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La Grande Bellezza: recensione in anteprima del film di Paolo Sorrentino

La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino ce lo meritiamo: nel bene e nel male. Nel male perché include tutti i “nuovi mostri” del nostro quotidiano; nel bene perché l’Italia se lo merita un film così ambizioso. Che parla soprattutto di fantasmi. Dividerà senz’altro, ma è il ritorno in gran forma del regista. Applaudito al Festival di Cannes 2013, dov’è in concorso: leggi la recensione.

pubblicato 20 Maggio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 14:42

Jep Gambardella è un giornalista di 65 anni che vive a Roma dall’età di 26 anni. Conosce tutto e tutti, ed ogni sera va a dormire quando la gente comune si sveglia, dopo aver frequentato tutte le feste possibili. Di mestiere fa il giornalista, ma anni prima aveva scritto un libro di successo, “L’apparato umano”: da quel romanzo ha un blocco dello scrittore che non se n’è mai andato. Oggi, tra cultura alta e mondanità, ricorda i suoi anni passati nella Roma contemporanea…

Aperto da una citazione di Viaggio al termine della notte di Céline, La Grande Bellezza è l’Italia vista da Paolo Sorrentino: ed è un viaggio lunghissimo, che dura più di 140 minuti – forse non tutti necessari, ma questo ce lo dirà una seconda visione -, incentrato su un personaggio intorno al quale ruotano diversi “satelliti” e che a sua volta è immerso nel cuore di Roma, cuore pulsante dell’opera.

Il viaggio inizia con uno sparo del cannone del Gianicolo: la macchina da presa inizia a volare nel cielo e ad inquadrare statue, persone immobili con in mano quotidiani che urlano a caratteri cubitali l’ultima news su Totti, orde di turisti cinesi che, fotografando il bellissimo panorama della capitale, possono anche morire, ed un coro di ragazze che canta il brano I Lie.

Improvvisamente, un urlo: parte la festa. Ci spostiamo su una terrazza Martini, dove si sta tenendo la festa del 65° compleanno di Jep, interpretato da un Toni Servillo impressionante e che trascina il film. Ci sono nani e ballerine, certo: ma anche suonatori messicani col sombrero, cubiste e uomini arrapati, giovani ed anziani. Tutti ballano prima A far l’amore di Raffaella Carrà nella versione disco contemporanea, poi si danno alla pazza gioia muovendo il fondoschiena sulle note di La colita. Tutto è girato a ritmo di videoclip, ma soprattutto come se Lynch facesse un remake di un film di Fellini.

Dall’altra parte, al di là di un vetro, una donna tatuata si spoglia. Sono i nuovi mostri, parenti ancora più verosimili di quelli delle scene in discoteca di Reality di Garrone (e prima o poi ci faranno un double bill con La Grande Bellezza). “Auguri Jep!”, urla Lorena (Serena Grandi), ex soubrette del piccolo schermo, ma anche “Auguri Roma!”. Perché, in fondo, Jep e Roma sono una cosa sola. Jep è il re della città, lo è da anni: conosce tutti ed è presente ovunque, ad ogni evento, ad ogni festa, ad ogni funerale, ““l’appuntamento mondano per eccellenza”. Jep è l’essenza di Roma: cinica, decadente e disillusa.

Sin da bambino, quando qualcuno gli chiede cos’è la cosa che più gli piace, risponde “L’odore delle case dei vecchi”. Era già predisposto alla sensibilità, Jep, che oggi a 65 anni non ha più tempo da perdere con cose che non vuole fare. “Non volevo solo diventare mondano: volevo essere il re dei mondani. Non volevo partecipare alle feste: volevo avere il potere di farle fallire”. Avere il potere significa poter far tutto quel che si vuole, essere la città stessa: ma come si fa a vivere avendo smarrito da anni “la grande bellezza”?


