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Il grande e potente Oz: Recensione in Anteprima

Se fosse facile non ci servirebbe un mago.

pubblicato 5 Marzo 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 17:00

Partiamo da qui, da questa affermazione esternata per bocca della strega buona. Sì perché se fosse stato facile tirare fuori un prequel de Il mago di Oz – quello del ’39, con Judy Garland – probabilmente la Disney non avrebbe dovuto scomodare uno come Sam Raimi. In più c’è un’ultima incarnazione di uno dei romanzi di Baum, ossia Nel fantastico mondo di Oz, che grida ancora vendetta al cospetto di tutta quella parte di critica che non ne ha voluto riconoscere la grandezza: più fedele, più cupo, più originale; una volta tanto il titolo italiano ci azzecca meglio di quello inglese. Il film uscito nell’85, diretto da Walter Murch, riuscì comunque a ritagliarsi un suo nobile spazio, grazie anche all’home video, che rese giustizia ad una pellicola accolta quantomeno freddamente in sala.

Con Il grande e potente Oz siamo su un registro a sua volta differente. Strada facendo, lungo questa nostra disamina, ci toccherà menzionare per lo meno Alice in Wonderland, altro prodotto targato Joe Roth e Disney; se non addirittura arrivare a scomodare il più recente Biancaneve e il cacciatore, che ha visto Roth nuovamente nei panni di produttore. Senza astrusi collegamenti concettuali, ci serviremo di questi timidi paralleli essenzialmente per dar fugacemente corpo ad un discorso relativo all’intensità, all’atmosfera di quest’ultimo film diretto da Raimi. Perché quando si ha a che fare con trasposizioni di storie fantastiche, che siano romanzi, fiabe o semplici racconti, il mood rappresenta in ogni caso la componente principe.

Siamo ai primi del ‘900. Già da queste prime battute ci vengono forniti alcuni indizi in merito a dove andrà a parare il discorso di Raimi, che ancora una volta, servendosi di una storia qualsiasi, appronta un discorso sul cinema; qui in maniera a conti fatti spudorata. I primi venti minuti sono infatti proiettati in 4/3 e in bianco e nero, quasi a voler immediatamente conficcare dei paletti di cui ci accorgeremo solo una volta che verranno estratti. Siamo in una di quelle fiere dove accadeva di tutto e dove era possibile vedere di tutto: saltimbanchi, nani, fenomeni da baraccone e quant’altro. Ma soprattutto impostori, epiteto che calza a pennello al nostro protagonista, tale Oscar Diggs.

Un gradevole cialtrone, per il quale è pressoché impossibile non simpatizzare. Uno le cui ambizioni superano apparentemente di gran lunga le sue capacità, alle quali in fondo non crede lui per primo. Altra chiave di lettura: Il grande e potente Oz eredita quella magia tipica di un certo cinema americano, che in sé stesso trovava le ragioni per poter credere nell’impossibile, o meglio, nell’irrealizzabile. Quel cinema al quale non si aveva il coraggio di chiedere nulla ma che, in fondo, diede tutto.

Dopo una fuga semi-rocambolesca, il nostro protagonista sale al volo su una mongolfiera che lo condurrà in quel fantastico mondo che prende il suo stesso nome, ossia Oz. Tecnicamente notevole questa prima parte, con un 3D la cui asticella viene leggermente alzata rispetto alle tante, pretestuose implementazioni degli ultimi anni, dove certi passaggi risultano limitatamente palpabili, come il senso di vertigine allorquando la macchina da presa segue in una sorta di soggettiva il precipitarsi della mongolfiera a folle velocità. In questi frangenti Raimi gioca molto con la tecnologia, fornendoci anche nelle fasi successive qualche buon esempio di utilizzo; salvo poi scemare a partire più o meno da metà film. In ogni caso sarebbe opportuno darsi all’IMAX per farsi un’idea seria a riguardo.

Detto ciò, comunque, Il grande e potente Oz ci mette poco a rivelare pregi e difetti. Da un lato abbiamo una storia scontata, priva di attrattiva per chi dalla narrazione s’aspettasse un alto grado di coinvolgimento. Quello che, volendo, è l’unico colpo di scena vagamente “riuscito”, avviene a metà film e da lì in avanti capovolge tutto; eppure l’impressione resta quella di un passaggio gestito in maniera volutamente approssimativa, senza troppo curarsene. Da qui la gestione della controparte antagonista, che definiamo genericamente in questo modo per non svelare nulla. Trattasi comunque di personaggi privi di mordente, di cui addirittura uno risulta talmente stereotipato ed esasperato da suscitare qualche risata di disappunto. Perché un cattivo, limitatamente al contesto in cui opera, ha fortemente bisogno di essere credibile; di fare paura, di suscitare qualcosa come e più di tutti gli altri. E tale aspetto ne Il grande e potente Oz risulta ahinoi totalmente disatteso.

In compenso, ecco un’ottima notizia: i comprimari sono meravigliosi. Due in particolare, ossia la scimmietta alata Finley e la bambolina di porcellana. Emotivamente il film raggiunge il proprio apice proprio durante la fase in cui i tre vanno poco a poco incontrandosi, dandosi poi insieme all’avventura. Perché in fondo, quando si parla di Oz, non esiste Dorothy senza un uomo di latta, un leone codardo, una testa di Zucca o una gallina. In tal senso Il grande e potente Oz rende onore ai suoi predecessori, sfoggiando pure un’efficace ed appropriata citazione della saga, inerente allo spaventapasseri.

