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RoboCop: Recensione in Anteprima del reboot

Uno dei simboli degli anni ’80 torna al cinema in salsa reboot. Tocca José Padilha far rivivere, attualizzandolo, l’agente-robot di Detroit. Torna in sala RoboCop

pubblicato 5 Febbraio 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 04:29

Partiamo dalla fine. Quando lo schermo diventa nero e, un istante prima dei titoli di coda, parte I Fought the Law dei Clash. Lì capisci che, nonostante tutto, questo reboot un senso l’ha avuto anche se forse non era quello che alcuni (o molti) si aspettavano. Lo si ricorda il violento ed impietoso RoboCop di Verhoeven, quell’opera di denuncia, profondamente anni ’80 e quindi già per questo irriproducibile. Ebbene, qui siamo altrove, in un altro tempo e, nonostante Detroit, in un altro luogo. Onoriamone la memoria dunque, poi però mettiamolo da parte. Almeno per stavolta.

Sono essenzialmente due le anime di questa versione diretta da José Padilha. La prima è quella di uno sci-fi emotivo, dall’impatto visivo forte sebbene ecceda non nel tratteggiare il solito “caso umano”; la seconda è quella se vogliamo un po’ più cospirazionista, senza teorie astruse di sorta ma al tempo stesso incline alla denuncia. Se sommiamo entrambe le parti ne viene fuori un lavoro il cui collante sta nella posatezza. Anziché infarcire il tutto dei più disparati ingredienti, bisogna arrendersi all’evidenza di una misura che non viene pressoché mai lesa. Per esempio, guardate al trailer: sembrava o no l’ennesima operazione caciarona perciò irrispettosa e dalla faccia tosta? Complimenti a chi non l’ha pensata così, perché ha avuto ragione. A noi, che siamo stati colti da malizia, tocca ammettere che alla fine della fiera nessuno o quasi degli spettri della vigilia si sono manifestati.

Troviamo computer grafica? Altroché. Le primissime sequenze ci portano in questa Teheran invasa dai mech e dai robot della Omnicorp mentre setacciano le strade in cerca di soggetti ostili. Camera a mano come in un qualunque action urbano, Padilha mostra comunque di saperci fare anche in contesti più ricchi e complessi. E si comincia a ben sperare.

Poco sopra parlavamo di emotività. Ci rendiamo conto che è bene chiarire. Perché RoboCop 2014 non si spinge chissà dove nel tentativo di restituire un ritratto narrativamente pregno e articolato, niente di tutto ciò. Basta un’immagine, magari un breve sequenza, per darci il senso di una condizione, di una tragedia. Un non comune caso di CGI utilizzata a proposito, atta a generare non semplice stupore per la competenza artigianale bensì quel seppur debole movimento interno per cui si crea una sorta di empatia. Non ci giureremmo che chiunque sarà in grado di sperimentare quanto segue, ma dandosi alla sequenza in cui Alex viene “risvegliato” dal coma post-incidente chi di dovere è riuscito in qualche modo a trasmettere l’estremo, devastante disagio di chi non riesce a muoversi. Di chi addirittura non ha più nulla da muovere. È il cinema che in generale deve riuscire a trasmettere certe sensazioni, dando consistenza ad idee ed intuizioni; ma in special modo nella fantascienza si avverte questo bisogno di venire coinvolti in un mondo ed un contesto che peraltro non ci appartengono, vista tra l’altro la matrice distopica dell’opera.

Qualcuno avrà da obiettare su alcuni aspetti piuttosto palesi. Tanto per citarne qualcuno, qualche rimando ad un certo cinema che è quello di Nolan (si noti la scena in cui RoboCop si divincola nel traffico con la sua moto), che non si limitano a meri rimandi visivi ma anche di montaggio, come le sovrapposizioni di brevi scene collegate con un’unica traccia musicale in crescendo, giusto per rinforzare quel tono di epicità che comunque viene saggiamente tenuto a bada. E torniamo sempre lì, ossia nella scelta di moderarsi, di non eccedere né in un senso né nell’altro. Mantenendoci nell’ambito delle caratteristiche che potrebbero far storcere il naso, segnaliamo anche un mancato abuso della vena action. Ciò vale a dire che di scene d’azione se ne trovano, alcune pure di buona fattura, ma a parte lo scontro con i mech non c’è poi molto di così pompato, dichiaratamente votato ai muscoli di un film fortemente mainstream.

Per quanto attiene le ineludibili implicazione, sia politica sia filosofica, anche in questo caso il film si limita a gettare lì alcune questioni, guardandosi bene dall’approfondirle. Il che non è affatto un male, specie perché non ci sembra toccasse ad una produzione di questo tipo sviscerare tematiche che sono per lo più prerogativa di progetti come Ghost in the Shell, per esempio. Certo, non manca quella leggera deriva ruffiana, appena percettibile per l’intero film ma marcata all’inizio e alla fine. In apertura allorquando il conduttore del The Novak Element, Pat Novak (Samuel L. Jackson), afferma con convinto furore che gli americani hanno sempre avuto a cuore la sicurezza più di ogni altra cosa, così evocando indirettamente il famoso pronunciamento di Benjamin Franklin (Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza). Poi alla fine, quando attraverso il noto gioco della detrazione altrui appioppa ai media un indottrinamento ed una censura che è lui per primo a praticare. Nulla di elaborato, finché come già scritto non partono i Clash ed il tutto viene bilanciato.

In conclusione, questo RoboCop ci è parso tutto sommato un buon prodotto. Superiore alle aspettative che, inutile negarlo, non erano esattamente rosee. Tuttavia il lavoro di Padilha convince, conferendo al film un proprio peso specifico che consente allo stesso di presentarsi nelle sale come un buon lavoro d’intrattenimento, dai risvolti interessanti, il cui pregio fondamentale per alcuni potrebbe anche costituire il proprio difetto, ossia lo scrupoloso equilibrio che lo contraddistingue. Eppure, alla luce dei rischi, ci è parsa proprio questa la mossa più azzeccata. Poco male se la presenza di Gary Oldman, per nulla secondaria, tenda ad acuire un certo déjà vu; lo si può serenamente sopportare.

Voto di Antonio: 7
Voto di Federico: 6,5
Voto di Gabriele: 5

RoboCop (USA, 2013) di José Padilha. Con Joel Kinnaman, Gary Oldman, Michael Keaton, Abbie Cornish, Jackie Earle Haley, Michael K. Williams, Jennifer Ehle, Jay Baruchel, Samuel L. Jackson, Aimee Garcia, Miguel Ferrer, Melanie Scrofano, Marianne Jean-Baptiste, Zach Grenier, John Paul Ruttan, Douglas Urbanski e Marjan Neshat. Nelle nostre sale da domani, giovedì 6 febbraio.