento del 2014, George Clooney si è affidato ad una vecchia sceneggiatura dei fratelli Coen per riuscire nell’impresa. Suburbicon, che riporta il divo in concorso alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia dopo il boom di Good Night, and Good Luck. (premio Osella e Coppa Volpi a David Strathairn) e Le idi di marzo (una nomination agli Oscar), vede l’ex Uomo Pipistrello alla regia di uno script ideato dagli amati Joel ed Ethan dopo Blood Simple – Sangue facile ma in 30 anni mai realizzato. Fino ad oggi.

Una metafora sugli Stati Uniti d’America quanto mai attuale, anche se ambientata negli anni ’50, nella ‘perfetta’ e completamente ‘bianca’ cittadina di Suburbicon, liberamente ispirata alla reale Levittown, centro urbano creato da William Levitt dopo la Seconda Guerra Mondiale pensato solo e soltanto per le persone caucasiche. A stravolgere la pacifica vita di quartiere i Meyers, prima famiglia afroamericana della città che sconvolge l’intera comunità, così come una terribile rapina che si tramuta in dramma per la famiglia Lodge. Padre, figlio, moglie paralizzata e gemella di quest’ultima, con due balordi che irrompono in casa scatenando inimmaginabili conseguenze.

Una commedia dark, in perfetto stile Coen, che si tramuta presto in grottesco thriller. Suburbicon gode da subito dell’inconfondibile scrittura dei due fratelli, qui rivista da Clooney con fare meno cinico e più esplicito. A pochi mesi dai fatti di Charlottesville, che hanno visto i suprematisti, i neonazisti e il KKK sconvolgere l’America, Suburbicon ribadisce il problema della questione razziale sul suolo a stelle e strisce, attraverso due binari che il regista percorre in parallelo, in un crescendo di violenza che oscilla tra il surreale estremo e quella contraddizione politica oggi come oggi perfettamente rappresentata dall’ambiguità dell’amministrazione Trump.

Registicamente classico, Clooney filma un’America nerissima, puntando il dito contro quella ‘supremazia bianca’ che negli ultimi mesi è andata incontro ad un insostenibile rinascita neonazista. Satira feroce che diverte, tra criminalità improvvisata e immancabile idiozia, filtrata dagli occhi di un bimbo fagocitato da una spirale di violenza che coinvolge prima i nuovi vicini di casa, incredibilmente black, e a seguire la propria stessa famiglia. Completamente tagliato in fase di montaggio Josh Brolin, il film si concede comunque nomi di primissimo grado. Non solo un imbolsito e senza scrupoli Matt Damon, al Lido con il suo 2° film in Concorso dopo Downsizing di Alexander Payne, ma anche una duplice Julianne Moore dalla candida bellezza, chiamata ad intepretare due gemelle, e un ottimo Oscar Isaac, assicuratore investigativo che in pochi minuti sbaraglia la concorrenza sul set.

Muri che si innalzano e minoranze recintate, umiliate, provocate, tanto da coprire le tracce di crimini di sangue che prendono forma a pochi metri di distanza. La Suburbicon di Clooney ancora una volta musicata da Alexandre Desplat (alla sua 3° collaborazione con il regista) nasconde odio, paura e diffamanti menzogne dietro quei vialetti apparentemente perfetti, mentre radio e televisioni diffondono messaggi di sfacciata intolleranza. Una dark comedy dal retrogusto chiaramente politico che il regista, qui anche co-sceneggiatore, prova a far sua riuscendo solo parzialmente nell’impresa. L’impronta dei Coen è troppo marcata per poter sparire sotto il tappeto, anche se annacquata da una regia che punta ad essere meno corrosiva rispetto alle potenziali pennellate originali, comunque visibili. Stilisticamente impeccabile, il film paga l’inevitabile paragone con i suoi due autori, inciampando su un quesito tanto ingombrante quanto inesorabile: scritto nel 1986, perché i Coen hanno sempre tenuto Suburnicon in un cassetto? Perché 10 anni dopo hanno dato vita a quel capolavoro di Fargo, probabilmente.

[rating title=”Voto di Federico” value=”6.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]

Suburbicon (Usa, drammatico, 2017) di George Clooney; con Matt Damon, Julianne Moore, Noah Jupe, Oscar Isaac – In Concorso