A questo punto vi chiederete perché lanciare titoli come Alice in Wonderland all’inizio, senza poi tornarci. Invece no, perché proprio su un breve parallelo con il film di Tim Burton intendiamo in qualche modo avviarci verso la conclusione di questa nostra trattazione. Lo facciamo servendoci di un comune denominatore, che è il colore. L’idea che ci facemmo all’epoca fu che molti, anche inconsciamente, non riuscirono a far propria la scelta cromatica approntata da Burton. Ma per uno come lui certe tonalità erano prevedibili e forse pure inevitabili. Ai colori smorti e desaturati di Alice, Raimi oppone invece una paletta cromatica ricchissima. Sono davvero parecchie le immagini dense e pregne di elementi variopinti, specie in campi lunghi o lunghissimi, che a nostro parere rendono che è una meraviglia. Un lavoro di totale computer grafica non per tutti i palati, ma che riesce ad essere stravagante senza troppi eccessi.

Tornando al mood, i toni sono accondiscendenti, tutto sommato in linea col diretto sequel, ossia il musical di Fleming. Nulla a che vedere (per restare in ambito Roth/produttore) con il tentativo, in Alice in Wonderland, di dare una sorta di continuità al racconto originale mediante una maggiore fedeltà all’opera di Carroll, né con lo stravolgimento operato in sede di sceneggiatura con Biancaneve e il Cacciatore. Con Il grande e potente Oz, Raimi cerca tutt’al più di stabilire un filo conduttore con Il mago di Oz del 1939, servendosi molto furbescamente di questo ponte per mettere in scena il discorso di cui in apertura.

Perché il suo film si risolve proprio sulla contrapposizione tra il concetto di illusione e quello di magia. «Non posso realizzare i tuoi desideri», dirà Oz, ma può fare di meglio. Mettendo in moto un meccanismo autoreferenziale di citazione del mezzo, il regista parla non tanto del cinema ma del suo stesso ruolo. Una sequenza, nello specifico, ci illustra chiaramente tale dinamica: Oz che guarda all’interno di un mirino e dà disposizioni proprio come un regista cinematografico sul set; rispettando i tempi, nutrendosi delle emozioni della platea dal vivo – come a teatro. Passa da qui la riuscita «del suo più grande numero», attraverso la commissione di una macchina che ancora lui non conosceva ma che intendeva come una non meglio precisata evoluzione del prassinoscopio; lo stesso che vediamo all’inizio, poggiato sul tavolo della sua roulotte.

Celebrazione, dunque, del cinema e del/dei suo/suoi autore/i. Come a dire che solo da quel mondo fantastico, dove i leoni sono dei fifoni; le zucche e gli spaventapasseri articolano pensieri seppur non muniti di cervello; le scimmie volano; gli androidi piangono; le galline parlano; le bambole di porcellana sono fragili ma non si rompono; i divani-alce volano; tutti questi cantano; solo e soltanto da un modo come questo poteva venir fuori uno strumento come la macchina da presa. In fondo cos’è un regista se non un amabile lestofante che ci illude con le stesse storie da cui cerca disperatamente di fuggire? Grande e potente se buono, ossia disponibile, non perché capace di realizzare desideri: per questi ci vogliono altri imbonitori, quelli che hanno sbagliato mestiere e che, anziché la macchina da presa, tengono per lo più davanti un microfono.

Voto di Antonio: 6,5

Commento di Federico

L’incubo Alice in Wonderland 2 fortunatamente scongiurato; un’architettura visiva estremamente notevole, colorata, fantasiosa ed affascinante; un 3D sensato e pensato per ammaliare gli spettatori più piccoli; una fiaba da noi tutti conosciuta e qui platealmente ‘ricordata’, con una serie di rimandi deliziosi all’Oz cinematografico originale; e un chiaro, esplicito e gradevole omaggio alla settima arte e alla sua nascita, ormai lontana più di 100 anni. 4 anni dopo il balbettante film di Tim Burton, Sam Raimi ha avuto la forza di rimettere in carreggiata una sceneggiatura decisamente povera, banalotta e condita da personaggi secondari scritti malamente (le streghe su tutte), grazie alla propria sapienza registica, qui a tratti persino incredibilmente ‘cupa’. Senza esaltarsi più di tanto, ma limitandosi al piacere di una fiaba fantasy pensata per far breccia su tutti (purtroppo), Il grande e potente Oz finisce così per farsi vedere quasi con stupore, soprattutto per chi, come il sottoscritto, aveva pochissime aspettative nei suoi confronti.
Voto di Federico: 6,5

Il grande e potente Oz (Oz: The Great and Powerful, USA, 2013) di Sam Raimi. Con James Franco, Mila Kunis, Rachel Weisz, Michelle Williams, Zach Braff, Joey King, Tony Cox, Tim Holmes, Toni Wynne, Dennis Kleinsmith, Ron Causey, Steve Forbes, Wayne Brinston, Phillip Huber, Martin Klebba, Ted Raimi, Bill Cobbs e Abigail Spencer. Qui trovate il trailer italiano. Nelle nostre sale da giovedì 7 Marzo.