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Il Grande Gatsby: recensione in anteprima del film di Baz Luhrmann

Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann apre oggi ufficialmente le danze del Festival di Cannes 2013. Proiettato questa mattina alla stampa, e accolto in modo gelido, il film vede Leonardo DiCaprio nei panni del misterioso Gatsby, che vive nella sua enorme casa dove ama fare feste. Il regista, giocando con lo stile, la musica e il 3D, dimostra il valore senza tempo della tragedia: un film godibile dove non tutto funziona. Deludente Carey Mulligan. Leggi la recensione in anteprima.

pubblicato 15 Maggio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 14:46

“Il Grande Gatsby è superficialmente un gran bel film senza nulla in comune con lo spirito del romanzo di F. Scott Fitzgerland”. Scriveva così Roger Ebert nel 1974 riguardo il film diretto da Jack Clayton e scritto da Francis Ford Coppola, interpretato da Robert Redford, Mia Farrow, Daisy Buchanan e Bruce Dern. La storia si ripete oggi con la versione targata Baz Luhrmann, per l’esattezza la quarta trasposizione per il grande schermo del romanzo.

Il Grande Gatsby di Luhrmann era destinato sin da subito a dividere critica e pubblico, fosse solo per l’importanza della materia d’origine. Ma aggiungeteci anche uno stile che esuberante è dir poco e allora l’equazione è risolta. Ed effettivamente, dopo aver visto il film, non si ha più alcun dubbio: l’ultimo film del regista dividerà tutti senza se e senza ma, forse ancora di più di quanto non avesse fatto il precedente Australia, accolto soprattutto con indifferenza generale.

Disastro o operazione riuscita e a suo modo coraggiosa? Come al solito, in questi casi, forse la verità sta nel mezzo: anche se l’operazione può lasciare qualche dubbio. Il confine tra scelte consapevoli e vanità è sottilissimo quando si parla del cinema di Luhrmann: un cinema lussurioso che punta all’emozione in maniera diretta, con un mix di immagini, colori, suoni e musiche che rimandano al mondo dei videoclip.

In questo caso i detrattori hanno pane per i loro denti: che c’entra uno stile saturo come quello del regista con F. Scott Fitzgerland? Tra l’altro un’operazione simile, ricca e densa di stile “luhrmanniano” che rimodernizzava un classico della letteratura, era già stata affrontata di recente da Joe Wright nel suo riuscito Anna Karenina. Paradossalmente, Luhrmann arriva fuori tempo massimo col suo Gatsby da questo punto di vista: ma comunque un suo senso l’operazione ce l’ha eccome.


L’aspirante scrittore Nick Carraway ha lasciato il Midwest americano per arrivare a New York. Si ritrova vicino di casa di un uomo misterioso a cui piace organizzare feste senza che nessuno l’abbia praticamente mai visto: Jay Gatsby. Nel frattempo ritrova anche sua cugina, Daisy, sposata con il nobile e ricco Tom Buchanan. I due vivono proprio sulla sponda opposta alla sua della baia. Finché Nick non incontra di persona Gatsby ad una delle sue feste, e scopre man mano la sua storia…

Il film inizia con il logo della Warner Bros. in bianco e nero e con musica da film d’epoca: una patina vintage che lascia pian piano spazio all’emergere del 3D, sfruttato qui in profondità e poi con una serie di travelling aerei (pure troppi, ad un certo punto). Luhrmann decide che Nick, colui che è narratore del romanzo, nel film deve scrivere: è talmente disgustato da quello che ha visto che non riesce neanche a raccontarlo a parole.

