Home Festival di Venezia Venezia 2019, Martin Eden, recensione – racconto di formazione senza tempo per Pietro Marcello

Venezia 2019, Martin Eden, recensione – racconto di formazione senza tempo per Pietro Marcello

Luca Marinelli assoluto protagonista dell’ultimo lavoro di Pietro Marcello. Leggete la nostra recensione di Martin Eden

pubblicato 2 Settembre 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 17:05

Martin (Luca Marinelli) fa il pescatore, fiero di esserlo. Però non gli basta. È solo una delle sue idiosincrasie, forse apparenti, o forse semplicemente troppo profonde: perché sì, volersi migliorare non vuol dire disprezzare da dove si viene, ma in corso d’opera la linea che separa l’ambizione da una presa di distanza netta, irrevocabile, che molto somiglia al disprezzo, è labile. Lo è per chi coltiva una sensibilità affine a quella di Martin, il quale non dispone dell’istruzione minima per poter aspirare ad altro che non sia il restare imbrigliato in quella condizione di proletario permanente, che magari potrà ottenere qualche piccola concessione, ma che alla lunga sarà sempre perdente.

Pietro Marcello gira il suo film migliore, il più sentito, vero e sincero, profondamente autentico. Martin Eden è mosso da una singolare energia, trasognante, oserei dire una purezza che tale è a maggior ragione se si pensa al cumulo di menzogna al quale spesso il Cinema, anche in relazione ai progetti più notevoli, è costretto. Semplicemente perché, alla fine, a vincere è sempre la vita, è dovunque troviamo lei troviamo noi stessi, la verità, il mondo.

Non è un caso se Marcello decide di comprimere un secolo e sfocare l’ambientazione, perché la parabola di Martin, con gli ovvi distinguo e aggiustamenti, è appunto la storia di ciascuno di noi allorché viene chiamato a passare allo step successivo, per certi versi decisivo, quello d’inoltrarsi verso il senso di ciò che si fa e si deve fare. Nel caso del protagonista di questa storia è lo scrittore, non importa quali siano i presupposti, lo scarto enorme tra il desiderio e la realtà dei fatti, quasi sempre piatta come poche cose. E come spesso accade, serve che qualcuno, qualcosa dia una spinta, anche leggera, accenda la fantasia, ci convinca, in un modo o nell’altro, che quel sentiero esiste, non si sa dove porta ma s’ha da percorrere. È Elena. Lei, giovane Madonna raffaellesca, che attraverso gli occhi di Martin accede a quanto c’è di più intimo in lui.

Lo incoraggia, gli passa Baudelaire, che il nostro inizialmente non sa manco pronunciare – figurarsi, si destreggia a malapena con l’italiano. Ed allora Martin diventa avido, avido di conoscere, sapere; ma non è brama accademica, è fame. Fame di raggiunge uno scopo, non il sapere per il sapere, ma quel demone che lo porta a non vedere nient’altro: le offese, gli insulti, le minacce, gli scoraggiamenti, così come quell’altra fame, la meno nobile ma più pressante, non meno eludibile. Risuona l’evangelico «non di solo pane», che solo fino a un certo punto assume qui una connotazione profana; non riesco infatti ad immaginare un percorso più religioso di quello intrapreso da Martin.

Un percorso individuale di necessità, in divenire, che perciò deve costantemente tenere conto delle condizioni, pur non dimentico della meta. Marcello condensa tutto in un racconto immaginifico, denso di suggestioni, con quel ricorso ad immagini di repertorio tipo del regista casertano, il quale tiene sempre a stabilire quella linea rossa che lega tutto e tutti, persone di epoche e posti diversi; questi volti di sconosciuti, siano essi adulti o bambini, rappresentano degli note amabili, capaci d’infondere quel pizzico di poesia che una vicenda del genere deve per forza emanare.

Ecco perché la dimensione temporale assume un senso solo rispetto allo sviluppo dell’arco narrativo che riguarda Martin, questo sì lineare, mentre tutto il resto è contrassegnato da una libertà che non è indifferenza, faciloneria; si tratta di una misura che solo attraverso un film è possibile adottare, ché raccontarla, renderla in altro modo insomma, non sarebbe possibile. Bisogna in tale dare un’occhiata allo sfondo, mentre al contempo si tiene lo sguardo fermo su come si muove questo ragazzo alle prese coi suoi sogni, mentre la vita incalza, il mondo spinge, a volte in maniera violenta e minacciosa. In tutto questo Martin non si dimentica di amare, che amare è l’unica cosa che davvero può tenere accesa questa fiamma, messa a repentaglio dal minimo spiffero.

Marinelli si rivela il partner ideale per Marcello: l’attore romano fa suo quel fuoco, le passioni, le ansie di un napoletano che vive una Napoli che è ovunque, in un tempo sospeso nella memoria, e le traspone con un’umanità puntuale, toccante; perché in fondo Martin Eden potrebbe benissimo essere un racconto fatto a posteriori, dove la cosa più importante è restituire il senso di certe vicissitudini, non le date o le location. Senza ovviamente tacerne certi probabili risvolti, perché chi si ubriaca di passione, con tale intensità, deve anche fare i conti col risultato di certe aspirazioni. Così è per Martin, il cui veliero naviga col vento in poppa macinando miglia per tanto tempo; finché qualcosa non si rompe. Nessun incidente, nessun agente esterno ad interrompere la navigazione; si può colare a picco per molto meno, e quando succede l’inabissamento è ancora più rapido e rovinoso.

A cavallo tra fiaba e racconto formativo, Martin Eden un omaggio a chi si strugge per riuscire in qualcosa, atipico nel panorama di un cinema, quello italiano, che un Martin molto probabilmente lo terrebbe ai margini: troppo fiero, troppo indipendente, ma soprattutto con qualcosa da dire. Non tutte le risposte sono soddisfacenti, specie in prossimità della chiusa, è vero; compensa la qualità delle domande, queste sì in ogni caso corroboranti. A tutto ciò, Marcello integra una prosa che accattivante, calibrata rispetto agli intenti di un progetto ambizioso, più di quanto possa apparire in superficie. Un viaggio universale che spicca di per sé, laddove si rivelerebbe impietoso il confronto con altre nostre produzioni, talmente ripiegate su sé stesse, ricolme dell’ego di certi loro autori, che basta la generosità dietro film come Martin Eden a spazzarle via preventivamente.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”9″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”7.5″ layout=”left”]

Martin Eden (Italia/Francia, 2019) di Pietro Marcello. Con Luca Marinelli, Jessica Cressy, Vincenzo Nemolato, Marco Leonardi, Denise Sardisco, Carmen Pommella, Autilia Ranieri, Elisabetta Valgoi, Pietro Ragusa, Savino Paparella, Vincenza Modica, Carlo Cecchi, Giustiniano Alpi e Dario Iubatti. Concorso. Nelle nostre sale da mercoledì 4 settembre 2019.

Festival di Venezia