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Django Unchained di Quentin Tarantino: Recensione in Anteprima

Quentin Tarantino e la storia. Quella cinematografica, più volte ‘toccata’ con mano negli ultimi 20 anni, e quella ‘reale’, con la S maiuscola, che l’ha visto riscrivere la Seconda Guerra Mondiale prima, e la schiavitù ai tempi della Guerra Civile ora. Il risultato, in entrambi i casi, è stato sontuoso.

pubblicato 4 Gennaio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 19:02

Se con Bastardi Senza Gloria il regista aveva semplicemente esaltato, con Django Unchained il ‘vecchio’ Quentin si è ancora una volta confermato. Perché come ‘scrive’ lui, pennellando personaggi leggendari, in quel di Hollywood non ne ce ne sono più di tanti.

Stupidamente criticata a priori da Spike Lee, la ‘schiavitù’ rivista da Tarantino osa incrociare la strada dell’indimenticato spaghetti western, in questo caso allungato a tal punto dallo sfiorare le 3 ore. Che voleranno, tra un colpo di frusta, un’allisciata ai baffi e una pistolettata lampo, per poi concedersi agli applausi, rapiti ed ammirati, del pubblico in sala.


Un film in tre atti. Così potremmo descrivere Django Unchained di Quentin Tarantino. Il primo vede Jamie Foxx nei panni di uno schiavo. Passivo e succube del ruolo sociale imposto da decenni e decenni di schiavitù. Django è il suo nome, e ha osato sfidare il padrone sposando l’amata, anche lei schiava. Per questo i due sono stati puniti, venduti e divisi. Fino a quando sulla strada lastricata di dolore di Django non arriva un dentista tedesco, che si tramuterà presto nel suo traghettatore. Un mentore che lo formerà, plasmandolo a sua immagine e somiglianza. Da schiavo, Django si trasforma in cacciatore. La missione? Ritrovare sua moglie. Ed è qui che va in scena il secondo atto, con il passaggio di testimone attoriale che passa dalle mani di un fantastico Christoph Waltz, a quelle isteriche, ricche, sporche, annoiate e masochiste di un inedito e straordinario Leonardo DiCaprio. Il set, è evidente, si fa affollato, perché il ‘duello’ è sempre più ricco, intrigante e coinvolgente. Ma non è finita qui, perché l’evoluzione di Django tocca il cielo con un dito quando entra in gioco la sete di vendetta. La voglia di ribellione, anticipando di fatto la Guerra Civile americana, con un terzo personaggio che va ad incrociare la strada del protagonista, trasformatosi a sua volta in ‘negriero’ pur giugnere a destinazione, ovvero un appesantito, invecchiato e razzista Samuel L. Jackson. Amalgamati i tre atti, conditi dall’immancabile originalità di Tarantino e dai suoi inarrivabili dialoghi, ne è uscito Django Unchained.

Diciamocela tutta. Fino ad un paio di mesi fa si guardava con timore all’ultima fatica di colui che esplose 20 anni fa con Le Iene. Un po’ per la morte di Sally Menke, storica film editor di Tarantino, e un po’ per l’infinita fase di post produzione, che ha visto Quentin montare praticamente fino a meno di un mese fa. Nel corso delle riprese vari attori si sono poi ‘allontanati’ dal set, finendo così per alimentare dubbi e perplessità. Sbagliando. Perché Django Unchained è un grande film. Uno di quei film che lasciano il segno, tanto dall’essere ricordati negli anni. Ed è impossibile proseguire con un’analisi precisa nei suoi confronti, senza partire da quella che a detta del sottoscritto è un’assoluta verità.

Detto no ai produttori che sognavano una divisione in due capitoli come avvenuto con Kill Bill, pregustando il doppio degli incassi, Quentin ha realizzato il ‘suo’ film western da quasi 3 ore, senza limiti di nessun tipo, tanto da beccarsi una R ((vietato ai minori di 17 anni non accompagnati), all’uscita in sala negli States. Problemi di poco conto, visto il boom al box office e di critica. Perché partendo dall’idea di uno spaghetti western ‘omaggio’ del Django di Sergio Corbucci del 1966, Tarantino ha provato a riscrivere una nerissima pagina di storia americana. Quella della schiavitù. Qui esplicitata e quasi esaltata, per sottolinearne la brutalità e l’assurdità, per non dire la ridicola follia.


Saltando continuamente tra i generi, con Django Unchained si ride, di gusto, con intelligenza e furbizia, tanto da osare l’inosabile. Ovvero ‘smontare’ il mito del Ku Klux Klan, nato proprio tra il 1865 e il 1900. Con una singola scena, talmente assurda da suscitare i crampi dal ridere, Tarantino distrugge ciò che è stato e che è tutt’ora il razzismo, la stupidità di quei bianchi che per decenni si sono visti e ancora oggi si credono superiori ai neri, e la gratuita violenza di un movimento, e di un periodo storico, che lasciò sul campo centinaia di morti. Innocenti eppure derisi, sfruttati, umiliati, maltrattati ed uccisi, solo e soltanto per il proprio colore della pelle.