Con le sue parole veniamo catapultati nella New York del 1922, dove le feste e il jazz fanno da contorno ad una Wall Street che sta andando a gonfie vele. La città è ben divisa tra una zona di ricchi e la Manhattan dei grandi grattacieli: in mezzo si trova una specie di “Bronx” in cui vivono reietti della società e poveri lavoratori. Ma nella “zona ricca” si sta bene, parecchio bene: anche se alla fin fine anche i ricconi si servono della “zona povera” per divertirsi un po’. Magari in segreto, come fa Tom Buchanan con l’amante Myrtle…

Ritroviamo ne Il Grande Gatsby la comicità tipica dei siparietti a cui Luhrmann ci ha sempre abituato. Comicità che lascia poi spazio alla tragedia, che in questo caso viene portata sul grande schermo con tutta la “modernità” possibile dei mezzi, compresi il 3D (a tratti notevole, più spesso molto inutile) e la musica contemporanea. A livello epidermico lo stile regala qualche buon brivido e restituisce un po’ della chemical madness dell’epoca, pur non avendo affatto la forza travolgente ed innovativa di Moulin Rouge. Nella soundtrack grande spazio viene dedicato a Young and Beautiful di Lana Del Rey, che si fa quasi leitmotiv – con tanto di varianti jazz e al pianoforte – della tormentata storia d’amore tra Gatsby e Daisy.


Luhrmann dimostra in questo modo non solo l’universalità della tragedia, ma anche il suo essere senza tempo e quindi perfetta per la crisi economica (e di valori?) di oggi: nel film manca pochissimo alla Grande Depressione del 1929, e intanto Nick non vuole più mettere piede in una New York egoista e senza umanità. “Non puoi ripetere il passato”, dice Nick a Gatsby: “Certo che puoi”, gli risponde lui. Non intendeva certo che però è più facile ripetere il dolore che altro…

Se il senso del film a suo modo ha una coerenza, lo stile strabordante purtroppo fagocita non solo le intenzioni, ma il risultato stesso. Non solo Il Grande Gatsby non raggiunge la commozione e la potenza di Romeo + Giulietta e Moulin Rouge, ma come Australia risulta addirittura un po’ faticoso, soprattutto nella seconda parte. Ingranando subito la quarta, l’opera sembra ad un certo punto perdere carburante e spegnersi man mano che il tempo passa: una specie di montagna russa con alti e bassi che dura un po’ più del dovuto e che fa troppi giri.

Resta l’ennesima prova convincente di un DiCaprio completamente calato nella parte che gli viene assegnata, anche se non sarà probabilmente questo il ruolo che gli darà l’Oscar (previsioni a caldo: solo nomination tecniche). Deludono invece Tobey Maguire, francamente un po’ impacciato in questa versione che sembra voler ricalcare l’Ewan McGregor di Moulin Rouge, e soprattutto Carey Mulligan, mai così monoespressiva e fuori parte. Sono loro a rovinare in parte la grande festa.

Voto di Gabriele: 6

Commento di Federico

Come verrà ricordato tra 20 anni l’attesissimo Il grande Gatsby firmato Baz Luhrmann?
Semplice. Non verrà ricordato.
4 anni dopo l’imperfetto Australia, il regista australiano è purtroppo andato incontro ad un altro passo falso. Chi scrive ama il cinema di Luhrmann, ho venerato i suoi primi 3 titoli e aspettato come il Messia questo Great Gatsby, ma Baz ha fatto cilecca. Ancora una volta.
Perché tolti l’immancabile Leonardo DiCaprio, la ricca colonna sonora, gli sgargianti costumi e le straordinarie feste che nessuno ad Hollywood sa mettere in scena come Luhrmann, rimane il nulla.
Il grande Gatsby è semplicemente inutile, vuoto, caotico, e mal raccontato. E’ un circo di colori, costumi e scenografie in cui l’attenzione dello spettatore viene ‘colpita’ per solo 30 minuti. Ovvero quei minuti in cui DiCaprio entra in scena, dopo una buona mezz’ora dal montaggio insensato. Dal sorriso di presentazione tra i fuochi d’artificio alla conclusione del primo sublime e trascinante party. Il resto è noia. Stancante, sfiancante, quasi insostenibile noia. L’ultima ora è da flebo di caffeina. Si parla, si parla, si parla, si parla, si parla, si parla, si parla, si parla. Di niente.
Salvato Leonardo, sicuramente bravo ma senza impressionare (non sarà questo il film che gli concederà l’agognato e meritato Oscar) deragliano malamente due divi come Tobey Maguire e Carey Mulligan. Lui perennemente imbambolato. Lei semplicemente insopportabile.
Con quasi 20 canzoni a disposizione, incredibile ma vero, Luhrmann ne sfrutta ‘realmente’ solo una.
Young and Beautiful di Lana Del Rey. Magnifica e da Premio Oscar, ma qui spalmata in tutte le salse. Tralasciando il goffo ripetersi narrativo, con un Maguire voce ‘off’ in stile Ewan McGregor, e le orribili lettere fluttuanti che accompagnano l’incedere del racconto, a Il Grande Gatsby vanno riconosciuti i più sinceri complimenti solo e soltanto per lo straordinario lancio Warner, riuscita nell’impresa di pompare con straordinaria efficacia un film tendenzialmente brutto (geniale l’intuizione moda, proiezione stampa meneghina presa d’assalto da giornalisti e personaggi del settore), ed accompagnato da un inutile 3D. Bocciato dalla critica, accolto con freddezza glaciale a Cannes ma promosso in sala (60 milioni di dollari incassati in 5 giorni negli States), Il Grande Gatsby non segnerà la fine della filmografia luhrmanniana, visti i risultati al box office, ma la strada di mediocrità intrapresa da Baz, 12 anni dopo quel capolavoro che è stato ed è tutt’ora Moulin Rouge!, inizia a diventare preoccupante.
Voto di Federico: 5