Paolo Sorrentino fa il film perfetto per l’Italia contemporanea. Tra decine di anni sarà letto come un documento imprescindibile per sapere come eravamo. Molte cose le sappiamo perché le viviamo tutti i giorni (dal trash tv à la matrimonio in diretta della Marini al botulino, passando per la sciacallaggine sulla tragedia del Giglio), ma finalmente qualcuno le butta dentro tutte assieme in un’opera cinematografica e ci ragiona sopra. La Grande Bellezza è un film che ci meritiamo, nel bene e nel male.

Non solo perché ci fa bene rivedere i trenini alle feste (“belli perché non portano da nessuna parte”), i preti che danno consigli su tutto (la cucina!) tranne che sulla spiritualità, o persone il cui scrittore preferito è Proust ex aequo con Ammaniti. Cose che conosciamo troppo bene, sì. Ma ci fa anche bene per la galleria di personaggi che dipinge, in quanto La Grande Bellezza è innanzitutto un film di fantasmi. Fantasmi di ieri e di oggi: l’apparizione di Fanny Ardant, le Principesse dei palazzi, le suore e i bambini.

È anche un film di persone che entrano ed escono, anche loro quasi dei fantasmi: si raccontano un po’, sono tutte disilluse, spariscono o muoiono. C’è Isabella Ferrari, che vive a Milano e trova insopportabili i romani. “Che lavoro fai?”, le domanda Jep: “Io sono ricca”, “Bel lavoro”. C’è Andrea (Luca Marinelli), che è pazzo e fa impazzire a sua volta la madre, che finge dicendo a tutti che il ragazzo sta migliorando. C’è Ramona (Sabrina Ferilli), spogliarellista che lavora nel locale del padre e che spende tutti i soldi per un motivo che tiene nascosto.

C’è anche Romano (Carlo Verdone: il nome del personaggio è perfetto per lui), che ci mette un po’ di tempo a capire che col teatro è assai mediocre, e alla fine forse lo capisce, ma dà la colpa esclusivamente alla città. Come se ci fossero davvero dei fantasmi che si possono impossessare del proprio destino. Jep è certamente un fantasma, che scruta e ogni tanto dà giudizi: come quando demolisce una signora del Partito che si definisce “donna con le palle” e poi frequenta salotti-bene. Roma stessa è un fantasma, in cui ritornano gli spiriti del cinema di Fellini – più Roma che La dolce vita, però – aggiornati ai giorni nostri: come se l’Italia fosse in fondo sempre quella, solo più imbruttita e peggiorata.

“Roma ti fa perdere un sacco di tempo”: sì, in questo caso con il nulla. Gestire bene il nulla è un lavoro a sé. La Grande Bellezza è davvero un film sul nulla, il che è già impresa titanica di per sé. Figurarsi se a farlo è un regista con lo stile strabordante che ha Sorrentino. E infatti la macchina da presa si dà a voli pindarici da mal di testa, c’è tanta musica musica musica, ci sono addirittura echi da The Tree of Life di Malick e giraffe che scompaiono grazie a prestigiatori apparsi dal nulla. Ma lo stile (ri)trova il suo senso dopo il passo falso di This Must Be The Place.

In mezzo troviamo frammenti di passato forse felice o solo immaginato, una seconda madre da cui trovare sicurezza (Dadina, la direttrice nana per cui lavora Jep, amica che “lo fa tornare bambino ogni tanto”, come dovrebbero fare i buoni amici), un miracolo finale, ed un amore fugace che ha dato un senso alla vita: Elisa. Forse è lei la grande bellezza, quella che ha spinto Jep a scrivere. Oggi Jep cerca un’altra grande bellezza, perché ha ritrovato la voglia di scrivere un secondo libro e di ritornare a vivere. Con la consapevolezza che però, forse, è solo tutto un trucco.

