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Il Ritorno di Mary Poppins, recensione: magico ma imperfetto sequel autocitazionista e nostalgico

Atteso e temuto, il sequel di Mary Poppins è diventato realtà, con una Emily Blunt semplicemente sublime.

pubblicato 14 Dicembre 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 14:15

55 anni dopo l’uscita in sala, Mary Poppins è ancora oggi uno dei più iconici film di tutti i tempi. Talmente celebre dall’essersi meritato un dietro le quinte ad hoc con Tom Hanks ed Emma Thompson mattatori (Saving Mr. Banks), fino all’arrivo di questo temuto e atteso sequel, apparentemente folle e impossibile.

Diretto da Rob Marshall, regista di musical come Chicago, Il ritorno di Mary Poppins prende a piene mani dai sette ‘sequel’ cartacei scritti da P.L. Travers con la leggendaria governante protagonista, affidando ad Emily Blunt, lanciata da Il Diavolo Veste Prada e già apprezzata cantante in Into the Woods, gli abiti che Julie Andrews rese immortali nel lontano 1964. Un compito arduo, se non suicida, per la 35enne attrice inglese, qui affiancata dal 38enne lanciatissimo Lin-Manuel Miranda, chiamato ad interpretare un lampionaio ballerino e canterino, sulla falsariga dello spazzacamino Dick Van Dyke del titolo originale.

Il Ritorno di Mary Poppins è ambientato nella Londra della Grande Depressione. Michael Banks, interpretato da un intenso e bravo Ben Whishaw, è un uomo adulto che ha accettato un impiego temporaneo presso la Banca in cui lavoravano suo padre e suo nonno. Michael ha da poco perso l’amata moglie, è in crisi finanziaria ed è costretto a crescere i suoi tre figli Annabel (Pixie Davies), John (Nathanael Saleh) e Georgie (Joel Dawson) al numero 17 di Viale dei Ciliegi. Ad aiutarlo la volenterosa domestica Ellen (Julie Walters) e la sorella Jane (Emily Mortimer), come sua madre sindacalista al fianco dei lavoratori. La sua stessa banca, a cui aveva chiesto un prestito, ha avviato le procedure per il pignoramento della casa di famiglia, per volere del direttore Wilkins (Colin Firth), dando al povero Michael pochi giorni di tempo per risolvere l’ingarbugliata soluzione. Ma il vento, fortunatamente per lui, inizia a cambiare con Mary Poppins, che torna a planare su Londra, tra avventure stravaganti, magie abbaglianti e nuovi stravaganti personaggi.

Un sequel chiaramente nostalgico e autocitazionista, come già avvenuto negli ultimi anni con Star Wars VII e Jurassic World, perché ad Hollywood c’è sempre più bisogno di rilanciare acclamati e amati titoli mai dimenticati, omaggiandoli senza andarci troppo sul sottile. Sceneggiato da David Magee, nominato agli Oscar per Neverland – Un sogno per la vita e Vita di Pi, Mary Poppins 2 torna ad aprire il portone di fantasia e meraviglie che Walt Disney spalancò non senza fatica nel 1964, dopo aver combattuto a lungo con la Travers sul set della pellicola di Stevenson.

Sostituire Julie Andrews, 55 anni or sono premio Oscar, sembrava onestamente impossibile, eppure la Blunt incanta, sin dai primissimi minuti, replicandone la dolcezza, la vanità, la spigolosità, l’eleganza, il portamento, la forza, la credibilità. Emily canta e balla, tenendo meravigliosamente la scena per oltre due ore, tra tuffi in oceaniche vasche da bagno con delfini e galeoni, animati vasi di ceramica e sfrenate coreografie tra le nebbiose strade di Londra. Al suo fianco un Lin-Manuel Miranda che fa il suo, dopo aver vinto un Pulitzer, 3 Grammy, un Emmy Award e 3 Tony Awards, senza però mai dare l’impressione di reggere il confronto con il memorabile Dick Van Dyke. Non a caso quando il 93enne compare sullo schermo, ballando sulla scrivania negli abiti dell’anziano sig. Dawes Jr, il paragone si fa spietato, ai danni ovviamente del 38enne portoricano. Onde evitare una simile spiacevole situazione, l’83enne Andrews ha rifiutato la proposta di un cameo celebrativo, proprio per non togliere spazio alla nuova Mary Poppins.

