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Valerian e la città dei mille pianeti: recensione in anteprima

L’ambizione di Luc Besson raggiunge nuove vette. Lo smodato, eccessivo Valerian e la città dei mille pianeti ha il merito di offrirci cose che non abbiamo ancora visto, al netto di imperfezioni che lo ridimensionano senza però affossarlo. Al contrario, Valerian ha tutta l’aria dell’opera a cui si tornerà

pubblicato 14 Settembre 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 02:13

Progetto ardito, circa 200 milioni di euro, il film francese più costoso di sempre. Intervistato dal New York Times circa due mesi fa, Luc Besson rispose candidamente «chi se ne frega». Ed in fondo è vero, chi se ne frega di certi numeri se poi non vi è corrispondenza tra le cifre altisonanti e ciò che vediamo? Valerian e la città dei mille pianeti è un film oggettivamente difficile da digerire, saturo, carico all’inverosimile, e a livello visivo che in termini di mole d’informazioni, a tratti incomplete, o per lo meno, questa è l’impressione.

Tratto da Valérian et Laureline, fumetto scritto da Pierre Christin e disegnato da Jean-Claude Mézières, fu pubblicato per la prima volta nel 1967 da Dargaud ed ebbe un’influenza non da poco su svariati cineasti, oltre che sullo stesso Besson de Il quinto elemento, per il quale il regista francese attinse a piene mani (in quel caso, peraltro, Mézières collaborò attivamente, fortemente voluto proprio da Besson). Nel film il maggiore Valerian (Dane DeHaan) ed il sergente Laureline (Cara Delevingne) sono due agenti governativi che vagano per lo spazio compiendo le missioni più assurde.

E dire che la città dei mille pianeti, Alpha, è la prima cosa che ci viene presentata, attraverso un simpatico incipit che ha dei risvolti politici interessanti, senza prendersi troppo sul serio: da piccola stazione spaziale in cui astronauti di diverse nazionalità s’incontrano dandosi un caloroso benvenuto, a pianeta artificiale al quale gradualmente, nel corso di secoli, vanno convergendo le razze aliene più disparate. Cosa deduciamo? Beh, anzitutto che la razza umana ricopre un ruolo da protagonista in questo universo, per forza di cose organizzato secondo schemi e procedure che in parte conosciamo. Insomma, l’uomo ha voce in capitolo nella galassia. In secondo luogo, Alpha è un’utopia fluttuante nello spazio, anzi, è l’utopia per eccellenza, quella che vuole addirittura più specie, diversissime tra loro, convivere sotto lo stesso tetto avendo peraltro evitato di distruggersi a vicenda. O almeno, così pare. Senza contare altri temi evocati, come quello delicato del genocidio, qui pure centrale.

In apertura abbiamo alluso ad un’opera per certi versi sovraccarica, e non si hanno remore nel ribadirlo: Valerian è strabordante, pregno di riferimenti e richiami che potrebbero certamente ubriacare; trasversali, interdisciplinari finanche, da Star Wars a Mass Effect, opere dalle influenze reciproche, dato che Lucas si lasciò a sua volta ispirare proprio dal fumetto di Christin e Mézières. Il punto tuttavia è che si tratta di cose che non abbiamo mai visto, tantomeno così, tutte insieme: basterebbe la prima vera scorribanda di Valerian e Laureline per una missione di recupero nel deserto, un corto circuito che mescola magia, VR e realtà aumentata in una singola, rocambolesca scena nel corso della quale ad un certo punto ci si deve arrendere, senza star lì a cercare di capire, di unire puntini che forse nemmeno è possibile far combaciare.

Un pot-pourri anestetizzante, che però ammalia, affascina, sottoponendoci ad un tour de force visivo che da un lato rischia di sfiancarci, sebbene sia al contempo difficile scendere da questa giostra. In mezzo a questa congerie di roba, dove sta Besson? Besson sta, su tutti, in quell’altro passaggio esuberante del mercato nero, trionfo di eccentricità ed eccesso, con questi colori sparati a palla, ultra-saturi; scena che culmina con una non meno stravagante performance della bellissima oltre che credibile Rihanna. Ma sta anche in certi gadget, nelle note lievi di tre creature simili a papere che vivono smerciando informazioni che nessuno ha se non loro; così come, e questa è la nota dolente, in una scrittura senz’altro non all’altezza di un impianto visivo così ispirato.

Tante infatti le intuizioni sul fronte visuale, un trattamento al quale l’avvicendarsi degli eventi non riesce a stare al passo, specie per come il tutto avviene. La sproporzione tra le due fattispecie è evidente, ed è ciò che in fondo mette più di tutto la zappa sui piedi ad un progetto dall’appeal comunque notevole. Besson vuole girare un film per tutti ma proprio tutti, al tempo stesso collocando il suo Valerian come un’alternativa alla fantascienza di stampo hollywoodiano, che rifiuta recisamente: ce la nega sin negli aspetti più minuscoli, come un’inquadratura da dietro le spalle a conclusione della quale ci si aspetta di vedere un volto celebre, mentre alla fine si tratta di un attore semi-sconosciuto, mentre magari te ne lascia in stand-by per quasi tutto il film uno ben più famoso, che un peso nella trama ce l’ha eccome. Ma anche nei tempi, per forza di cose non troppo incalzanti, e questo si spiega almeno in parte alla luce di quanto si è rilevato in merito all’impalcatura visiva, quella sì che ci aggredisce.

Da questa parte, peraltro, non si è trovata così disturbante nemmeno la presunta assenza di alchimia tra i protagonisti, quantunque non brillino, né sono aiutati da dialoghi che per forza di cose si limitano al botta e risposta ad effetto, oppure ad uscite del tipo «da dove vengo io vivere è peggio della morte» (quest’ultima la pronuncia un altro personaggio). Più azzoppanti i cosiddetti spiegoni, l’ultimo in particolare, che ci viene proprio buttato in faccia a mo’ d’illustrazione. Equilibri instabili, perché Besson si è dovuto confrontare con qualcosa di estremamente ambizioso ed al quale con ogni probabilità toccherà tornare, proprio in virtù di quella densità che ora come ora il nostro stomaco fatica a digerire; attenzione però, perché il metabolismo sta cambiando, dovendosi adattare a diete di altro tipo. Nel rigetto di certa stampa, specie americana, si coglie invece un sospetto di lesa maestà, come a dire che certe cose siano appannaggio di un’industria e quella soltanto, guai osare nella provincia. Ed invece no, s’ha da osare eccome, ed anche per questo il divertente ancorché provante, probabilmente lungo Valerian va tenuto in debita considerazione.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6.5″ layout=”left”]

Valerian e la città dei mille pianeti (Valérian and the City of a Thousand Planets, Francia, 2017) di Luc Besson. Con Dane DeHaan, Cara Delevingne, Clive Owen, Rihanna, Ethan Hawke, Herbie Hancock, Kris Wu, Rutger Hauer, Sam Spruell, John Goodman, Sam Douglas, Eric Lampaert, Emilie Livingston, Roman Blomme, Aurelien Gaya, Andrew Tisba e Alain Chabat. Nelle nostre sale da giovedì 21 settembre 2017.