Voto di Gabriele: 9

Commento di Antonio Maria Abate

Spavaldo, altezzoso, smodato. Queste sono alcune delle coordinate di un progetto ambizioso, ergo pericoloso. Un film che, proprio in virtù di tali premesse, lo si accoglie di buon grado. Perché pur rappresentando una sola faccia delle tante, troppe medaglie, si avverte la necessità di un cinema nostrano che torni a tratteggiare non più il volto ma lo spirito di un Paese come il nostro, quello vero. E se in certe sue parti la pellicola di Sorrentino “suona” incompleta, dall’altra si spera che, proprio a tal guisa, questa sia solo la prima di una stagione che vedrà anche altri coraggiosi cineasti cimentarsi nei ludi pittorici svisceranti la «povera Italia».

D’altronde Paolo Sorrentino rientra fra i pochissimi (se non l’unico) in grado di poter aprire le danze, e lo fa letteralmente. Il suo componimento si atteggia ad opera lirica già in apertura, con quell’accattivante Overture rotta solo da un Primo Atto che sembra non finire mai, protraendosi sino alla fine. Conclusione che tarda ad arrivare, sforando di una ventina di minuti forse, quando oramai quel che c’era da acquisire era stato ampiamente acquisito.

Ma cosa è stato detto? Si allude sarcasticamente ad un festival di macchiette che, come rileva Gabriele, «vanno e vengono» senza posa, agiti da una forza esterna che li scuote a proprio piacimento, scagliandoli da una parte all’altra del palcoscenico con una violenza disarmante, come nelle migliori tragedie. E più passa il tempo, meno sono i punti di contatto con quel cinema che tanto ci piace citare; quello condensatosi nel ventennio ’50-’70, anno più anno meno. In prossimità di un galoppante Neorealismo, i maestri dell’epoca si dicevano più interessati a quel popolino anonimo, le cui miserie furono ascoltate ed in qualche modo lenite da narratori che, senza per forza rinunciare al proprio ego, avevano palesemente a cuore certe istanze.

Ne La grande bellezza questo sfuggente «sconosciuto quotidiano», quest’uomo della folla che tanto accendeva la curiosità di Poe, latita, concedendosi qualche rara e stilizzata apparizione sotto forma di anziano che sorseggia un amaro al bar, di bavoso frequentatore di strip club o di malandrino che incrocia con tono minacciosamente irritante lo sguardo altrui. Potremmo sprecarci in citazioni, ma il tempo dei Pasolini o dei Bolognini se n’è andato, nel bene e nel male (trasformazione su cui mi sono in parte soffermato in un altro articolo). Resta l’odio malcelato per una borghesia che, così descritta, appare francamente intollerabile; rigurgito velatamente ideologico di una corrente che non ha smesso di credere che certi ambienti siano tutt’al più un sintomo, neanche lontanamente la causa. Ma a compensare tali limiti strutturali, ci pensa l’estro di un regista maturo, che sa cosa vuole e come ottenerlo.

Nel contesto a tratti manicheo ricostruito da Sorrentino, più sciolto nelle sentenze che nei quesiti che pone, si scorge comunque la sana voglia di raccontare un sottobosco di loschi ed inquietanti figuri, la cui stilizzazione non è mai abbastanza facile. E se qualcosa cede, il film lo fa perché i suoi contenuti sono effettivamente strabordanti, dovendosi costantemente barcamenare tra opposti inconciliabili. Come la critica alla presunta cultura, o spacciata per tale, che passa essenzialmente attraverso la fragorosa testata di una «vibrante» femmina (il cui comunismo si è fermato alla chatte) e citazioni colte, tra un Proust e un Céline – personaggi, questi, che con i loro scritti hanno in fondo contribuito a propiziare l’abisso che stiamo vivendo.

All’estero La grande bellezza piace e piacerà perché è così che a loro piace vederci (aspettate che arrivi in America: basta tornare all’esperimento alleniano, apparentemente ingenuo, di To Rome with Love), mentre qui si tenderà a prenderne le distanze, ancora una volta dimentichi, tra le altre cose, di quella massima terapeutica che invita il paziente anzitutto a riconoscere il proprio male: da qui il percorso di guarigione è già a metà strada. In patria sfuggirà o addirittura urterà la provocazione di questa pellicola, il cui reale spessore si potrà constatare solo e soltanto a posteriori; quando, si spera, avremo accettato il pedante ma non meno fascinoso invito di Sorrentino e ci saremo anche noi rimboccati le maniche nel tentativo di capire se e come sia possibile risollevarsi da cotanto squallore.

