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Michael Haneke: frammenti e storie

Esce domani Funny Games U.S., remake del film più conosciuto di Haneke, diretto dallo stesso Haneke. Un’occasione per parlare di uno dei registi più amati, odiati e discussi del panorama contemporaneo: tra frammenti, storie e violenza. Mi chiedessero quale film preferisco di Michael Haneke, mi verrebbe da dire a caldo uno fra 71 frammenti di

10 Luglio 2008 20:40

Esce domani Funny Games U.S., remake del film più conosciuto di Haneke, diretto dallo stesso Haneke. Un’occasione per parlare di uno dei registi più amati, odiati e discussi del panorama contemporaneo: tra frammenti, storie e violenza.
Michael Haneke

Mi chiedessero quale film preferisco di Michael Haneke, mi verrebbe da dire a caldo uno fra 71 frammenti di una cronologia del caso e Funny Games. Il primo perché ci vedo molta della poetica e molte tematiche che Haneke sfrutterà in seguito; il secondo perché è tra le pellicole più disturbanti che abbia mai visto.

Ma a freddo sarebbe difficile scegliere un preferito, vista la complessità e l’interesse generale della filmografia del regista, fra i più discussi ultimamente per l’auto-remake Funny Games, in uscita domani nelle nostre sale dopo una gran campagna pubblicitaria ad opera della Lucky Red.

Tra l’altro, è chiaro che il primo Funny Games è il perfetto film spartiacque tra i due periodi della carriera di Haneke, divisa tra il periodo austriaco, in cui troviamo la cosiddetta trilogia del congelamento emotivo dell’Austria e proprio Funny Games, e i film francesi che lo hanno definitivamente consacrato.



Sin da Il settimo continente (un vero peccato sia rimasto inedito in Italia: Fuori Orario dovrebbe farci un pensierino, perché si tratta di un film estremamente interessante, oltre ad essere il vero esordio del regista) sono chiari alcuni interessi di Haneke: le azioni ripetute di una borghesia le cui incomunicabilità e alienazione hanno raggiunto punti talmente alti da indurre all’autodistruzione -in senso letterale: la famiglia protagonista si barrica in casa e tutti verranno trovati morti-, gli schermi televisivi, e uno stile freddo, asciutto, che predilige long take e piani-sequenza.

Il settimo continente - Haneke Piani-sequenza che in Benny’s Video troveranno un apice nell’omicidio da parte del ragazzino protagonista (l’ottimo Arno Frisch) dell’amica, tra l’altro visto dallo spettatore non a caso attraverso uno schermo. Inizia qui chiaramente anche la riflessione di Haneke sulla materia filmica, sulla sua verosimiglianza, sulla sua manipolazione: Benny’s Video inizia con l’inquadratura di un maiale ammazzato, quindi scopriamo con l’utilizzo del rewind che si tratta di un video.

Benny's Video - Haneke Stesso stratagemma all’inizio di Niente da nascondere: sui titoli di testa la camera è fissa sulla facciata della casa della famiglia protagonista; lo spettatore quindi scopre che si tratta di un video, una delle tante vhs anonime che i protagonisti riceveranno (come nel lynchano Strade Perdute). Ma anche in Storie lo spettatore si trova spesso spiazzato, vedere per credere il momento in cui ci viene mostrato il lavoro dell’attrice Anne, che all’inizio diamo per reale per poi scoprire che si tratta di finzione.

71 frammenti di una cronologia del caso - Haneke Che dire poi del rewind metacinematografico, finto, crudele, sadico e sbalorditivo di Funny Games, col quale si fa tornare il cattivo in vita, perché il Male non muore mai? La scena è il punto più alto di una riflessione che viaggia per tutta la carriera del regista, in cui l’orrore più grande è la banalità della quotidianità: come il massacro di 71 frammenti, come l’incomunicabilità tra persone e tra classi in Storie (destinate a sparire ne Il tempo dei lupi, dove la sopravvivenza è del più forte). Tra l’altro questi sembrano due film speculari, entrambi corali, entrambi montati con secchi stacchi in nero, e con una sequenza quasi in comune (le persone in 71 frammenti s’incrociano nella tragedia finale, in Storie s’incrociano nella prima lunghissima sequenza e poi si dividono).

Storie - Haneke Si continua poi con la protagonista fredda e algida de La pianista, borghese maestrina che in realtà nasconde perversioni sessuali da frustrata perversa, già sistemata sulla via di non ritorno con le sue ossessioni sadomasochiste, la sua incapacità di capirsi e capire, la sua freddezza di fronte alla morte (la donna non ha reazioni alla notizia della morte del padre): “Io non ho sentimenti, e neanche per un giorno prevarranno sulla mia intelligenza”.

La pianista - Haneke Sullo sfondo di molti film di Haneke c’è la Storia, che sia la guerra serbo-croata, la guerra balcanica, o semplicemente la differenza tra borghesi e immigrati (in 71 frammenti e Storie due personaggi sono rumeni, in Niente da nascondere il presunto mittente delle vhs è algerino). E per la violenza, come la catastrofe innominata de Il tempo dei lupi, non c’è spiegazione sociologica, bensì uno sfondo sociale trattato con freddezza e con cui lo spettatore non può non fare i (suoi) conti.

Il tempo dei lupi - Haneke Il cinema di Haneke vive di coerenza nelle tematiche, di richiami e rimandi nello stile e nelle vicende, un film sembra collegato direttamente ad un altro, a volte direttamente e a volte non troppo, ma c’è sempre più di un filo che lega tutti i film del regista austro-tedesco. Al solito, un breve post non regala di certo una visione completa e sintetica della sua filmografia, e da qui nasce anche il titolo (di certo apposta citazionista).

Niente da nascondere - Haneke Mi resta forse da dire ciò che personalmente, sempre a caldo, mi ricordo subito pensando ai film di Haneke: il lunghissimo piano-sequenza dopo la morte del bambino in Funny Games, almeno quattro attori strepitosi che hanno lavorato due volte a testa col regista (Juliette Binoche, Isabelle Huppert, e la coppia Arno FrischUlrich Mühe), il tutt’altro che sopravvalutato Benoît Magimel che picchia e violenta “la pianista”, la scena nel metro dello sputo in Storie, l’inizio “alla Funny Games” e il finale “mitologico” de Il tempo dei lupi, il suicidio dell’algerino in Niente da nascondere, ma anche la violenza fuori campo in tutte le pellicole, soprattutto nella trilogia, che entra sottopelle e non se ne va più.

Funny Games U.S. - Haneke