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L’apparizione: recensione del film di Xavier Giannoli

Giannoli affronta una tematica ostica avvicinandola con rispetto e intelligenza. Che poi ne L’apparizione non tutto convinca è un altro discorso

pubblicato 18 Settembre 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 16:26

Quanto c’è d’interessante, da tenere, nell’ultimo lavoro di Xavier Giannoli emerge forse malgrado il racconto che il regista francese ne fa. Ne L’apparizione si parla di una ragazza, Anna (Galatéa Bellugi), a cui è apparsa Maria Vergine, la Madonna. Siamo nel Sud della Francia, quella che un tempo si definiva la «figlia prediletta della Chiesa», non avulsa da fenomeni simili, su tutti Lourdes e La Salette. Dal Vaticano, tuttavia, vogliono vederci chiaro, perciò parte l’inevitabile indagine. Dalla Curia emerge la volontà di affidarsi a qualcuno che non si faccia condizionare più di tanto, anzi, meglio se lontano a vicende del genere. Viene fuori il nome di Jacques (Vincent Landon), su cui il film si apre, lui segnato dalla morte sul campo del suo storico amico e collega a causa di una bomba in una zona di guerra.

Jacques è un giornalista d’inchiesta, curioso, a quanto pare leale, ed è questa la ragione per cui viene convocato a Roma. Giannoli predispone tutto affinché la parabola del personaggio di Landon prenda una direzione specifica, se vogliamo pure un po’ telefonata: lo scettico che, a fronte di un periodo in cui viene messo a dura prova, esce da questa crisi grazie alla Fede. Non anticipiamo nulla, ma non si tratta esattamente di questo. Pur non capendo del tutto come mai gli sia piovuta questa opportunità, Jacques s’imbarca in questa spedizione nel corso della quale gli toccherà coordinare la squadra chiamata a stabilire se Anna abbia davvero visto la Madre di Dio o se si tratti di un’impostura.

In apertura dicevamo che, in fondo, ciò che s’ha da prendere, che davvero funziona nel film non è poi così tanto riconducibile a come questa storia, nonché i suoi personaggi, vengono sviluppati. Giannoli cerca di mantenere un approccio neutro, ed in fondo ci pare questa la sfida più impegnativa da affrontare nell’ambito di un progetto del genere: consapevole di muoversi su un terreno minato, è difficile che non si noti lo sforzo nell’evitare tutte quelle trappole a priori disseminate da un contesto culturale che rende forse addirittura impossibile un certo argomentare sciolto, più diretto. Ed infatti si cincischia un pochino, specie in preparazione del finale, addirittura col rischio d’incartarsi, mentre L’apparizione si dipana come un giallo che è un mistery in senso lato, al di là dei codici del genere.

Giannoli in fin dei conti ha una sola, vera intuizione rispetto al soggetto, dunque poi alla sceneggiatura: il mistero è tale proprio in quanto non viene svelato del tutto. Per definizione, a un miracolo, quale che sia la nostra idea a riguardo, non ci si può accostare con squadra e righello, cucendoci sopra un testo che soddisfi a pieno il desiderio dello spettatore/lettore nel veder risolto il caso. Consapevole di questa semplice eppure estremamente complessa dinamica, lo sceneggiatore è come se rinviasse quel finale che prima o poi per forza di cose, in un modo o nell’altro, deve arrivare. Che sia santa o lestofante, di Anna qualcosa si dovrà pur sapere, capire.

Il taglio che Giannoli dà non è troppo rigoroso, sebbene la tendenza ad una certa austerità s’imponga un po’ da sé; al contrario, ed è, volendo, la cifra di questo regista che non ha mai fatto davvero il salto, quel suo porsi al confine tra un cinema d’ispirazione sì autoriale ma mai fino in fondo, preferendogli piuttosto un tono e delle modalità espressive più accessibili. Una particolarità che emerge pure qui, ne L’apparizione, il che è appunto notevole se si pensa che un vero e proprio stile non c’è, né, come appena ravvisato, Giannoli l’ha mai probabilmente avuto.

Resta da capire se la soluzione adottata non finisca finanche col contrariare chi si aspettasse una chiusa facile, soddisfacente nella misura in cui il cerchio venga chiuso davvero. La risposta non sta nel negare quanto piuttosto nelle inglobare fattispecie, lasciando, à la Pascal, abbastanza ombre per dubitare e abbastanza luce per credere; calcando un po’ di più la mano su quei pochi profili deprecabili, che alla fine sono anche quelli che hanno meno spessore di tutti – va detto, pure perché schiacciati dai due protagonisti, ossia Landon e Bellugi. Un modo nondimeno intelligente di appressarsi alla questione, che cede qualcosa, certo, ma non nel senso che ci si limita a voler mettere d’accordo tutti; anzi, proprio su quel finale qualche rischio ce lo si prende.

Dove il tutto rallenta, infatti, dove insomma la fatica si avverte, non da parte nostra ma proprio da parte degli autori nel far quadrare le cose, è nel dare vita a un racconto che è in parte un percorso interiore, pur rimanendo sempre e comunque sulla superficie, quando si scopre che la risoluzione dell’enigma giace al fondo di una vicenda parallela, apparentemente slegata, che riguarda il passato della seppur giovane Anna. Giannoli lascia in sospeso fino all’ultimo, rispettoso malgrado le incertezze. L’amaro in bocca resta solo per l’altro film, quello che viene fuori praticamente in epilogo, quando oramai è ahinoi troppo tardi per approfondire sul serio la storia di una vocazione non corrisposta. Nondimeno, proprio alla luce di quegli ultimi pochi minuti, si ha modo di guardare a L’apparizione con uno sguardo diverso, leggendo l’intero film proprio come una serie di conseguenze innescate dalla “fuga” che le ha precedute.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6.5″ layout=”left”]

L’apparizione (L’apparition, Francia, 2018) di Xavier Giannoli. Con Vincent Lindon, Galatéa Bellugi, Anatole Taubman, Patrick d’Assumçao, Geoffroy De La Taille, Axelle Simon, Sandrine Ferraro e Elina Löwensohn. Nelle nostre sale da giovedì 11 ottobre 2018.