Voto di Antonio: 7,5

Opinione di Federico aka Dr.Apocalypse

Una Roma ipnotica, magica, surreale, condita da scorci incredibili e luci praticamente uniche. Una Roma che uccide con la sola propria bellezza. Una Roma che fagocita e conquista, promette ed illude. Una Roma felliniana evolutasi in peggio, tra freak contemporanei e quel vuoto culturale che annebbia l’Italia intera.
Una Roma raccontata con unica maestria dal più grande regista vivente nostrano, ovvero quel Paolo Sorrentino che con La Grande Bellezza ha dato vita ad un titolo che visto tra 30 anni continuerà a dipingere l’Italia di oggi, di questi anni 2000. Un’Italia culturalmente piegata su se’ stessa, vuota, volgare, gonfiata dal botox e da inutili parole che riecheggiano nelle bocche ridondanti dell’alta borghesia capitolina. Annoiata e portata a ‘trascinarsi’, tra party e trenini, che ovviamente non conducono da nessuna parte.
Virtuosistico e stilisticamente strabiliante, lirico ed avvolgente, La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino è la Dolce Vita di oggi.
Esplicito e voluto l’omaggio a Federico Fellini, che intreccia 8 e 1/2, condito dall’immancabile colonna sonora spiazzante, da uno stile registico più unico che raro, visionario, a tratti persino lynchiano, ambiguo, sacro, profano, proustiano e mistico. Sicuramente troppo lungo, La Grande Bellezza dimostra l’assoluta vitalità del cinema italiano, che non potrà e non dovrà uscire a mani vuote dal Festival di Cannes, perché questo Sorrentino non ha nulla da invidiare a nessuno. Trainati da un mastodontico Toni Servillo, passeggiamo quasi sbigottiti nella Roma di oggi, disarmante per quanto ‘brutta’ nei suoi rappresentanti eppure sublime, perché di una bellezza millenaria e tranciante. Il volto quasi tumefatto di una straordinaria Sabrina Ferilli, mai vista in un ruolo tanto importante, esteticamente volgare ma finalmente ‘umana’, e soprattutto mai così brava; il corpo ormai andato di una sorprendente Serena Grandi, coraggiosissima nel rimettersi in gioco attraverso una parte così complicata che potremmo definire a specchio; l’immagine malinconica di un Verdone ‘tradito’ dalla bellezza di Roma, da sempre santa e soprattutto puttana, tra cardinali incapaci di comunicare e suore di clausura che ammiccano con pudore ad aitanti indigeni.
Ne La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino c’è il cinema di un tempo, quello che ancora oggi guardiamo con ammirazione e nostalgia, ma soprattutto la realtà dei nostri giorni, che fa rima con disfacimento culturale, sociale, religioso e politico. Qui perfettamente amalgamato all’interno di un’opera criptica, a tratti quasi incomprensibile, tra Giraffe comparse dal nulla e fenicotteri in volo sul Colosseo, ma di un coraggio e di una bellezza conturbante. Tanto da toglierti il fiato e obbligarti a pensarci. Ancora. Anche 24 ore dopo la sua proiezione. Come sta accadendo al sottoscritto.
Semplicemente grazie.
Grazie Paolo Sorrentino.

Voti di Federico: 8,5

La grande bellezza (Italia / Francia 2013, drammatico 150′) di Paolo Sorrentino; con Toni Servillo, Sabrina Ferilli, Carlo Verdone, Isabella Ferrari, Luca Marinelli, Giorgio Pasotti, Carlo Buccirosso, Leo Mantovani, Giorgia Ferrero, Iaia Forte, Ivan Franek, Pamela Villoresi, Galatea Ranzi, Roberto Herlitzka, Serena Grandi. Qui il trailer italiano. Uscita in sala il 21 maggio 2013.

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