A questa pagina di storia, da riscrivere attraverso la maturazione di un uomo nato libero, diventato schiavo e pronto a tutto pur di tornare libero al fianco dell’amata, Tarantino disegna i lineamenti di una fiaba tedesca, quella di Sigfrido e Brunilde, accecati dalla passione e costretti ad uccidere draghi e a sorvolare mari infuocati, pur di ritrovarsi. Ed è qui che Django Unchained cambia ancora una volta direzione, prendendo quella romantica e sentimentale dell’amore.

Tanti ingredienti, forse troppi, eppure talmente digeribili da non stancare mai, grazie a quella penna e a quella capacità di scrittura che rendono ancora oggi Tarantino da ‘WWF’. Perché Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson, Christoph Waltz e Jamie Foxx non possono far altro che ringraziare il proprio regista per ciò che ha donato loro, ovvero quattro ‘soggetti’ tanto diversi quanto unici e dalle diverse maschere, ovviamente rese interagibili da colui che le ha inventate.

Dinanzi ad un Foxx in ‘evoluzione’, assistiamo ad una continua meraviglia di sceneggiatura nello snocciolare i personaggi solo apparentemente secondari del film. Le mille facce di Christoph Waltz esaltano, per quanto trascinate da dialoghi brillanti ed ironici, così come colpisce il sorriso ingiallito di un DiCaprio mai così subdolo e terrificante, mentre l’immancabile L. Jackson accetta di ‘sfidare’ la propria storia cinematografica, andando a vestire i panni di un bastardo schiavo senza scrupoli, razzista, privilegiato e invecchiato. Proprio lui, ‘lanciato’ dall’odiato e polemico Spike Lee.

Dopo aver largamente ma splendidamente gigioneggiato per un’ora buona, con una prima parte quasi più commediante che western, Tarantino finisce per ingranare la marcia con il passare dei minuti, fino alla mattanza conclusiva, anticipata da una straordinaria lotta tra mandingo, cruda, violenta, sanguinosa, tecnicamente magistrale e spaventosa come non mai, e ai più finali che si sommano senza mai stancare, tanto da chiederne ancora, ancora e ancora, se ce ne fosse la reale possibilità.

Stilisticamente ancora uan volta ‘pop’, tanto nel montaggio quanto nella scelta (‘furba’) di alcune trovate sicuramente originali quanto facilmente indirizzate ad un pubblico più giovane, Tarantino si affida alla solita ed inconfondibile colonna sonora da applausi, qui impreziosita dal meraviglioso inedito firmato dalla coppia Ennio Morricone / Elisa. Fred Raskin, chiamato a non far rimpiangere la compianta e mai dimenticata Sally Menke, svolge egregiamente il tutt’altro che semplice compito, così come ineccepibili risultano le scenografie di J. Michael Riva, i costumi di Sharen Davis e la fotografia di Robert Richardson, spesso illuminata dal semplice, caldo e affascinante bagliore di una candela. Con 100 milioni di dollari a disposizione, Tarantino spazia, sfruttando al meglio persino l’ultimo dei centesimi a disposizione, dando così vita ad un’attenta e credibile ricostruzione storica dell’intera opera. Intervallando flashback ad oniriche visioni di puro romanticismo, il regista confeziona così la sua storia d’amore in salsa western ai tempi della schiavitù, con tanto di auto-comparsata finale, da affiancare al delizioso cameo di Franco Nero, ironico nell’omaggiare il proprio Django (con la D muta, come lui ben sa) di quasi 50 anni fa.

Far meglio di quel capolavoro che è stato ed è tutt’ora Bastardi senza Gloria era difficile, se non impossibile. Eppure Tarantino è stato ancora una volta in grado di sorprendere, trattando temi delicati, politicamente scorretti e neanche lontanamente paragonabili, con coraggio, originalità, sfrontatezza ed arguzia, regalando al cinema contemporaneo un’altra perla. L’ennesima, di una carriera sempre più inattaccabile.

Voto di Federico: 8,5
Voto di Simona: 8,5
Voto di Gabriele: 7

Django Unchained (Western, 2012, Usa) di Quentin Tarantino; con Jamie Foxx, James Remar, Kerry Washington, Don Johnson, James Russo, Rza, M.C. Gainey, Tom Savini, Dennis Christopher, Tom Wopat, Rex Linn, Laura Cayouette, Sharon Pierre-Louis, Lewis Smith, Cooper Huckabee, Misty Upham, Nichole Galicia, David Steen, Todd Allen, Catherine Lambert, Shannon Hazlett, Johnny Otto, LaTeace Towns-Cuellar, Justin Hall, Danièle Watts, Miriam F. Glover, Jake Garber, Christopher Berry, Johnny McPhail, Mustafa Harris, Michael McGinty, Kinetic, Michael Bacall, Franco Nero, Jonah Hill, Walton Goggins, Quentin Tarantino, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson, Christoph Waltz – uscita giovedì 17 gennaio 2013qui il trailer italiano