Commento di Antonio

C’è parecchio da chiedersi riguardo al perché Il grande Gatsby non riesca ad oltrepassare una certa soglia, per quanto si sforzi di farcela. Ma chi si domandasse ironicamente il senso di un’operazione di questo tipo, solo e soltanto a visione consumata peraltro, commetterebbe per lo più un evitabile errore. Troppo facile così. Il film di Luhrmann, semplicemente, è ciò che doveva essere: estroso, colorato, ipertroficamente pompato, denso all’inverosimile di un stile ben preciso, raffinato, a tratti anche kitsch se proprio vogliamo.

Non ci si può perciò svegliare durante la proiezione e restare di sasso davanti a tutti quei colori, a quell’alone di anacronismo che secerne la pellicola oltre che, naturalmente, l’audace colonna sonora. A chi avesse preteso un lavoro meno straripante, più sobrio magari (!), va risposto che, prima ancora che impossibile, ciò era impensabile: il regista avrebbe semplicemente tradito la propria visione, su cui in fondo vale in ogni caso la pena gettare un occhio. No, Il grande Gatsby secondo Baz Luhrmann va bene così com’è; resta semmai da discutere se ciò sia abbastanza. Ed in tutta sincerità, per quanto ci riguarda, non siamo convinti che lo sia. Schiacciata sotto il peso dell’ostentata ma comprensibile ambizione del cineasta australiano, la storia fa in più occasioni a cazzotti con delle immagini o troppo gonfie o troppo sgonfie; tanto che ad un certo punto sembra si debba prendere atto di una sorta di stallo.

Certo, ancora una volta abbiamo il solito, brillante Di Caprio, prodottosi in un’ulteriore performance-calamita, ben coadiuvato da un cast in generale piuttosto in sintonia col tenore dell’opera; tuttavia quel leggero senso di vuoto rimane, senza che si riesca a colmarlo. Ed allora s’innesca quell’antipatico meccanismo per cui si fatica a trattenere scomodi quesiti del tipo: «siamo sicuri che non poteva essere meglio di così?». Dilemmi che, manco a dirlo, resteranno irrisolti, perché la creatura oramai è stata partorita e cammina con le proprie gambe: non di cartapesta, ma su cui comunque non saremmo pronti a scommettere più di tanto.

Voto di Antonio: 6,5

Il Grande Gatsby (The Great Gatsby, USA / Australia 2013, drammatico 141′) di Baz Luhrmann; con Leonardo DiCaprio, Carey Mulligan, Tobey Maguire, Isla Fisher, Joel Edgerton, Elizabeth Debicki, Adelaide Clemens, Jason Clarke, Gemma Ward, Callan McAuliffe, Amitabh Bachchan, Daniel Newman. Qui il trailer italiano. Uscita in sala il 16 maggio 2013.

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