Home Festival di Cannes Cannes 2018, Birds of Passage: recensione del film di Ciro Guerra e Cristina Gallego

Cannes 2018, Birds of Passage: recensione del film di Ciro Guerra e Cristina Gallego

Festival di Cannes 2018: dopo L’abraccio del serpente, Ciro Guerra, insieme a Cristina Gallego, torna nuovamente sulla sua Colombia partendo dalle origini. In questo caso l’avvento di quel fenomeno oramai tristemente legato al suo Paese, ossia il traffico di droga. Con un piglio di gran lunga più libero e pertinente di certi serial à la Narcos

pubblicato 11 Maggio 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 20:26

Una civiltà in declino si accinge ad essere soppiantata da una cultura nata già morta, e la domanda è: a quali dinamiche si va incontro quando ciò accade? In Birds of Passage la risposta del duo Guerra/Gallego è lapidaria, ed ha a che vedere con l’apocalisse. In piccolo, chiaramente, senza al di là e dunque senza alcun intento escatologico; un mondo tuttavia finisce e “qualcosa” è in procinto di subentrargli, perché dopo la fine c’è per forza un inizio, non può esserci niente. La portata del film colombiano che ha aperto la Quinzaine è questa qui, disposto a scomodare categorie filosofiche, l’etnologia, l’antropologia e chi più ne ha più ne metta. Dietro infatti a quel suo soffermarsi su un popolo specifico, in un’area geografica ben precisa, è impossibile fare a meno di scorgere un discorso che trascende il fenomeno isolato.

La Colombia di cui ci parlano Guerra e Gallego, agli inizi degli anni ‘60, risente ancora di una struttura tribale, ancorata ai propri riti, le proprie tradizioni, forse pure superstizioni: tutte cose, comunque, che fin lì hanno funzionato benissimo ma che all’improvviso sembrano acqua sporca, non solo inutile ma addirittura gravosa. E si capisce come e perché questa parabola abbia dei punti di contatto con altre realtà, tipo la nostra, in cui è sempre più chiaro sia stata da principio una favoletta quella della possibile se non addirittura auspicabile convivenza di esperienze umane diverse, agli antipodi proprio: o muore una o muore l’altra, con buona pace di chi, magari in buona fede, ha coltivato o continua a coltivare ambizioni di diverso segno, diciamo più ottimistiche.

Un giorno si osservano i movimenti, gli atteggiamenti della natura, siano essi dei pennuti, delle cavallette, gli alberi, le piante, le condizioni climatiche; quello dopo si è di punto bianco perso il senso di tutte queste cose qui, come se questa congerie di segni e abitudini ad essi legate non avessero mai avuto senso e non avesse perciò regolato l’esistenza. Ma se tutto ciò non ha senso, se si è trattato solo di un lungo, pressoché infantile equivoco, allora nemmeno quanto lo ha preceduto, le persone che sono cresciute e maturate all’interno di quelle mura ne hanno più. Birds of Passage ci fa vedere come il dismettere l’abito vecchio non porti per forza ad arginare certe forze che spingono con tale veemenza, specie quando al suo posto se ne indossa uno di una misura sbagliata.

Cerchiamo di essere meno criptici. La società tribale di cui sopra conosce la modernità, piccole cose: ora una jeep, ora la consapevolezza che una vita senza tutto quel ciarpame pseudo-magico sia possibile. Quella dei Wayùu è una sempre più sparuta popolazione che vive nel nord della Colombia: non parlano spagnolo e per la prima volta rischiano di dividersi in maniera irreparabile. In questo passaggio si consuma una diatriba interna lacerante, che porterà alla rottura definitiva quando da quelle parti cominciano a girare ingenti quantità di denaro. Come mai? Ovviamente è lo spaccio di cocaina. Persone che fino al giorno prima quasi nemmeno avevano visto una banconota, improvvisamente si trovano con le tasche piene, anzi, borsoni, stanze, non si sa più dove metterli. E vediamo che, inevitabilmente, i primi a risentire maggiormente dell’impatto sono i giovani, che traducono quella improvvisa, strabordante disponibilità in potere.

Annebbiati, ciechi, divinizzati da questo nuovo stato di fatto, perdono il contatto con la realtà; cominciando per esempio col costruirsi abitazioni che sono letteralmente delle cattedrali nel deserto, sfarzose, regali proprio, un pugno nell’occhio, come se vi fosse atterrata un’astronave. C’è una scena in cui, è vero, si sfiora la didascalia, eppure tuttavia dà la dimensione di questo smarrimento, quando il figlio della matriarca Ursula offre ad un suo sottoposto una borsa stracolma di soldi purché però quest’ultimo mangi degli escrementi di cane. Non si fraintenda, però, come se Birds of Passage facesse banalmente leva sui soliti argomenti pauperisti che vedono nel Capitalismo l’eterno nemico; i due registi vanno ancora più a fondo, fermandosi uno step prima.

Non è infatti concepibile una simile disfatta, un traviamento così profondo, senza l’abbandono scellerato di tutto ciò che aveva, in un modo o nell’altro, garantito l’esistenza, che improvvisamente viene avvertita come sopravvivenza. Sia chiaro, e qui sta parte di ciò che contribuisce allo spessore del film: non vi è alcuna celebrazione, anzi, si ammette la necessità del cambiamento, o per lo meno l’ineluttabilità di quell’evento, o serie di eventi, che mettono a repentaglio appunto l’esistenza di un intero popolo. Mi pare che la portata del lavoro di Guerra e Gallego assuma consistenza, ampliandosi, proprio alla luce di questa loro lucidità nel suggerirci, senza spiattellarcelo inopportunamente, che con troppa negligenza, troppa faciloneria, da un certo momento in avanti, l’uomo ha accantonato il mistero, per far spazio ad uno scetticismo che ha dato certi frutti, il più delle volte cattivi. Da tale chiusura deriva tutto il resto.

Ribaltando certi format televisivi che di recente hanno preso piede con vieppiù insistenza, vedi Narcos, negando(si) ogni genere a dispetto della tematica (il traffico di droga), Birds of Passage si avvicina tutt’al più ad una rivisitazione complessa e stratificata del ganster movie in chiave autoriale. Il resto, come accennato all’inizio, è simbolismo e una vivida impressione di cosa sia una civiltà in declino quando viene soppiantata da una cultura nata morta. Opera di rara potenza, che ancora una volta va ad impreziosire la Quinzaine anziché il Concorso ufficiale.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]

Birds of Passage (Pájaros de verano, Colombia, 2018), di Cristina Gallego e Ciro Guerra. Con Natalia Reyes, Carmina Martinez, Jhon Narváez e Greider Meza. Quinzaine des Réalisateurs.

Festival di Cannes