In un Regno Unito grigio e depresso, con migliaia di famiglie sul lastrico e banchieri/avvoltoi a volteggiare sulle case ricoperte di debiti, Marshall dipinge un quadro di dolore e difficoltà. C’è un grave lutto da elaborare, nella famiglia Banks, oltre ad un pesante debito da saldare. L’arrivo della tata Poppins, rigorosamente piovuta dal cielo e con ombrello parlante, torna ad accendere quella fantasia che gli adulti tendono puntualmente a spegnere una volta archiviata l’infanzia. Ed è così che i lampioni di Londra si fanno nuovamente luminosi, catapultando i piccoli figli dell’ormai adulto Michael in mondi incantati, chiaramente accompagnati da musiche e canzoni. Perché come in Mary Poppins, anche nel suo sequel si canta e si danza, ma la colonna sonora di Marc Shaiman e Scott Wittman, va detto, non è neanche lontanamente paragonabile ai capolavori scritti da Richard M. Sherman e Robert B. Sherman, nel 1965 due volte premi Oscar. Solo la dolce ninna nanna “The Place Where Lost Things Go“, probabilmente, si può considerare un ‘classico’, perché per il resto della soundtrack fatica ad imporsi, a rimanere impressa. Il doppiaggio in italiano, inesorabilmente, non aiuta affatto (brava Serena Rossi).

Dovendo/volendo ricalcare quando visto 55 anni fa, Marshall si concede una lunga scena con animazione tradizionale, che vede la Blunt, Miranda e i tre bimbi catapultati tra i disegni di un vecchio vaso, per poi bissare l’epocale balletto sopra i tetti di Londra del film originale, ma questa volta in strada, tra lampioni e lampionari. Autore delle coreografie lo stesso regista, ricco e abbagliante nei costumi e nelle scenografie, chiaramente intenzionato a far risorgere quel sentimentalismo old style tipicamente hollywoodiano, perfetto sia per grandi che per piccini. La nostalgia canaglia abbraccia sapientemente l’intera operazione, pedagogica e immaginifica, ma indubbiamente tutt’altro che originale. Rivoluzionario nel 1964, questo Mary Poppins compie quasi l’operazione inversa, guardando ad un cinema d’altri tempi, malinconicamente dimenticato e faticosamente replicato. La magia di allóra si è fatta meno dirompente, perché prevedibile, ma è comunque tornata a brillare al numero 17 di Viale dei Ciliegi. Ciò che manca rispetto al passato, e non è affatto un problema da poco, è la potenza musicale, soprattutto in quei testi che ancora oggi, dopo quasi 55 anni, continuiamo ad intonare. In questo nuovo Mary Poppins tutto ciò non avviene, appesantendo una narrazione che fatica a decollare con i suoi 16 brani inediti appositamente realizzati.

Problema simile si riscontra con i personaggi ‘nuovi’, qui presentati. Se il cinico e infame Colin Firth rientra in un quadro quanto mai banale, non giganteggia neanche la pazza Topsy interpretata da Meryl Streep, cugina alla lontana della governante Poppins. Un’unica scena danzata e cantata, per la diva tre volte premio Oscar, come al suo solito ineccepibile ma presto dimenticata. A non aiutare, anche in questo caso, un brano assai poco graffiante. Se Julie Walters, anziana domestica di casa Banks, strappa flebili sorrisi, Van Dyke sbalordisce e commuove, dall’alto dei suoi 93 anni, così come la coetanea Angela Lansbury, meravigliosa strega in un altro cult Disney di Stevenson, Pomi d’ottone e manici di scopa, qui vagamente omaggiato tra animali animati parlanti e balli sottomarini.

Siate nuovamente bambini, urlano a noi spettatori Marshall e lo sceneggiatore Magee, appendendoci a dei colorati palloncini pregni di fantasia, di malinconica commemorazione nei confronti di un capolavoro irripetibile e ineguagliabile, qui riprodotto con fare imperfetto ma garbato, pur di mandar giù quell’immancabile pillola fedelmente zuccherata.

[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]

Il Ritorno di Mary Poppins (Usa, 2018, Mary Poppins Returns) di Rob Marshall; con Emily Blunt, Lin-Manuel Miranda, Ben Whishaw, Emily Mortimer, Julie Walters, Dick Van Dyke, Angela Lansbury, Colin Firth, Meryl Streep, Christian Dixon, Pixie Davies, Jeremy Swift, Kobna Holdbrook-Smith – uscita giovedì 20 dicembre 2018.