C’era una volta a New York – The Immigrant: recensione in anteprima del film di James Gray
James Gray svela finalmente il suo attesissimo The Immigrant, con Marion Cotillard nei panni di un’immigrata polacca che entra negli States durante gli anni 20. Un’opera stilisticamente raffinatissima, che conferma il regista come uno tra i pochi neo-classici rimasti in America. Ma rispetto al passato manca un po’ l’emozione. In concorso al Festival di Cannes 2013: leggi la recensione.
Gennaio 1921. In cerca di un nuovo inizio e del Sogno Americano, Ewa Cybulski e sua sorella Magda arrivano ad Ellis Island. I dottori scoprono che Magda è malata, e le due donne vengono separate. Magda viene messa in quarantena, mentre la domanda di Ewa viene rigettata. Ma un signore di nome Bruno Weiss decide di prendere la donna con sé. L’uomo la porta a lavorare nel suo locale di spettacoli. Poi, per pagare le spese mediche della sorella e portarla via, la donna deve anche prostituirsi. Finché non incontra Orlando, un mago che forse può aiutarla a fuggire.
La prima inquadratura è quella della Statua della Libertà, se mai qualcuno non avesse capito che ci troviamo di fronte ad un film che racconta una storia di immigrazione. Il titolo stesso ormai, dopo i precedenti e scartati Low Life e The Nightingale, non lascia alcun dubbio. L’inquadratura successiva non ci fa infine perdere tempo: siamo già dentro ad Ellis Island, dove gli immigrati già esausti da giorni e giorni di viaggio via mare vengono sottoposti ai controlli medici e burocratici per entrare negli Stati Uniti.
Magda è un’infermiera di origini polacche che è partita per l’America assieme alla sorella per vivere con gli zii che stanno a Brooklyn. Ma il suo inserimento dentro il tessuto urbano di New York viene frenato dalla situazione della sorella e dall’incontro con Bruno: un vero e proprio “doppio shock” che si va ad aggiungere al suo già doloroso passato, segnato dalla guerra e dall’uccisione dei suoi genitori da parte dei soldati.
Dovendo pagare le spese mediche di Magda, e dovendo raccoglierne altri per poter pagare la sua “cauzione”, Ewa si ritrova improvvisamente buttata in pasto al mondo del Lower East Side, nel quartiere ebreo dove vive Bruno e dove si trova il locale che l’uomo gestisce con Rosie. Nel teatro ci sono spettacoli di ogni tipo, dalle illusioni ai balli in stile burlesque. Ad Ewa, guarda un po’, tocca vestirsi da Statua della Libertà. Non finisce qui, perché poco tempo dopo sarà anche costretta a prostituirsi pur di guadagnare la somma necessaria per liberare la sorella.
Sembra che, facendo quasi il prequel dei suoi film con personaggi discendenti di immigrati, Gray pensi all’oggi e ci parli di crisi. Rosie lo dice anche esplicitamente ad un certo punto che “i tempi stanno cambiando”, e il loro locale sta subendo la concorrenza del cinema (!). The Immigrant è il primo film in costume di Gray e potrebbe essere addirittura il suo film più politico in questo senso, ma mi pare che al regista interessi al solito raccontare una storia nel modo classico al quale ci ha abituati, scavando innanzitutto nelle fragilità umane.
“Ho una netta sensazione su di lei. Sento che è speciale”, dice Bruno di Ewa. Ma la donna invece non gliene manda a dire: “I soldi mi piacciono. Non mi piaci tu. E odio me stessa”. Quando sembrava che Bruno dovesse essere la causa di tutti i dispiaceri della donna, ecco che invece l’uomo inizia ad affezzionarsi a lei. Entra però in collisione con Orlando, il mago che la donna ha incontrato ad Ellis Island e che già lo conosce da tempo. Aveva lavorato per lui in precendenza, ma a causa dei suoi vizi (gioco e alcol) era stato mandato via in malo modo.
Gray è come sempre prima di tutto interessato alle relazioni umane e, come in Two Lovers, affronta un triangolo in cui però, oltre all’amore e le sue conseguenze, c’è in gioco molto altro: in primis la sopravvivenza. The Immigrant è il ritratto di una figura femminile descritta in tutte le sue fragilità e in tutta la sua forza: basta vedere una delle scene più belle del film (girata in pianosequenza con un primo piano à la Dreyer), ovvero quella in cui la donna va a farsi confessare (“Uso il mio corpo per fare soldi. Lascio che lo usino. Probabilmente andrò all’inferno”) e si libera da tutti i suoi dubbi e peccati.
Però la pellicola si concentra anche molto sulle insicurezze e le fragilità degli uomini, soprattutto grazie al personaggio di Bruno, che è forse tra i tre personaggi protagonisti quello che ha l’evoluzione e l’approfondimento più interessanti. Certo, il solito grande Joaquin Phoenix aiuta ad elevare il proprio ruolo, e dall’altra parte abbiamo una Marion Cotillard sempre in forma. Jeremy Renner purtroppo ha il personaggio più debole ed irrisolto dell’opera.
Queste relazioni, questi sentimenti e le psicologie dei personaggi sono tenute sempre sotto controllo da James Gray, tra gli ultimi registi a cui interessa ancora affermare un ruolo fondamentale del classicismo nel cinema. Ma rispetto al film precedente, in The Immigrant si ha la sensazione che Gray tenga fin troppo per le briglie il mèlo, e l’emozione viene decisamente meno. Non perché il regista sembri meno ispirato, anzi. All’attivo ha poi una ricostruzione impeccabile della Manhattan anni 20, una straordinaria fotografia (di Darius Khondji) che regala quintali di atmosfera, ed un paio di ispirate tracce musicali.
Sarà che, proprio con l’entrata in scena del triangolo tra i personaggi, Gray sembra voler dire anche qualcosa sulla religione e sul perdono. The Immigrant si può anche leggere così: come un’anima in pena che ha vissuto l’inferno, è finita in un purgatorio ed è in attesa del paradiso. Nella seconda parte, The Immigrant inizia a mostrare la corda e non funziona più come dovrebbe, nonostante un bel confronto finale tra Bruno ed Ewa ed una notevole inquadratura “pittorica” finale. Ed è un peccato, perché sembra essere davvero il suo lavoro più personale.
Voto di Gabriele: 6
The Immigrant (Usa 2013, drammatico 120′) di James Gray; con Marion Cotillard, Jeremy Renner, Joaquin Phoenix, Dylan Hartigan. Prossimamente in sala grazie a Bim Distribuzione.