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Venezia 2018, What You Gonna Do When the World’s on Fire?: recensione del film di Roberto Minervini

Festival di Venezia 2018: le ansie, le paure e le difficoltà di una comunità nera negli Stati Uniti del Sud per l’ultimo Minervini, meno incisivo dei precedenti ma ancora con qualcosa da dire

pubblicato 3 Settembre 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 16:59

Una comunità nera nel Sud degli Stati Uniti è scossa dall’ennesima uccisione di uno di loro. Il modus operandi è insolito; come rileva Judy, se fosse stato un affare tra neri sarebbero volate pallottole, mentre alla vittima è stata staccata la testa. Judy ha un passato burrascoso per dire il meno: tossicodipendente, è stata abusata già da bambina, violenze proseguite pure da più grande, quando comunque ancora le donne non potevano parlare, figurarsi denunciare certe cose. Uno dei racconti che Judy fa, rievocando uno di questi tremendi episodi, mette quasi in agitazione: c’è quel senso d’ingiustizia e impotenza che nessuno dovrebbe sperimentare. Non dovrebbe eppure è accaduto, accade.

Krystal Muhammad è invece la leader dei Black Panthers locali, gente che si è stufata di delegare e ritiene che gettarsi nella mischia, “sporcarsi le mani”, sia l’unica soluzione per poter anche solo sperare che qualcosa cambi. Si parla di vincere la guerra contro l’uomo bianco, quello che da quattrocento anni li tiene sotto scacco, non importa che la schiavitù venga fatta passare per una brutta pagina oramai archiviata. Aiutano come possono, chi possono in quel quartiere disagiato, in cui si vive una tensione costante, la rabbia è alle stelle e c’è tanta paura.

Il piccolo Titus ed il fratello poco più grande, Ronaldo, hanno davanti a loro una vita e la madre fa il possibile per incanalarli nel verso giusto. Giocano, s’azzuffano, s’inventano passatempi come fanno tutti a quell’età, ma è davvero difficile immaginare per loro un futuro diverso rispetto al contesto in cui si trovano. Non perché difettino in qualcosa, men che meno in intelligenza, basti vedere com’è spigliato Ronaldo, che dà risposte divertenti alla madre che lo mette con le spalle al muro riguardo alle fattispecie più disparate: a scuola ti comporti male, non drogarti, studia, non essere di cattivo esempio a tuo fratello e via discorrendo. E lui non si tira indietro, controbatte, mostra già quel briciolo di buon senso che altri, più grandi, non hanno. Ma quando discute col fratellino sulla questione inerente alla razza vengono fuori le contingenze, l’essere cresciuto in un luogo dove le differenze non sono percepite come semplici differenze e razzismo è il termine che si è sentito più volte.

Roberto Minervini, con What You Gonna Do When the World’s on Fire?, torna in quelle zone d’America abbandonate a sé stesse, quelle che si conoscono meno, o su cui si preferisce sorvolare, diversamente il sogno americano non si riesce a vendere allo stesso modo. Con una differenza sostanziale in partenza, ossia il ricorso ad un bianco e nero molto fine, roba che in ambito documentaristico non si vede così curato. E si tratta di uno statement mica da poco, volto a reiterare quel concetto su cui Minervini ha improntato il suo cinema, per cui il confine tra documentario e finzione, oggi soprattutto, sia estremamente sottile. A tal punto che non gli interessa rintracciarlo, o quantomeno sbattercelo in faccia; lui seguita ad avvicinare i suoi personaggi e riprenderli mentre vivono, cercando di essere meno invasivo possibile.

Così come con documentaristi più navigati nonché affermati, tipo Wiseman, dal cui approccio Minervini mutua abbastanza, il lavoro più difficile non si avrà mai modo di vederlo. Lavoro ingrato il loro, perché ciò a cui assistiamo mediante il prodotto finito non rappresenta che una percentuale piuttosto contenuta dell’intera impresa; come si fa infatti a guadagnarsi la fiducia di queste persone? Come le si convince che si ha a cuore la loro vicenda personale e se ne avrà la dovuta cura nel mostrarla? Come vanno diretti, posto che non sono attori e non stanno recitando in senso stretto? Il mestiere è lì, prima ancora che nell’assemblare una mole di girato che s’immagina cospicua, imponente.

