Home Forse un premio per disperata grazia di Marguerite, l’inconsapevole

Forse un premio per disperata grazia di Marguerite, l’inconsapevole

L’allucinazione di una ricca signora che si crede una grande cantante, come quando una mostra si crede una grande mostra

pubblicato 5 Settembre 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 13:02

Confesso, sono andato a vedere “Marguerite” di Xavier Giannoli, in concorso, senza saperne nulla. Seguo sempre più questo non criterio perchè, nel cinema, nulla è peggio delle aspettative artificiali. Inoltre, sto sempre attento, per non essere travolto dalla frustrazione da Mostra (Venezia Cannes, Toronto, Berlino, Canicattì…). In questo secondo caso, la frustrazione arriva anche presto in una rassegna quando i film snocciolano uno dopo l’altro, e nell’insieme, una reazione che può essere pericolosa. Poichè ce ne sono troppi raccomandati, inutili, velleitari il morale degli addetti ai lavori scende sotto i tacchi e viene calpestato, e ciò fa molto male.

Anni fa, ero così disperato dall’aver marciato nella foresta dei morti viventi, film disparati e senza senso, che ebbi la fortuna di risollevarmi al di sopra dei tacchi quando venne a consolar tutti noi “C’era una volta in America”, sorrisi e lacrime di felicità; fu così che decisi di scrivere il lbro “Sergio Leone- Quando il cinema era grande”.

Quest’anno, ancora in buone condizioni di morale, nonostante sbadigli e cilicio di voyuer deluso, mi sono seduto senza sapere nulla, fidando sempre nel dio cinema, in sala grande del Palazzo per assistere a “Marguerite” dello sconosciuto a me Giannoli; e ho scoperto che fotogramma facendo, in una strada di celluloide o nastro di 127 minuti, stavo avviandomi a un discreto ma sentito godimento, e forse a una metafora non solo della… condizione del cinema ma anche della… condizione del mondo.

Siamo ridotti così male, come spettatori e cittadini, che cerchiamo di apparire alla Madonna come già fece Carmelo Bene, che di questo evento scrisse un bel romanzo. Non so e non voglio dire se “Marguerite” sia un bel film, ma è almeno uovo di fine estate carico di garbata energia e di simpatia.

Ambientato il film negli anni Venti, Giannoli ci prende per orecchi e occhi d’antan conducendoci nel delirio sistematico di Marguerite che fa come si fa oggi: mette insieme una combriccola di danarosi e vanesi disperati; per loro e per ammiratori sistemati e pagati organizza un concerto in una bella villone per ricordare i caduti e gli eroi della prima guerra mondiale. Uno choc. La mostruosità della voce e della gigioneria di Marguerite, la chanteuse da folle capogiro, è tale; l’entusiasmo pagato è tale che il film diventa subito interessante, e commovente.

Intanto per i richiami storici, lo scatenarsi della pazza pace (si stanno preparando il fascismo e il nazismo) dopo la pazza, atroce guerra. I futuristi strillano contro tutti i poteri e poi si accasano nelle servitù dei regimi. I giovani in cerca di successo si aggrappano, come oggi fanno coloro che gridano capra capra ai malcapitati in tv, ai falsi e incompetenti mecenati anche politici per costruirsi una carriera. Gli altri, pochi, non sedotti dalle demagogie dominanti con contorno di lecca lecca, assistono sbalorditi però ignavi, timidi, spaventati, impotenti allo spettacolo sinistro o destro in cui affondano buon senso, cervello, onesta.

I soli che si salvano sono il marito di Marguerite, soccorso in denaro e titoli nobiliari dalla sposa, annichilito ma anche innamorato dalla tenacia della assurda diva; un maggiordomo impeccabile, nero d i carnagione, rotondo, devoto, che ricorda Eric Von Stroheim nel “Viale del tramonto”e la stessa Marguerite che ricorda Gloria Swanson nel glorioso film di Billy Wilder; e una corte di giovani arrampicatori sciocchi e tenerelli, un tenore maestro di canto corrotto ma irresistibile.

Non vado oltre. Mi sono divertito in compagnia nel salotto buono di Giannoli organizzato con stile, energia e velocità. Intelligenza. Sorrisi sulla punta delle labbra. Una farsa degli Venti che arriva giusta giusta negli anni 2000 e rotti , anni dalle molte farse che, da noi, a Venezia e a Roma, occupano tutti gli spazi possibili, lasciando la speranza che ereditiamo dai sorrisi, noi che non arrendiamo alla mediocrità che circonda, e che ci convince della necessità ogni giorno di più di voltarle le spalle, già contaminati come siamo.

“Marguerite” è come “Artists”, sempre francese, piaciuto e premiato. Virtuosismi con buone intenzioni. Un lampo nella notte, colma di strilli, cachinni, invettive, eccetera nella nostra cara Little Cine italy di oggi.

Festival di Venezia