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The Orphanage: recensione in esclusiva da Los Angeles

The Orphanage (El Orfanato) di Juan Antonio Bayona con Belén Rueda, Fernando Cayo, Roger Príncep, Mabel Rivera, Montserrat Carulla, Andrés Gertrúdix.

di mario
pubblicato 2 Gennaio 2008 aggiornato 2 Agosto 2020 22:42

Nella miriade di film più o meno attesi che stanno uscendo in queste settimane nelle sale americane, ce n’è uno che è passato abbastanza sotto silenzio sui giornali e nelle pubblicità (che qui spesso hanno l’effetto di un vero e proprio lavaggio del cervello), sebbene favorevolmente accolto da più di un critico, e nella selezione ufficiale di concorsi prestigiosi come Cannes, Toronto e New York. Sto parlando di The Orphanage.

Prodotto da un sempre più ispirato Guillermo del Toro, e diretto dal giovane regista spagnolo J.A. Bayona, The Orphanage è un horror, nell’accezione più estesa del termine, che gioca tutto sulla tensione che la regia riesce a creare nello spettatore, più che su quel che mostra (e sarebbe il caso di rispolverare la vecchia differenza mediologica tra orrore e paura).

The orphanage locandina 2 In questo ricorda The Others, non a caso anch’esso di un regista spagnolo. In effetti, più che Pan’s Labirinth (film a cui praticamente tutti l’hanno paragonato, forse per la presenza di del Toro dietro le quinte) questo film andrebbe attentamente ricollegato (se paragone è necessario) al piccolo gioiello di Amenabar. Una enorme casa isolata (una villa vittoriana per Amenabar, un vecchio orfanotrofio per Bayona), una madre ed un bambino (due in The Others, ma qui c’è anche il padre) ed il loro tormentato rapporto.

E strani eventi che accadono portando a galla un passato rimosso ed oscurato. Struttura simile. Ma laddove Amenabar si “accontentava” di portare avanti un gioco di suspance attraverso i suoni, Bayona va oltre, mettendo in piedi un plot che colpisce al cuore ancor prima che allo stomaco. Cito due commenti di critici americani: “Seriously scary” (Newsweek) e “The only horror film that brought me to tears” (rogerebert.com).

Un film che spaventa portando avanti un discorso serio, senza scivolare nella faciloneria (di scrittura e di regia) tipica di molti horror, ed un film che riesce nella rara magia di commuovere nello stesso tempo in cui spaventa (ed in effetti l’effetto commozione è l’unico legame che vedo col film di del Toro). Ma forse la frase più sensata riguardo questo film l’ho letta su LA Weeky, laddove il critico, nell’aprire il suo articolo, afferma più o meno così: “questo è uno di quei film che spaventa, se lo spettatore si trova in condizioni normali, ma terrorizza ed atterrisce, se si verifica una determina occorrenza”. Nel qual caso: se siete genitori, se avete bambini piccoli, questo film vi colpirà come una coltellata dritta in petto. E quindi forse non è il caso di andarlo a vedere: dipende dal vostro grado di masochismo.

Una donna si trasferisce col marito ed il figlio in un vecchio orfanotrofio, decisa a farne una casa per accogliere bambini malati o disagiati. Si da il caso infatti che lei stessa sia stata ospite proprio di quell’orfanotrofio da bambina: in effetti come incipit è quantomeno bizzarro (qualcuno direbbe deboluccio), ma a rifletterci bene il desiderio della donna è umanamente comprensibile. Solo che qualcosa non va per il verso giusto. Strani rumori e visite di persone che poi si scopre non esistere turbano la quiete della famiglia, ed il sogno inizia ad incrinarsi. Il bambino, già malato, soffre di solitudine, ed inizia ad inventarsi amici immaginari. Non tanto immaginari, tuttavia.

the orphanage locandina 3 La madre sta al gioco del figlio, finchè però un bel giorno questi sparisce nel nulla. Da lì inizia la tragedia di una madre corrosa dai sensi di colpa e dal desiderio illusorio di ritrovare suo figlio vivo. Una tragedia che la porterà a guardare ben oltre i limiti della propria famiglia, fino ad un doloroso viaggio nella memoria e nel passato, sull’orlo della follia. Fino a distaccarsi da tutto e tutti, ritenuta folle ed isolata(si). Non dico altro per non guastare la visione del film, che peraltro non so se e quando verrà portato in Italia.

Plaudo comunque ad un film che, pur non rinunciando ad alcuni clichè di genere (ed anzi giocando con essi), riesce ad essere emozionante ed alquanto originale (nonché spaventoso: un paio di scene sono da saltare sulla sedia e ricordare a se stessi “sciocco, è solo un film!”). Plaudo ancora alla scelta di distribuire il film in lingua originale sottotitolata (in America perlomeno), per non perdere un’oncia dell’intensa recitazione degli attori (su tutti la strepitosa Belen Rueda, che regge sulle sue spalle l’intero film, e dal cui sguardo nasce la compassione e l’immedesimazione dello spettatore). Le musiche intessono un tappeto sonoro molto evocativo che gioca costantemente con i movimenti di camera, pur non raggiungendo le vette d’intensità della colonna sonora di Il Labirinto del Fauno.

Un film che ritengo quindi da premiare, anche considerato il trend ultimo del cinema horror, che prevede a) un buon progetto asiatico a basso budget ma ricco di idee (anche se in fase di netto calo) b) un pressoché immediato remake made in USA che rovini l’idea originale ma piaccia tanto agli adolescenti (vedi in successione The Ring, The Grudge e adesso The Eye, che prevederà la presenza di Jessica Alba… ma come si può!). Ecco perchè benedico Guillermo del Toro e gente come lui (vedi Rob Zombie), che cercano di portare un tono più serio in un filone che un tempo aveva molto da dire/dare.

Voto Mario: 9
Voto Carla: 8
Voto Gabriele: 8