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Paris-Manhattan: recensione in anteprima

Una commedia “ossessionata” da Woody Allen e dal suo cinema: è l’opera prima della francese Sophie Lellouche. Leggi la recensione di Cineblog.

pubblicato 11 Ottobre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 21:22

Alice è giovane, bella e svolge con passione il suo lavoro di farmacista. L’unico problema è che è ancora single. Preferendo rifugiarsi nella passione che nutre per Woody Allen, resiste come può alle pressioni dei suoi famigliari che cercano in ogni modo di accasarla. Ma il suo incontro con Victor potrebbe cambiare le carte in tavola…

Il cinema può essere ossessione, e quando questa ossessione diventa quasi “patologica” diventa un modo per filtrare e leggere la realtà. Questo è ciò che si trae dalla visione di Paris-Manhattan, opera prima di Sophie Lellouche, commedia romantica sotto il segno di Woody Allen. Un omaggio al suo cinema, ai suoi film, alla sua filosofia. Un atto d’amore che però lascia perplessi, anche nel modo in cui affronta la questione “cinema come ossessione”.

Paris-Manhattan si apre come un film del regista, con le note jazz di Cole Porter sui titoli di testa. Una dichiarazione d’intenti che si conferma anche nella falsariga che il film segue: che è un po’ quella di Provaci ancora, Sam. Il quale non sarà firmato da Woody Allen (diretto da Herbert Ross, è tratto da un’opera teatrale di Allen), ma è uno dei “suoi” film più amati. In quel film il protagonista è un fan di Humphrey Bogart che non riesce a trovare la donna della vita.


Alice (Alice Taglioni: bella e brava) non riesce a trovare un uomo. La sorella, tra l’altro, le ha rubato un ragazzo rimorchiato in discoteca, e che diverrà suo marito. Famiglia di tradizione ebrea alle spalle, folgorata a 15 anni dal primo film di Allen visto al cinema, farmacista impegnata, Alice nella sua stanza si confida parlando con un poster proprio di Allen. E il regista le risponde, così come Sam parlava con Bogart, che riusciva a vedere solo lui.

Se, ad un appuntamento, un uomo le dice che non ha mai visto un film dell’autore newyorkese, Alice lo scarta. Finalmente un giorno incontra Vincent, l’uomo ideale: bello, colto, appassionato del cinema di Woody Allen e della musica di Cole Porter. Peccato che di mezzo ci sia Victor, incontrato per caso una sera ad una festa. L’uomo, che lavora in una piccola azienda di antifurti, non è esattamente il suo tipo: però…

Paris-Manhattan insegue il cinema di Allen in ogni modo, citando pillole su Freud e dialoghi para-alleniani (“È molto ebreo essere atei”), in una corsa discutibile alla battuta tagliente ed “intellettuale”. Si citano Hannah e le sue sorelle, Misterioso omicidio a Manhattan, Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiedere: ma va da sé che il film non riesce ad avvicinarsi alla filmografia dell’autore, a causa anche di qualche scena di comicità discutibile (il rapitore e l’allarme antifurto al cloroformio…).

A non convincere però è, soprattutto, come si diceva prima, l’idea di fondo. A metà film verrebbe da dire ad Alice – che “cura” i suoi clienti prestando loro… dei dvd – che nel mondo c’è anche altro, e non solo Woody Allen: c’è altro cinema, ma soprattutto c’è la vita. Fortunatamente, ad un certo punto del suo percorso di crescita, la protagonista se ne accorge. Ma il finale, con “contentino” finale ad Alice, conferma la “filosofia” fragile e traballante dell’opera.

In mezzo a Paris-Manhattan ci sono poi tradimenti, ménage à trois con callgirl, sospetti in famiglia… Accade tanto, ma ci si annoia parecchio: il film dura 77 minuti, ma tedio e antipatia hanno il sopravvento. Finché non appare Woody Allen in persona a “svegliare” lo spettatore dal torpore. Ma anche in questo caso vien proprio da dire che, sì, in Paris-Manhattan Allen c’è, ma contemporaneamente “non c’è”.

Voto di Gabriele: 4

Paris-Manhattan (Francia, 2012, commedia) di Sophie Lellouche; con Alice Taglioni, Patrick Bruel, Marie-Christine Adam, Louis-Do de Lencquesaing, Jacques Ciron, Woody Allen – Qui il trailerUscita in sala l’8 novembre 2012.