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Cannes 2018, Climax: recensione del film di Gaspar Noé

Festival di Cannes 2018: altro disturbante, spossante lavoro del Gaspar Noé più teorico di tutti, senza rinunciare a quella che oramai sembra sentire come una vocazione, ossia rimettere costantemente in discussione i limiti dello sguardo

pubblicato 23 Maggio 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 20:00

Climax è una festa. Nessuna descrizione ardita, poetica, perché di questo si tratta. All’inizio vediamo scorrere una serie d’interviste in cui alcune persone, evidentemente ballerine e ballerini, discutono rispetto alle proprie aspettative, la loro esperienza in Francia, il mondo del ballo e via discorrendo. Le interviste durano un bel po’, finché li ritroviamo tutti insieme in una sala che ricorda parecchio quelle in cui si tengono le feste di fine anno, con la console in bella vista ed il tavolo con le bibite di lato. A quel punto, e solo allora, parte una lunga coreografia sulle note di Supernature. Ed anche in sala, l’altra, quella in cui ci stiamo noi spettatori, si balla.

Per certi versi Noé anche stavolta guarda al saggio, ed anche stavolta è diretto, inserendo già nel titolo l’oggetto dell’argomento. Questo suo ultimo lavoro illustra come si prepara e conduce un climax, ma soprattutto come lo si fa al cinema. Niente di più, niente di meno. Il resto è pretesto, verrebbe quasi da dire contorno; i vari componenti di questo gruppo chiacchierano fra di loro, ed è in pratica l’altra parte di Climax, composta proprio di conversazioni più o meno sensate, ma che servono proprio in funzione di quanto si sta cercando di spiegare.

Non è infatti attraverso le parole che si sostanzia l’operazione del regista argentino, a cui va riconosciuto l’evidente talento di aver sempre “giocato” col mezzo, cercando sistematicamente di spingersi oltre. Chi scrive non ne è un estimatore, pur non essendo mai rimasto indifferente alla sperimentazione, fino al 3D di Love, che anzi è semmai uno schiaffo quasi gentile a chi guarda, al quale non viene nondimeno risparmiata la famosa eiaculazione dritta in faccia. È sempre stato un muoversi un po’ più in là, sfidare lo sguardo, che è poi sfidare la tenuta mentale di chi osserva. Con Climax, mi pare, Noé consegue qualcosa a cui finora non era mai giunto, ossia un’esperienza piena, totale, a fronte di un lavoro ed un ragionamento sulle possibilità offerte dal cinema che è raro a vedersene.

Improvvisamente la gente comincia ad accusare uno strano malessere, sebbene non si capisca a cosa sia riconducibile: la prima idea è che qualcuno abbia messo qualcosa dentro alla sangria che tutti hanno bevuto. Ed allora la si accerchia, l’atmosfera comincia a farsi incandescente, ma di lì a poco si capirà che le droghe non c’entrano alcunché. È un crescendo, né più né meno, attraverso cui Noé c’incalza senza lasciarci respirare nemmeno un secondo; un’escalation che non manca di attingere ai soliti tic del regista, che qualche inserto forte lo infila in ogni caso, come i calci e i pugni nello stomaco di una donna che ha appena svelato di essere incinta. Nel frattempo, questa inspiegabile forza si fa strada e contagia tutti, quasi fosse uno scenario da possessione comune.

Resta tuttavia un caos sorprendentemente controllato, in cui si susseguono questi precisi pianosequenza capaci di mettere in scena un vero e proprio inferno, dal quale peraltro è impossibile mantenere alcun distacco. Sì, a tratti è una tortura, non per niente Climax rappresenta una di quelle esperienze che non tutti possono riuscire a portare a termine, ed anche chi ce la fa, ecco, non pochi tra questi potrebbero non volerci più tornare. Nessuno sa girare cose di questo tipo, e Noé di tutto ciò ne ha oramai fatto, evidentemente, un marchio di fabbrica.

I suoi sono filma allucinanti, psicotropi, nel senso che è impossibile prestarvisi e restare lucidi, a tal punto se ne viene sopraffatti. Siamo pronti a scommettere che là fuori vi siano pure tanti ben disposti a dire che lavori del genere siano anche “belli”, qualunque cosa questo significa, una sommaria descrizione che ad ogni buon conto non me la sento di condividere. In Climax, per esempio, siamo al confine con l’horror, quantunque d’autore, per certi aspetti addirittura sofisticato; del genere recupera ed espande, appunto, la componente esperienziale, quello di trasportarci dentro, rivoltarci come un calzino e poi sputarci fuori alla fine. Un processo per forza di cosa violento, malgrado la violenza non sia in fin dei conti la componente pregnante del film.

Non pregnante, ok, ma presente senz’altro. Sesso, violenza e morte sono leitmotiv più che presenti, altroché, tanto che tutto ciò che ha che vedere con la storia e le suggestioni evocate sono riconducibili ai temi in questione. I vari exploit, sapientemente preparati, si concretizzano infatti o in atti di violenza, oppure, appunto, in atti sessuali; tutti scomposti, proprio perché espressione di un controllo venuto radicalmente meno, puro istinto, perciò estemporanei, confusionari. L’esatto contrario di quella coreografia iniziale che invece generava l’effetto opposto, ossia quello di un ordine, una geometria, un controllo del e sul corpo che viene esattamente ribaltato nella seconda parte.

Come già accennato, Noé si è sempre dimostrato incline a certa sperimentazione, eppure mai come in Climax la sua verve teorica si è rivelata così predominante. In passato non si è trattenuto dal dire la sua su temi alti, come la morte o l’amore per esempio, mentre stavolta mi pare che abbia inteso dire qualcosa sul cinema in sé, sempre con particolare attenzione a quella soglia dello sguardo che in qualche modo vuole mettere alla prova, se non addirittura oltrepassare. Eppure si tratta di un lavoro, per conduzione, così viscerale, che chiunque non potrebbe fare a meno di rispondere; anche negandosi, certo, purché si ammetta che anch’essa sia una forma di reazione, ben più consapevole e significativa che in tante altre occasioni. Il suo è un carnaio quasi giocoso, il cui tenore cupo e nichilistico è tutt’al più un vezzo alla stregua di altri suoi colleghi, tipo Refn o Von Trier, che di certa provocazione ne hanno fatto un impegno; ciascuno a proprio modo, tra il serio e il faceto.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]

Climax (Francia, 2018) di Gaspar Noé. Con Sofia Boutella, Romain Guillermic, Souheila Yacoub, Smile Kiddy, Claude Gajan Maude, Giselle Palmer e Taylor Kastle. Quinzaine des Réalisateurs.

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