Home Festival di Venezia Venezia 2019, The Laundromat, recensione – l’affare dei Panama Papers trasposta in una spassosa farsa

Venezia 2019, The Laundromat, recensione – l’affare dei Panama Papers trasposta in una spassosa farsa

Meryl Streep, Gary Oldman ed Antonio Banderas protagonisti del terzo film Netflix di Steven Soderbergh. Leggete la recensione di The Laundromat

pubblicato 1 Settembre 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 17:07

Ellen (Meryl Streep) è in vacanza col marito nei pressi di New York. È in quest’occasione che la barca su cui sta viaggiando si ribalta, lasciandola da sola ad occuparsi non solo del lutto, ma di tutto ciò che segue; affari pratici, roba burocratica. È questo il collegamento con l’astuta macchinazione, la ramificata rete portata alla luce dai cosiddetti Panama Papers. Una delle prime preoccupazioni di Steven Soderbergh è stata quella di rendere accessibile, senza farsi imbrigliare da meccanismi, terminologia ed altri elementi inutilmente elaborati. Il senso è quello di restituire la portata di quanto emerso da quei documenti, ma soprattutto chiarire che non si tratta di qualcosa che interessa solo la categoria rientrante nell’inflazionata ancorché pratica descrizione dell’1%.

Quella di Ellen è solo una delle tante storie, delle tante persone che toccate da quel meccanismo, pur non avendo nemmeno la più vaga idea della sua esistenza. Mediante una struttura che salta da un episodio a un altro, procedendo per argomenti, una sorta di agevole elenco tematico che, laddove abbisogna di una spiegazione, si serve dei due protagonisti di questa vicenda, ossia Jurgen Mossack (Gary Oldman) e Ramon Fonseca (Antonio Banderas), fondatori di uno studio che gestiva un numero spropositato di compagnie di copertura, off-shore, offrendo la loro consulenza a chi voleva avvantaggiarsi di questo buco legislativo incredibile, capace di far risparmiare cifre spropositate che, diversamente, si sarebbero trasformate in tasse.

Soderbergh è una figura atipica in quel carrozzone che è Hollywood, una sorta di outsider al contempo pienamente integrato, una contraddizione che è possibile solo spiegare attraverso i suoi progetti, condotti sempre con l’occhio e l’istinto dell’imprenditore. Con The Laundromat non è diverso; il regista di Sesso, bugie e videotape intercetta la via da seguire al fine di fare di questa ben più articolata vicenda un racconto che riesca a coniugare l’esigenza di rivolgersi a un pubblico il più ampio possibile, obiettivo prioritario, con quella di tentare di spiegare cosa è accaduto. È siccome, come detto e come ampiamente immaginabile, si tratta di dinamiche particolari, finanche ostiche in molti passaggi, fa di Mossack e Fonseca più che delle voci narranti, bensì dei veri e propri personaggi che a più riprese infrangono la quarta parete, denunciando la finzione, e così, nemmeno troppo paradossalmente, incrementando il realismo del racconto.

Nell’ambito di un’atmosfera farsesca, che non ha nulla di serioso, se non verso la fine, quando si vogliono tirare le somme, al contempo Soderbergh vuole mettere in risalto che la posa da commedia è solo una modalità, sotto la quale però si cela un elenco di fatti (non più segreti) più che reali, le cui ripercussioni sono di gran lunga meno circoscritte di quanto si pensi. Quasi una commedia nera, meno gli omicidi, se non incidentali, poiché si ride pur non essendoci nulla ridere. Un approccio furbo, che anche in certe trivialità coglie l’assurdità di una catena che, a descriverla come si deve, si potrebbero girare intere serie TV.

Proprio in funzione di questa necessità di evadere il dramma, Soderbergh non si focalizza troppo sulle peripezie di chi incappa in certe cose avendo a malapena di che campare, o comunque vivendo con mezzi non esorbitanti; insomma, la classe media. È più divertente quando si scaglia sulle piccole «disgrazie» dei ricchi, arraffoni e mentitori spudorati, sul loro goffo modo di rapportarsi alla ricchezza, la stessa che non si sa fino a che punto li ha sformati oppure li ha trovati così in partenza. Gli episodi, a dire il vero, sono pochi, evocati in base al punto toccato nel discorso che stanno portando avanti Mossack e Fonseca; di tanto in tanto quest’ultimi entrano in campo e spiegano come funziona quel passaggio specifico.

Un più che discreto intrattenimento, ingegnoso quanto a certe intuizioni, convenzionale quanto basta, The Laundromat è un Soderbergh che oramai c’ha preso gusto col dispositivo Netflix, con cui collabora per la terza volta. Il regista di Unsane e High Flying Bird è infatti forse l’unico, anche per esperienza sul campo, che di volta in volta sta calibrando un tipo di contenuto molto adatto a questa piattaforma, senza rinunciare ad essere e farsi Cinema. Senza imporre uno stile, che con ogni probabilità questo regista onnicomprensivo nemmeno ha, Soderbergh fa perfino tesoro delle sue esperienze con l’iPhone, che l’hanno palesemente segnato nell’approccio alle riprese, le quali pure qui, con ben altri mezzi, risentono di quella parentesi che forse non è nemmeno tale. Gradevole e spassoso Cinema medio, tale in spirito, malgrado la confezione blasonata ed il cast di stelle, che non sta scritto da nessuna parte debba far rima con mediocre.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]

The Laundromat (USA, 2019) di Steven Soderbergh. Con Meryl Streep, Gary Oldman, Melissa Rauch, Jeffrey Wright, Alex Pettyfer, David Schwimmer, Matthias Schoenaerts, Antonio Banderas, James Cromwell e Robert Patrick. Concorso.

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