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Fratelli unici: Recensione in Anteprima

Raoul Bova e Luca Argentero insieme per una commedia di Alessio Maria Federici. Una sceneggiatura oltremodo debole che non si avvicina nemmeno ai temi trattati; ‘alti’, a dispetto di un andamento che è per lo più un collage di sketch quasi mai riusciti

pubblicato 2 Ottobre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 21:44

Pietro (Raoul Bova) e Francesco (Luca Argentero) non coltivano un rapporto idilliaco (per adoperare un eufemismo), malgrado il fatto che siano fratelli. Anzi, la parentela non fa che acuire l’insofferenza reciproca. Pietro è un chirurgo affermato, mentre Francesco per tirare avanti fa lo stuntman. Due vite all’opposto, frutto di storie completamente diverse. Se non fosse per la casa lasciata in eredità dai genitori i due non si vedrebbero nemmeno. Finché Pietro non ha un brutto incidente.

È questo l’evento scatenante, ciò che rimette tutto in discussione. Pietro, rimasto miracolosamente illeso, perde però buona parte della memoria. Non tutta eh: oltre a non riconoscere più i suoi cari, tra cui una moglie da cui ha divorziato e la figlia, vi sono cose anche più pratiche, come l’uso del bidet o certe basilari convenzioni sociali. È come se fosse tornato bambino, riacquisendo quella freschezza e quella spontaneità che inducono costantemente a meraviglia. Discorso interessante, verrebbe da dire. Verrebbe.

Fratelli unici soffre di quel vizio endemico di certe produzioni prettamente italiane, ossia quello di perdersi a cavallo tra i generi non sapendo però che farsene delle premesse della storia che raccontano. Il meccanismo è tanto semplice quanto a suo modo trito, ossia quello di procedere per sketch dissimulati da progressione della trama. Ed immaginate a quante e quali situazioni espone un quadretto in cui un tizio che ha perso la memoria si ritrova costretto a vivere con il fratello che fino a poco tempo prima tendenzialmente odiava. La riabilitazione di Pietro diventa perciò foriera di siparietti in fondo anche simpatici, come il dito medio scambiato per un saluto o il già citato bidet scambiato per la ben più nota tazza.

Eppure quello di Federici è un discorso apparentemente superficiale su base seria, perché in Fratelli unici si fa leva su temi come perdono, senso di colpa, unità e chi più ne ha più ne metta; in altre parole, si parla di amore. L’idea però è che a mancare clamorosamente sia un’impronta purchessia in merito a come voler strutturare su schermo tale discorso. Va riconosciuto agli autori la ferma presa di posizione nel non voler caricare in alcun modo un contesto che, al contrario di quanto ci suggerisce il tenore, è pesante; ma al di là delle intenzioni il risultato è ibrido alquanto incerto. Se non addirittura, a tratti, imbarazzante.

Raoul Bova in versione infantile lascia davvero perplessi, il che ci fa sospettare di una precisa scelta di regia – inutile dirlo, totalmente fuori luogo. Non si pretende un trattato scientifico sulla condizione di chi perde, temporaneamente o meno, la memoria, ed il film si guarda bene anche solo dal pensare di imboccare una via vagamente analoga; tuttavia il senso di irrealtà che si trae da certe situazioni proposte ci impedisce in alcun modo di “entrare” nel film, scaraventandoci fuori dalla porta a ogni piè sospinto. Argentero è il classico marpione over-30 che si rifiuta di “crescere” per via di esperienze che l’hanno segnato, ma che all’improvviso si ritrova a dover fare i conti non solo con il proprio passato ma anche con il proprio futuro (leggasi: vero amore). Per lo più insipida la prova della Crescentini, il cui ruolo si muove sul sempre labile confine tra la stronza e la vittima. Forse alla fine la più credibile risulta colei sulla quale non si avrebbe scommesso, ovvero Miriam Leone, che a breve vedremo pure nella prossima commedia di Luca Miniero nonché ne La grande seduzione di Massimo Gaudioso.

Ma il punto non è stabilire chi abbia fatto meglio e chi peggio, dato che non è certo la sola recitazione a remare decisamente contro la riuscita di questo progetto. Su tutte, una sceneggiatura oltremodo raffazzonata, che svilisce le seppur accettabili premesse, oltre che una regia che sì cerca di metterci una pezza puntando talora sulla risata taltaltra sul calore di una scena tenera, ma che in fin dei conti non fa che confondere ulteriormente le acque. Lasciando perdere luoghi comuni e pregiudizi che in fondo sono motivi fondanti della nostra comunità in quanto italiani, tipo il napoletano attaccato a mammà, ché ci stanno; è nel complesso che Fratelli unici ne esce con le ossa rotte. Come già in parte ravvisato, manca un indirizzo che faccia da collante a quella serie di tappe che costituiscono una vicenda riguardo alla quale si resta sempre e solo in superficie.

Finendo così, anche questo film, in un limbo che lo pone quale esatto contraltare di certi drammi che con la medesima approssimazione di tanto in tanto compaiono sul palinsesto nostrano: in entrambi i casi manca il “come” forse perché non si è andato in fondo al “cosa”. Il che, con ogni probabilità, dice poco o niente… perciò mettiamola così: non bastasse ciò che abbiamo sino ad ora evidenziato, Fratelli unici integra dei passaggi che mettono addirittura a disagio, come quando la figlia di Pietro presenta un progetto scolastico al quale sta partecipando esattamente come se stesse recitando una réclame. E delle due l’una: o non ci si è accorti del tremendo risultato, oppure era proprio ciò a cui si aspirava. A ciascun spettatore l’onere di decidere cosa sia peggio.

Voto di Antonio: 3

Fratelli unici (Italia, 2014) di Alessio Maria Federici. Con Raoul Bova, Luca Argentero, Carolina Crescentini, Miriam Leone, Sergio Assisi, Eleonora Gaggero, Massimo De Lorenzo, Michela Andreozzi, Augusto Zucchi e Vanni Bramati. Nelle nostre sale da oggi, giovedì 2 ottobre.