Minervini ha occhio, e What You Gonna Do When the World’s on Fire? lo conferma senza riserve. Ci sono scene che, sole, valgono l’intera traversata: momenti di spessore umano e volendo pure artistico notevoli, che in pochi istanti, qualche parola, qualche gesto, ci mettono a parte circa la verità di questi personaggi. Tuttavia sarà l’alternanza, la scelta di queste tre storie, ma quest’ultimo lavoro appare meno mordace dei precedenti. Per dire, se tutto il film fosse al livello del suo personaggio migliore, ossia Judy, della sua situazione, certi piccoli cambiamenti, allora sì che saremmo sul medesimo livello dei lavori precedenti di Minervini, che ha sempre avuto intuito nello scovare i casi giusti, tirando poi fuori il materiale adatto per trasmetterceli in maniera credibile, verrebbe da dire “piena”.

Forse è questo che manca a What You Gonna Do When the World’s on Fire?, che in qualche modo lo ridimensiona, ossia l’ordinarietà di questi personaggi; quanto appena evidenziato, chiariamo, rispetto al fatto che simili profili in fondo si conoscono, ci si immagina cosa facciano e poiché Minervini non è solito manifestare istanze esplicite di alcun tipo, deve far fondo fattispecie di livello ben diverso, qualcosa che davvero non si è soliti vedere. Non che la parabola di Judy, ahinoi, sia poco diffusa, senonché è proprio lei a reggere molto bene il confronto con la camera, a vincerla, ad imporsi, e questo la dice lunga su quanto larghe abbia le spalle, quante ne abbia passate, prima ancora che sbotti in quel frangente in cui vomita con le lacrime agli occhi accadimenti che altri fanno fatica a svelare perfino a sé stessi.

Con le altre due storie si fa più fatica, anche perché certi racconti assumono consistenza alla luce di un contesto che si ha modo di approfondire meglio, quasi che il quartiere diventi a sua volta un personaggio, ed allora le vicende di quei singoli che si muovono al proprio interno ne guadagnano in profondità, anche un dettaglio apparentemente insignificante si fa informazione. Resta lo spaccato di una parte di USA che esiste, è lì, in un periodo storico delicato, quantunque le radici della condizione attuale siano da ricercare a ritroso. Il lavoro di Minervini, senza volerne in alcun modo sminuire le aspirazioni, ci pare stavolta più incisivo da un punto di vista formale, interno al discorso inerente al dispositivo, e non è poco, sia in generale che in relazione al suo stesso modo di fare cinema.

D’altra parte serve interrogarsi sulle modalità, esplorare per capire fin dove ci si può spingere, magari mantenendosi fedeli ad un indirizzo che, nel caso di questo regista, è decisamente forte (non necessariamente rigido, ma forte). Sono fasi che ad ogni cineasta vanno concesse, anche a costo di perdere qualcosa mentre si ricerca, ci si confronta con alcuni accorgimenti di linguaggio grazie ai quali magari si raccoglieranno i primi frutti al prossimo giro. Vero è che qui si parla di processi molto personali, per cui lo spettatore potrebbe, se non addirittura dovrebbe restarne fuori. Ma se si cerca di capire come mai What You Gonna Do When the World’s on Fire?, pur essendoci i presupposti, non sprigioni la stessa forza delle sue fatiche precedenti, ecco, di ragioni ne esistono ed ho la vaga impressione che delle ricadute potremmo indirettamente beneficiarne pure noi a suo tempo.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6.5″ layout=”left”]

What You Gonna Do When the World’s on Fire? (Italia/USA/Francia, 2018) di Roberto Minervini. Con Judy Hill, Dorothy Hill, Michael Nelson, Ronaldo King, Titus Turner, Ashley King, Kevin Goodman e The New Black Panthers Party for Self Defense. In Concorso.