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Copia Conforme – di Abbas Kiarostami: la recensione

Copia conforme (Roonevesht barabar asl ast, Italia / Iran / Francia, 2009) di Abbas Kiarostami; con Juliette Binoche, William Shimmel, François Cluzet, Sami Frey.James Miller è uno scrittore inglese giunto in Toscana per presentare il suo nuovo libro sull’arte. Un giorno, dopo la conferenza di presentazione del libro, conosce una gallerista di origine francese che

pubblicato 6 Giugno 2010 aggiornato 2 Agosto 2020 00:06

Copia conforme (Roonevesht barabar asl ast, Italia / Iran / Francia, 2009) di Abbas Kiarostami; con Juliette Binoche, William Shimmel, François Cluzet, Sami Frey.

James Miller è uno scrittore inglese giunto in Toscana per presentare il suo nuovo libro sull’arte. Un giorno, dopo la conferenza di presentazione del libro, conosce una gallerista di origine francese che vive in Italia da un po’ di anni. I due passano la giornata assieme. La donna, per scherzare, lo spaccia per suo marito e lui sta al gioco. Ma presto subentra il dramma…

Mi sembra che per affrontare un film come Copia conforme sia davvero impossibile non aver visto almeno qualcosa di Abbas Kiarostami. Certo, è un discorso che, per un occhio che vuole essere critico, vale per ogni opera, per ogni regista, ma Copia conforme è proprio uno dei quei casi in cui il giudizio può essere davvero falsato senza avere una minima conoscenza dello stile e delle tematiche del regista.

C’è chi infatti, sentendo parlare continuamente i due protagonisti del film e vedendoli girovagare assieme in lungo e in largo, ha pensato subito alla Nouvelle Vague, a Rohmer: certo, i dialoghi del film sono “francesissimi”, si parla continuamente e i botta e risposta spesso tradiscono la falsità della sceneggiatura. Ma sarà mica una novità in un film di Kiarostami se i personaggi parlano molto?

Come dire: Dieci è passato invano. Va bene che quello era forse il punto d’inizio della fase più sperimentale del regista, che in teoria si chiude proprio con Copia conforme, ritorno di Kiarostami ad un cinema più esplicitamente narrativo: ma anche altre pellicole precedenti non lasciavano sempre muti i personaggi… Però il mondo va così: se un iraniano fa un film fitto di dialoghi ci si sorprende e si citano subito i modelli più famosi del cinema francese.

Copia conforme è invece – al di là della sua riuscita o meno – perfettamente in linea con la filmografia del maestro. Si pensi a Close-Up, dove un uomo riesce a spacciarsi per Makhmalbaf e viene portato in tribunale; nel film del 1990 (uno dei suoi capolavori, tra l’altro), Kiarostami ha ricostruito l’intera vicenda reale utilizzando come attori i protagonisti stessi: ne è uscito fuori un meraviglioso costocircuito in cui è palese e dichiarata la voglia dell’autore di ragionare sul mezzo filmico, sempre in bilico tra verità e menzogna, tra documentario e fiction.

Close-Up è quindi, riaggiornando oggi un’ipotetica definizione, la copia conforme di un fatto d’attualità davvero accaduto. E Kiarostami non ha mai smesso effettivamente di ragionare sul cinema come copia del reale, arrivando nel suo Il sapore della ciliegia (1997, altro lavoro in cui i dialoghi non mancano) a svelare nell’ultima sequenza la troupe al lavoro e autodenunciando la finzione di quel che si è visto fino a quel momento.

In Copia conforme la storia tra William Shimmel e Juliette Binoche è un gioco di coppia dai continui ribaltamenti, in cui s’inizia pensando che i due non si conoscano e, man mano che il tempo passa, si finisce a pensare che i due siano stati sposati per quindici anni, e che il loro viaggio attraverso Lucignano sia forse un ritorno nei luoghi dove hanno festeggiato il matrimonio. Kiarostami non svela mai la verità del legame tra i due, bensì sembra voler ragionare sulle reazioni dei personaggi di fronte al(lo) (s)conosciuto e sulla ricerca dell’essere umano di un ideale (originale) che non esiste, non accontentandosi dell’unicità di quello che ha sempre avuto tra le mani (la copia dell’ideale/originale).

“Meglio una buona copia che l’originale”, dice la Binoche nel viaggio in macchina verso Lucignano. Come se cercasse di convincere l’uomo che è lei la copia conforme della donna che lui non ha mai avuto, sia che i due abbiano avuto una storia o meno. La risposta, alla fin fine, non l’avremo mai. O forse sì, perché sta allo spettatore scegliere la propria copia conforme (re-interpretazione del reale): perché la verità sta negli occhi di chi guarda, come dimostra la scena del confronto tra i due protagonisti e una anziana coppia di fronte ad una statua.

Copia conforme risulta essere così un film altamente intellettuale, il primo film di finzione di Kiarostami in cui vengono meno il lirismo poetico e le emozioni più dirette in favore di un ragionamento fatto quasi tutto di testa. Come se le sperimentazioni di Dieci (citato nel dialogo in macchina, ad esempio) e Shirin (vedi i campi controcampi con la mpd fissa e frontale) fossero entrate direttamente nel cinema di finzione del regista.

Non tutto però funziona per il verso giusto. Se da una parte il doppiaggio annulla gran parte della recitazione dei protagonisti (la Binoche in versione originale parla inglese, francese e italiano: è brava, lo sappiamo, ma tutte quelle mossettine…), dall’altra il dubbio che lo stile di Kiarostami sia troppo imprigionato tra il lavoro concettuale e il bisogno di accontentare la Toscana Film Commission (ma perché gli sposi cantano ‘O surdato ‘nnammurato…?), aiutato dalla fotografia del nostro Luca Bigazzi, è forte. Ma la storia non è priva di un certo fascino e può sia irritare che intrigare. Tanto che, finito il film, si esce con almeno una domanda che può anche avere una sua risposta: come mai il personaggio della Binoche non ha nome?

Voto Gabriele: 7

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